L’albero era in un’ottima posizione, giusto all’angolo dell’aiuola all’incrocio tra Viale Mazzini e Viale Angelico, visibilissimo. Di ciò si compiaceva e non poco. Circondato da suoi simili di altre specie, scheletrici e spogli in quei giorni intirizziti sotto un pallido sole invernale, sembrava indifferente e assorto nei suoi pensieri in quella limpida e fredda mattina di gennaio.

      Viale Angelico è una strada percorsa da macchine e autobus, c’è sempre un certo movimento, soprattutto al mattino e nei giorni in cui si giocano partite di calcio perché svariati autobus vanno verso lo stadio Olimpico. Quella mattina, su una vettura della linea 32, direzione Tor di Quinto, un nutrito campione di varia umanità riempiva lo spazio con il proprio corpo e il relativo bagaglio di vita. Le parole di idiomi diversi si intrecciavano e si rincorrevano tra una fermata e l’altra, zaini, buste della spesa, eleganti cartelle in pelle palesemente ripiene di documenti legali, facce assonate, parlantine inarrestabili, giornali ripiegati e letti faticosamente in uno spazio minimo, risate sfrontate, campanelli di prenotazione fermata in sottofondo, questo era il microcosmo del 32 guidato da un giovane con la boccia e le cuffiette lungo il percorso stabilito.

      Lei era salita al capolinea in Piazza Risorgimento, si era seduta in un posto singolo, vicino alla porta e guardava senza vedere fuori dal finestrino. Perduta nei suoi pensieri sentiva la strada scorrere sotto di lei e non faceva caso a quella varia umanità che condivideva il suo spazio, anzi, a dire la verità, ne era anche vagamente infastidita. I brandelli di conversazioni “da autobus” che coglieva qua e là le davano ai nervi. Sarebbe andata a piedi, come faceva ogni volta che poteva, se non fosse stato troppo distante. E poi doveva arrivare puntuale, la stavano aspettando. L’autobus si fermò ad uno dei numerosi semafori che punteggiano Viale Angelico, un vero strazio quando si beccano tutti rossi, il percorso sembra eterno.

      Lei lo notò subito in mezzo a tutti gli altri. L’aiuola era apparentemente assopita sotto la sferza del freddo, la terra sembrava dormire e gli alberi imbalsamati nella loro essenzialità. Lui no, quell’albero era diverso. Quasi le scappò l’ombra di un sorriso a quel pensiero: lei aveva un debole per i diversi o, forse, più esattamente, i diversi entravano sempre nella sua vita e ci restavano. Lo osservò attentamente nei minuti in cui il rosso la faceva da padrone e aguzzando la vista notò qualcosa sui rami: sembravano minuscole gemme.

“Gemme a gennaio, che stranezza!”, pensò.

      L’autobus ripartì con il suo carico variopinto e lei ripiombò nei suoi pensieri.

      Giacomo era seduto per terra nella sua stanza piena di inutili giochi. Lei si avvicinò, gli carezzò i riccioli biondi e cercando il suo sguardo gli disse:

– Ciao Giacomo.

Silenzio, come sempre. Il bambino rimase nella stessa posizione, sembrava non percepire nemmeno la presenza di lei. Ma lei sapeva che non era così: Giacomo era autistico e aveva modalità tutte sue, bastava saperle trovare. A lei avevano raccomandato di “essere normale” con lui, di trattarlo “come un bambino normale”. Ma cosa vuol dire “normale”, si era chiesta lei? Chi stabilisce cosa è normale e cosa no? Sedette sul pavimento accanto a lui e cercò nella sua memoria qualcosa che potesse suscitare il suo interesse. Non era semplice, sarebbe stata una sfida difficile, ma lei era decisa a vincerla. Sapeva combattere, era abituata a farlo. Certo, questa volta tutto era nuovo e non facilmente controllabile, ma forse proprio per questo la sfida era ancora più forte.

