S’invocava la pioggia in quella torrida estate: il calore ormai era così denso da incollarsi addosso e diventare tutt’uno con i vestiti.
Stremati e sgomenti per il bestiame e i campi assetati, i contadini erano disposti a tutto ormai, anche a rivolgersi alla Strega. Così la chiamavano in paese perché, ancora giovane, viveva sola con un gatto nero in un casolare ai margini del bosco e si sussurrava avesse poteri magici. Superstizione e suggestione popolare facevano sì che la guardassero con riverenza mista a paura, ma non disdegnassero di ricorrere alle sue arti nei casi più disperati.
A testa alta, lo sguardo fiero, un sorriso enigmatico sulla bocca carnosa, la donna apparve dal folto del bosco, i lunghi capelli corvini che danzavano a ogni passo. Avanzò in mezzo al campo riarso, alzò gli occhi in una muta preghiera solo a lei nota e cominciò a muoversi lentamente, poi sempre più veloce chiamando a raccolta ogni parte del suo corpo, in una sorta di danza mistica e sensuale insieme. Incurante del sole a picco, sembrava non sentire né caldo né stanchezza.
Il tempo scorreva lento, sola in mezzo al campo frenetica lei danzava ormai da ore senza sosta: rivoli lucenti di sudore le scivolavano lungo il corpo, nel solco fra i seni, sulle braccia aperte e sul volto sempre rivolto al cielo in un intimo connubio con la natura.
All’improvviso un ultimo balzo, un sussulto e finalmente si compì la magia: il sole si oscurò e un tuono squarciò l’aria carica di elettricità. Un lampo di trionfo attraversò gli occhi scuri della Strega.
Esausta, si lasciò cadere a terra e rise vittoriosa quando la prima goccia le bagnò le labbra.