Mi sento soffocare…e no, non perché sto passando un momento di crisi con mio marito, il mio ragazzo o ho problemi sul lavoro.

Mi manca proprio l’aria. Il sole, lo spazio attorno a me. Siamo davvero tantissimi, troppi e troppo vicini. Questo ripeto nella mia mente come un mantra.  Sto impazzendo. Mi sento molto socievole, ma sono anche molto solitaria. Mi piace avere spazio attorno a me, avere aria. Libertà, mi verrebbe da dire a volte.

Da 7 anni abito in questo appartamento, al secondo piano sopra dei cassonetti dell’immondizia. Sì, perché nel mio quartiere ancora non si fa la raccolta differenziata. O meglio, ancora non si fa il “porta a porta”. Ancora esistono, ogni 100 metri o meno, delle mini discariche, dei cassonetti da scarico inconsulto di qualsiasi genere di rifiuto. Nessun controllo. Qualsiasi. Sono di colori diversi, almeno appena li posizionano.

E li cambiano anche spesso perché si deteriorano e si sporcano in appena 3 o 4 mesi. E ciascuno costa, eh costa tantissimo, almeno un 2-3 mila euro a cassonetto con beneplacito dei costruttori e distributori del prodotto. Ma dopo poco diventano di un colore unico, il colore del putrido e della sporcizia. E così vanno un po’ i nostri buoni propositi di gettare in maniera corretta i nostri rifiuti.

Quando vediamo che tutto funziona attorno a noi, che è tutto pulito ci piace fare la cosa giusta. Appena vediamo scintillare un colore o un altro siamo spinti a differenziare… ma poi, poco dopo, tutto finisce.

Inizia la puzza, il degrado, i rifiuti si moltiplicano, soprattutto quelli organici che rimangono abbandonati lì per giorni settimane al sole, con temperature di 40/42 °C che insieme all’umidità alimentano la loro fermentazione. Una cloaca di liquidi poco definiti chimicamente e biologicamente, cominciano ad accumularsi sul fondo e continuano ad aumentare fino a trasbordare sulla strada e sui marciapiedi. Per non parlare delle esalazioni aeree. Chissà cosa mi sta entrando in camera da letto. Mentre mi corico tutta bella pulita col mio pigiamotto morbido e candido, nelle mie belle lenzuola profumate di sapone di Marsiglia. Mi corico e mi viene da piangere. Mi manca l’aria. Mio marito si preoccupa e mi chiede cosa c’è che non va. Gli spiego. Si infastidisce. È così stare in città che ci vuoi fare? Soffoco ancora di più.

Siamo troppi, troppo vicini. Voglio scappare via da qui. Ma dove? Scappare non è la cosa giusta. Bisogna contribuire, agire per migliorare. Questo mi ha insegnato mio padre. Se no che ti lamenti a fare? Inizia tu a fare la cosa giusta. Mi è sempre stato detto ad ogni mio lamento. Questo il tipo di educazione che mi è stata impartita. A partire dalle piccole liti con la mia sorellina quando ci contendevamo un giocattolo. La risposta era: “Mettiti nei suoi panni e vedi se ti sarebbe piaciuta un’azione così nei tuoi confronti. E avrai la risposta ad ogni tuo gesto”. Prima di lamentarti agisci. Se c’è qualcosa per cui lamentarti fai subito qualcosa per migliorarla. Agisci tu, subito, ora, in prima persona. Se no taci.

Per questo spesso mi sono soffocata in gola le lagne. Spargere lagne e lamentarsi non serve a nulla. Mi sono ingoiata le mie lamentele perché in quel momento magari non avevo proprio voglia di cambiare le mie abitudini o di fare qualcosa di concreto per contribuire al cambiamento. Mi sentivo causa del problema e dunque zitta e muta.

Se stiamo zitti vuol dire che ci sta bene così o non abbiamo proprio lontanamente l’intenzione di alzare un dito. Se ci lamentiamo, lo stiamo facendo con diritto, solo se, nello stesso momento, stiamo alzando almeno un dito. Altrimenti le nostre sono solo lacrime di coccodrillo o del tipo “io mi lamento, ma il problema risolvilo tu”.