      E l’albero? Lui stava lì, sentendo la sua corteccia formicolare per la linfa che scorreva e lo rigenerava. Si guardò intorno: un mortorio! Gli altri alberi erano come in letargo, non c’era nessuno con cui scambiare una parola, un fruscio, niente. Che noia!

      Il mattino seguente pioveva, una giornata uggiosa come avrebbe detto Lucio Battisti. L’autobus procedeva lentamente per la strada piena di macchine. Era sempre così: un po’ di pioggia e tutti in auto a intasare le strade! Lei era al solito posto, accanto al finestrino. Passarono velocemente all’incrocio con Viale Mazzini, non ebbe il tempo di guardare l’albero che, peraltro, era lì, sotto la pioggia, anche un po’ubriaco per tanta acqua tutta insieme. Alcune gocce si erano posate sulle minuscole gemme e sembravano perline iridescenti, ma nessuno poteva vedere quei fantastici monili in quella frettolosa mattina di pioggia.

      Giacomo era sempre seduto per terra, lei entrò, lo salutò e decise che quel giorno avrebbe provato con un libro. Ne scelse uno con grandi figure nella speranza di catturare almeno per qualche istante l’attenzione del bambino, cosa quasi impossibile. Il libro parlava di una fattoria, c’erano animali e piante e lei cercò di rendere la lettura più interessante cercando fra i giocattoli gli animali del racconto e mostrandoli a Giacomo. La prima mezz’ora fu estenuante, sembrava di parlare al muro, nessuna reazione, Giacomo non guardava le figure, sembrava non ascoltare le sue parole, restava chiuso nel suo fantastico insondabile mondo. Lei era scoraggiata, ma non mollava. Era passata a fare anche i versi degli animali mentre faceva interagire i pupazzi di pelouche o di stoffa. Niente, nessuna reazione.

  Il lunedì è sempre un giorno difficile, l’umore delle persone è sempre più tendente alla depressione davanti ad una intera settimana. In compenso non c’è molto traffico visto che i negozi sono chiusi. Come sempre il semaforo scattò e il suo prorompente rosso bloccò il 32, questa volta guidato da un autista palesemente sovrappeso che addentava con gusto un pezzo di pizza bianca che avrebbe comodamente fatto da merenda a quattro bambini.

      Lei sentendo l’autobus fermarsi si riscosse e alzò gli occhi. L’albero numero 3 era sempre lì, ma le gemme erano diventate più grandi. Lo fissò per un lungo attimo, confrontandolo con gli altri alberi sempre più scheletrici. Strano era strano, pensò, eppure inspiegabilmente quell’albero la metteva di buon umore. E le aveva anche fatto venire un’idea per Giacomo.

      Quando arrivò il bambino era come al solito seduto per terra con i giochi intorno, ma non pareva interessato a nulla. Lei lo salutò e gli disse: – Giacomo stamattina ho un gioco nuovo. Nessuna reazione. Lei si sedette per terra davanti a lui, gli sollevò delicatamente il mento con due dita e cercò il suo sguardo. Il bambino la fissò con gli occhioni azzurri apparentemente statici, lei ripeté lentamente la frase e contemporaneamente tirò fuori dalla borsa una specie di album. Era uno di quei libricini con i disegni e altre parti staccabili adesive. C’erano sfondi di fattoria e animali da aggiungere, prati e fiori e alberi da comporre. Giacomo sembrava lontano dalla stanza e dalle parole di lei. Sembrava…  Lei si era messa in testa di penetrare in qualche modo quel guscio, era certa, lo sentiva, che il contatto era stato stabilito tra loro due, bisognava solo trovare i canali giusti per farlo viaggiare. Chi decide che si comunica solo attraverso le parole? Si armò di pazienza e parlando ad alta voce iniziò a comporre una scena snocciolando i nomi degli animali e degli elementi che aggiungeva, lavorando lentamente, ripetendo i gesti più e più volte, con un tono pacato e rassicurante, ma cercando di solleticare la sua curiosità. Trascorse l’intera mattinata così. Giacomo guardava, ma dopo pochi istanti stornava lo sguardo, prendeva una macchinina, la guardava e la rimetteva a posto, dritta e in fila con le altre. “Non mi arrendo, non devo gettare la spugna!” pensò lei. Ormai era una sfida.

