M’accingo ad affrontare un autore un po’ insolito e fuori dallo schema abituale. In gran parte gli scaffali della mia biblioteca sono occupati, senza ombra di dubbio, da quelli che, a torto od a ragione, considero “scrittori di successo”. Questo invece è, per i motivi che presto vi saranno chiari, una figura assai poco nota, almeno dalle nostre parti.
Cominciamo allora col dire che fino a quattro, cinque anni fa personalmente non ne avevo mai sentito parlare. Il che non è necessariamente molto significativo: sono infatti certissimo che esiste un nutrito numero di ottimi scrittori di cui ignoro l’esistenza, vuoi perché non mi considero per nulla un esperto del settore, vuoi perché come lettore è difficile poter spaziare con sicumera sul vastissimo campo di quanto è stato affidato alla parola scritta. Ma sono abbastanza convinto che la mia “ignoranza”, almeno in questo, non sia affatto merce rara. Se così non dovesse essere, allora già il titolo di questo capitolo della mia biblioteca dovrebbe avervi illuminato, visto ch’è pari pari il titolo di una delle pochissime pubblicazioni di Bruno Schulz.

“Carneade, chi era costui?” di manzoniana memoria mi venne spontaneo allorché un mio amico mi fece dono di quest’opera (per inciso: in edizione Einaudi, 1991). Il biglietto che accompagnava il regalo esprimeva la certezza che avrei apprezzato questo particolarissimo signore. Presto avrei scoperto “quanto” particolare.

Bruno Schulz: un ebreo polacco, ucciso per un capriccio durante il Nazismo

Si tratta in effetti di un polacco, nato qualche anno prima che terminasse il 1800, ebreo e, di conseguenza, destinato presto a scontrarsi con la crudele idiozia del nazismo. Ambisce a diventare architetto a Vienna, ma fallisce e così torna in patria e si dedica all’insegnamento del disegno al ginnasio. Illustra da solo la sua poca produzione letteraria e presto deve fare i conti con le leggi razziali: viene rinchiuso nel ghetto. I tedeschi hanno invaso la Galizia ed occupato la sua città, Drohobyč. Dal momento che conosce bene la lingua degli occupanti, lavora per un ufficiale della Schutzstaffel ma un altro ufficiale, questo della Gestapo, lo uccide in strada. Pare che il militare per cui Schulz lavorava avesse a sua volta ucciso un ebreo che era al servizio dell’uomo della Gestapo e quindi Bruno muore per una sorta di assurda (come del resto tutto del nazismo) ritorsione nata dal bisogno d’affermare il proprio prestigio.
Il suo corpo, quello di Bruno, finisce in una fossa comune e non verrà mai più ritrovato.

L’assurdità del nazismo in contrasto con lo sguardo fantastico di Bruno

La cosa, già assurda, brutale ed insensata per conto suo, assume una valenza ancor più terribile se provate a leggere, appunto, le pagine di questo povera vittima della stupidità umana. Troverete un mondo ricchissimo, fantasioso e fantastico che ben poco ha da spartire con la follia omicida dei nazisti. Le sue storie e la sua abilità narrativa conducono in un una terra speciale e ricchissima, dove si gioisce per l’umanità dei protagonisti, per la sensibilità, per la bellezza delle immagini. Una sorta di inno alla vita cantato da una vittima predestinata che ignora il suo destino crudele ma che, al tempo stesso, è come se lanciasse una sorta di ultima benedizione a quel cielo che presto non avrebbe più potuto vedere.

Sia ben chiaro: non siamo davanti ad una seconda Anna Frank, non c’è appunto la coscienza del dramma alle porte, almeno se la memoria non mi inganna. C’è un uomo che ama la vita e la celebra trasformando la realtà secondo una sua personalissima ed accattivante visione della realtà, filtrata attraverso il gioco d’una fantasia illimitata.
E quello che, se vogliamo, colpisce anche al di là della sua terribile sorte è il pensiero di quale altre meraviglie avrebbe potuto produrre questa penna incredibile se solo le fosse stato lasciato tempo e modo di esprimersi sino in fondo.
In questo senso la lettura delle sue cosa lascia un fondo amaro ed una sorta di rabbiosa considerazione di come la storia umana abbondi sin troppo di vergogne e miserie. Per colpa delle violenze e delle patologie di alcuni, spesso l’umanità s’è trovata ad affrontare (e si trova tutt’oggi mi sia permesso aggiungere, con una gran pena che fatico a mandar giù) momenti e difficoltà estremi, sul ciglio d’un baratro che, anche quando lo si voglia trattare col massimo della benevolenza, è costato e costa un prezzo enorme per il progresso umano. Che sembra, almeno sin qui (sul futuro preferisco sorvolare) aver ogni volta trovato la forza di venirne comunque fuori.
È vero, in qualche modo l’essere umano è sempre riuscito a trovare – o a ritrovare, sarebbe più equo dire – il mondo per risorgere. Magari per poi ritrovarsi, data la memoria troppo corta, di nuovo in panne, d’accordo. Ma se, a mio avviso, in qualche modo l’umanità (almeno sin qui) ce l’ha fatta è anche e soprattutto per gli spiriti come quello di quest’uomo che ha visto stroncata la propria vita, le aspettative, le aspirazioni, gli amori e ogni slancio dalla brutalità ignobile e gretta di pazzi avidi di potere e di morte. Ma che, al tempo stesso, continua attraverso le sue pagine a cantare la bellezza e la creatività, quel patrimonio dell’essere umano che, nel tempo ed in barba a tutti gli hitler, i mussolini ed i pinochet imbecilli della storia, ci ha permesso di venir fuori dalle caverne. Non sono state certo le armi e men che mai i temporanei trionfi dell’ottusità a farci comunque evolvere. No, assolutamente.
Molto più probabile, mi ci gioco i gioielli di famiglia, siano state le Botteghe color cannella.