Mettendo a posto la spesa, confesso un po’ più abbondante, questa mattina mi è tornato in mente un ricordo d’infanzia.
Mio fratello è più piccolo di me di 8 anni e quindi si poneva il problema di interagire attraverso il gioco avendo età ed esigenze diverse. Quando lui aveva 4 anni e io 12 avevamo trovato una sorta di compromesso: la capanna. Come nei peggiori stereotipi, lui era il cow boy che andava in giro a caccia e ci difendeva dagli indiani, io ero quella che restava alla capanna, con i “bambini”(le mie adorate bambole con cui ho giocato fino alla fine delle scuole medie), a procurarmi cibo e cucinare e tenere a posto la capanna fatta con quattro sedie e un vecchio lenzuolo attaccato con le mollette da bucato. Abbiamo passato ore, senza litigare, interagendo e venendoci incontro attraverso le nostre età e le nostre diversità, costruendo un pezzettino delle persone che siamo oggi.
E questa mattina, analizzando questo ricordo, mi è venuto in mente che, senza saperlo, ci stavamo esercitando per quello che oggi ci tocca vivere: sperimentavamo forme di adattamento, cercavamo di camminare insieme nella diversità e nel rispetto dell’altro, creavamo un microcosmo di salvataggio in una vita, la nostra di allora, non sempre facile che andava verso un’escalation di difficoltà esponenziale, un po’ come i numeri dei contagi di oggi.
Quella buffa capanna, nata dalla nostra stupenda fantasia di bambini, è un simbolo di resistenza e di volontà di andare avanti, con tenacia e senza arrendersi, anche in mezzo a difficoltà più grandi di noi.