      Passò una settimana, ogni mattina lei arrivava, salutava Giacomo e tirava fuori il suo album e iniziava il lavoro di stacca e attacca, instancabile. Il bambino aveva il solito atteggiamento, ma lei non demordeva: non poteva mollare.

      Erano stati giorni molto freddi, c’era stata addirittura una spruzzata di neve che, come al solito, aveva gettato nel panico la città e gli amministratori comunali. Era durata una mattinata, ma era bastata per mandare in tilt il traffico. Appena passata la buriana, una mattina di inizio febbraio, lei era sul solito 32 alla solita ora facendo il solito percorso. All’incrocio di Viale Angelico con Viale Mazzini il semaforo scattò, come sempre. Persa nei suoi pensieri lei sollevò lo sguardo e il cuore le si fermò: aveva davanti un albero bellissimo, tutto ricoperto di evanescenti fiori bianchi, sembrava una nuvola e si stagliava, orgoglioso e magnifico, sullo sfondo di colleghi scheletrici e intirizziti. Non c’erano parole: una tale bellezza in una mattina così gelida e uggiosa, con le nubi grevi di pioggia trattenuta e un vento che faceva ondeggiare quei rami che sembravano dipinti da un pittore impressionista.

Lei non poté fare a meno di sorridere e di sentirsi nascere dentro un buon umore e una sorta di piccola felicità: sono sempre le piccole cose che fanno la differenza!

      Arrivò da Giacomo ancora con questa sensazione addosso e ricominciò il lavoro interrotto il giorno prima. Quella mattina, evidentemente colpita dalla bellezza dell’albero, indugiò sui fiori e sulle foglie, ripeté più volte la composizione della pagina con il prato. Giacomo sembrava sempre uguale, eppure lei aveva la sensazione che la stesse ascoltando.

 “Voglio essere ottimista, voglio farmi trasportare da pensieri positivi: se un albero può fiorire a febbraio, un bambino può interagire e parlare!” si disse.

      L’indomani era una bella giornata: le nubi si erano dissolte e avevano lasciato il posto ad un sole tiepido, ma limpido. L’albero era all’apice del suo splendore, agitava lentamente i suoi rami quasi a voler mostrare la sua candida mercanzia. E fu mentre lo guardava che le venne l’idea.

      – Buongiorno signora – disse appena arrivata a casa di Giacomo, – volevo chiederle se posso portare fuori il bambino: è una bella giornata, gli farà bene prendere un po’ d’aria.

 La madre diede il permesso facendo le solite mille raccomandazioni. A lei batteva forte il cuore: non aveva mai portato fuori Giacomo, non sapeva come poteva reagire, ma voleva farlo.

      Gli infilò la giacca pesante, niente cappello e niente guanti perché lui non li tollerava e andarono alla fermata dell’autobus. Il bambino era docile e ubbidiente, silenzioso tranne che per qualche verso un po’ curioso al quale lei era abituata.

      Trovarono posto a sedere, lei attenta a ogni respiro di lui, lui quieto e apparentemente assente. Scesero un po’ prima dell’incrocio e si incamminarono. Arrivarono davanti all’aiuola e si fermarono.

– Guarda Giacomo – disse lei indicando l’albero numero 3.

Il bambino sollevò lo sguardo, lo fissò per un attimo sulla pianta poi disse con chiarezza cristallina:

– Albero, fiori…bello!

E un colpo di vento piegò un ramo fino a sfiorare i suoi riccioli biondi con i suoi candidi fiori.