La Floridiana è sicuramente uno dei miei primi ricordi napoletani. Venivo da Taranto, città dei due mari, abituata al paesaggio pugliese dove accanto al verde degli ulivi c’era sempre l’azzurro del mare, dove la terra e la sabbia si fondono e diventano una cosa sola, producendo frutti meravigliosi.
Napoli fu tutta una scoperta. Il mare, quello per fortuna c’era ed era anche bellissimo, un golfo magnifico che ti abbraccia e ti abbaglia con la sua bellezza e maestosità. Ma a due passi da casa scoprii ben presto quella che ai miei occhi di bimba apparve come una foresta incantata. Era il parco della Villa Floridiana, anticamente residenza dei Borbone, oggi sede di un museo di ceramiche del Duca di Martina, ma per noi bambini era il parco dei giochi. Ci andavo con mia madre e mio fratello piccolo, eterni pomeriggi, a volte giornate intere inframmezzate dai panini fatti fare in una salumeria a Via Merliani, passate ad esplorare i boschetti, cercare nuovi sentieri, nascondigli segreti. Oppure nel boschetto delle camelie, dove c’era un albero dove si poteva stare a cavalcioni e immaginare di essere a cavallo di un vero destriero. O ancora a raccogliere le lucide, bellissime castagne selvatiche frutto degli ippocastani che in autunno ci regalavano talismani improvvisati o cibi esotici per le bambole. Come le ghiande che chiusi in un barattolo che dovetti affrettarmi a buttare dopo qualche tempo perché lo trovai pieno di vermi! Si poteva giocare da soli inventandosi avventure solitarie in compagnia di amici di fantasia, in due, armate di bambole, carrozzina, set di piattini o cucina improvvisando scene familiari, ma la felicità maggiore era un bel nascondino in gruppo, un ruba bandiera, per i maschi l’eterno pallone che non li ha mai abbandonati, neanche ora che hanno i capelli bianchi, a riprova che l’importante è restare un po’ bambini. Durante le corse sfrenate e le ricerche di nascondigli ho lasciato sul selciato del parco gran parte delle mie ginocchia, arrivando come apice a conficcarmi un pezzo di filo spinato nel polpaccio che stoicamente ho estratto da sola e poi cercato di minimizzare con mia madre, sapendo che oltre alla ferita avrei avuto il resto per non essere stata attenta. Mia madre si arrabbiò, ma prontamente, dopo aver estratto il mitico fazzoletto, patrimonio dell’umanità nelle borsette delle nostre mamme, e fasciato la gamba, mi trascinò sempre a Via Merliani in farmacia dove mi disinfettarono e medicarono, zero antitetanica, ai tempi non si usava più di tanto e poi il ferro non era arrugginito.
Arrivò l’adolescenza e con lei la Floridiana assunse un nuovo aspetto: il luogo dove rifugiarsi per scambiarsi qualche bacio e qualche carezza a riparo da occhi indiscreti, soprattutto di familiari. Luogo per eccellenza di “filoni scolastici”, la mattina era facile incontrare compagni di classe o di scuola e scoprire altarini e tresche amorose. E’ capitato anche a me di restare di stucco davanti a una coppia che si baciava appassionatamente perché la ragazza, a torto reputata da me amica sincera, stava sbaciucchiandosi con un tipo di cui, lei mi aveva giurato, non le importava nulla. Invece a me sì, così in un sol colpo archiviai entrambi e passai oltre, non senza un certo fastidio, soprattutto per il comportamento di lei.
Mi sarebbe piaciuto portare in Floridiana i miei figli, ma il vento della vita mi ha trascinata altrove. Così, dieci anni fa, durante un fine settimana a Napoli, mentre aspettavo che la mia amica insieme alla quale ero venuta finisse una lunga seduta dal parrucchiere, mi sono incamminata per il Vomero. Era ora di pranzo, volevo mangiare qualcosa passeggiando visto che era una magnifica giornata di Settembre, non troppo calda, limpida e soleggiata. La mia bussola interna mi ha portata in Piazza Fuga, davanti alla mitica Friggitoria Vomero dove nel corso degli anni della mia giovinezza ho lasciato parecchi spiccioli e gran parte del mio fegato. Senza esitare sono entrata e ho comprato un cartoccio, un “cuoppo” per dirla alla napoletana, di zeppole e panzarotti (pasta cresciuta fritta e crocché di patate per i non partenopei) e senza esitazioni mi sono diretta in Floridiana. Ho attraversato i viali protetta dalle fronde degli alberi tra i cui rami sono ancora custoditi pensieri, ricordi, segreti. Ho ascoltato i rumori, i versi, gli scricchiolii e risentito voci, risate, ho aspirato profumi conosciuti e sempre nuovi, ritrovato itinerari, in un continuo flash back che mi ha emozionato. Sono scesa verso il belvedere, mi sono fermata su un muretto vista mare e ho consumato il mio pranzo con gran piacere. Il sapore del cibo accompagnato dai ricordi, dalla vista del mare, da quel sentirmi a casa, come sempre mi sento quando torno a Napoli, mi hanno fatto sentire in pace con me stessa e con il mondo. E se il tempo si fosse fermato in quell’istante ne sarei stata felice. Sono rimasta sul muretto a godermi il panorama, l’atmosfera, le sensazioni e i ricordi, sentendomi parte di quel posto, legata inscindibilmente al tempo trascorso tra quei viali.
Poi, lentamente, mi sono diretta all’uscita, cercando di portare con me negli occhi e nel cuore quell’aria che sapeva di mare e di buono per attingervi quando fossi stata lontana.