I due guerrieri si fronteggiano nel centro dello spiazzo in terra battuta, girando lentamente senza mai staccare gli occhi l’uno dall’altro.
Entrambi sono destrimani, per cui la rotazione avviene verso destra, per allontanare il fianco esposto dall’avversario, ma nello stesso tempo si allontana anche la possibilità di colpirlo. Almeno finché uno non si sarà fermato.
Il gigantesco barbaro porta calzoni di pelle marrone e una casacca borchiata dello stesso colore, al cui centro è applicato un giustacuore in metallo battuto che riluce ai raggi del sole, lanciando riflessi abbaglianti. Le braccia sono nude e luccicano di sudore. Nella mano destra impugna una terribile ascia bipenne imbrattata di sangue, mentre la sinistra maneggia una corta spada che usa per finire le sue vittime.
Il suo avversario indossa armatura ed elmo piumato, ed ha sulle spalle un mantello bianco ormai lacero. Lo spadone che fa ruotare lentamente con le due mani sembra un serpente che volge la testa acuminata sempre nella direzione del nemico.
Intorno a loro ogni cosa si è fermata: l’orda che sta cercando di superare le ultime resistenze, i soldati della piccola guarnigione che difendono disperatamente il villaggio e le loro case. Tutti sentono che da quello scontro dipenderà l’esito della battaglia, ma mentre per gli assalitori è l’apice di una esaltante giornata per gli altri è soltanto l’estremo tentativo di sopravvivere.
Dalle file dei barbari si leva un sordo boato: i guerrieri hanno cominciato a battere ritmicamente i calzari sul terreno, facendolo tremare.
I combattenti continuano a studiarsi, insensibili ad ogni sguardo o rumore. Infine il capo dei barbari rompe gli indugi e si lancia all’attacco, mulinando l’ascia con un movimento trasversale, da destra a sinistra, sfruttando la correggia di cuoio che porta al polso. E’ un gesto dimostrativo, volto ad intimorire l’avversario. Il cavaliere lo capisce e si limita a fare un passo indietro, continuando a girare e puntando la spada al petto del nemico. Visto che l’altro non si è lasciato impressionare, il barbaro impugna con decisione il manico e si proietta in avanti vibrando un tremendo fendente dall’alto al basso che avrebbe trapassato qualsiasi difesa. Il cavaliere si china e fa un passo avanti, passando sotto il colpo, ma non azzarda una replica. Con un ruggito l’altro mulina l’ascia orizzontalmente, ma anche questo colpo va a vuoto. Nell’aria non si sente volare una mosca, soltanto il sibilo delle lame.
Gli avversari tornano a studiarsi, e questa volta è il turno del cavaliere di attaccare. Lo fa sul lato destro dell’avversario, dove la pesante ascia rende più difficile la difesa, ed infatti riesce a penetrare la guardia e a scalfire la pelle del gigante, ma deve battere precipitosamente in ritirata per evitare l’attacco della lama corta dalla sua sinistra. Adesso entrambi sono coperti di sudore, mentre il sole batte impietosamente su di loro.
Il barbaro attacca ancora e ancora, ma il cavaliere riesce a schivare tutti i colpi violenti, fermando con la spada gli attacchi più veloci. Entrambi sentono la stanchezza, entrambi sanno che l’altro aspetta soltanto il momento in cui l’avversario manifesta un attimo di cedimento per colpire, e il primo colpo portato a segno sarà quello decisivo.
Nonostante l’enorme dispendio di energie, il barbaro continua a menare fendenti tremendi, anche se adesso si sono fatti più radi. Dal canto suo il cavaliere è cosciente che la sua spada non è adatta a quello scontro, essendo troppo pesante per colpire rapidamente ma insufficiente a bloccare un colpo d’ascia. L’unica sua speranza è che l’altro si stanchi tanto da lasciargli il tempo di entrare nella guardia, ma questosignifica…
Con un urlo tremendo il guerriero barbaro lancia la spada corta come un pugnale, e contemporaneamente si getta all’attacco. Sorpreso, il cavaliere solleva istintivamente la spada per proteggersi, ma questo gli impedisce di schivare con sufficiente rapidità.
Un urlo echeggia nel villaggio, ma non è stato il cavaliere a lanciarlo.
Sorpreso, vede la lama dell’ascia ritirarsi lorda di sangue, e un attimo dopo sente il dolore, tremendo, salire dal suo fianco sinistro. Il colpo del nemico l’ha preso soltanto di striscio, ma se l’armatura è riuscita a deviarlo la cotta di maglia non ha resistito e l’anca e parte della coscia recano una profonda ferita da cui il sangue esce copioso. Il barbaro sogghigna: adesso il tempo gioca soltanto a suo vantaggio.
Il cavaliere lo sa, ma stringe i denti e si rimette in guardia. I due riprendono a girare in cerchio, ma la fine è imminente. Adesso il barbaro si limita ad attendere che l’altro perda ogni energia insieme con il sangue. Il cavaliere sospira, chiude un attimo gli occhi per raccogliere le forze e scacciare il dolore, poi parte all’attacco. Il barbaro si aspetta un gesto disperato e para il colpo con la lama corta per alzare verticalmente l’ascia, ma l’altro, ignorando la minaccia non ferma il suo impeto e mentre il terribile fendente cala a squarciargli l’armatura, tagliandolo quasi in due, affonda la spada nel petto dell’avversario fino all’elsa. Il barbaro, sorpreso, arretra lasciando cadere le armi per portare le mani sulla spada che l’ha trafitto, ma fatti alcuni passi ricade in avanti, spargendo il suo sangue su quello del nemico.
Un silenzio mortale scende sul campo di battaglia. I barbari, perso il loro capo, si guardano indecisi, finchè uno di loro non rimonta a cavallo e con un urlo si lancia nella pianura. Allora altri due vanno araccogliere il corpo del loro comandante, lo caricano sul suo cavallo e insieme al resto dell’orda ritornano sulla pista da cui sono venuti.
Gli abitanti del villaggio li guardano andare via senza parlare.

Il secondo in comando si toglie l’elmo sudato e si rivolge al capo del villaggio.
«Sai cosa accadrà ora?» chiede.
«Sì. Torneranno».
«Infatti, faranno le esequie al loro capo, ne eleggeranno un altro e torneranno per finire il lavoro».
«Quando?».
Il soldato sputa per terra.
«Non lo so. Domani? Dopo? Quello che so è che non potremo resistere».
Il capo del villaggio accenna di sì con il capo.

E’ il tramonto, sotto un sole rosso fuoco una lunga fila di uomini, donne e carri contenenti i pochi averi che ognuno è riuscito a caricare comincia a muoversi nella direzione opposta a quella da cui era venuta l’orda. I corvi volteggiano sul campo di battaglia, in attesa di calare sui corpi abbandonati. La postazione fortificata è a tre giorni di cammino, forse i fuggitivi riusciranno a raggiungerla prima del ritorno dei barbari, e forse no. Ma devono tentare.

«STOP!» urlò il regista «BUONA QUESTA!».
Gli attrezzisti irruppero sulla scena, sospirando di sollievo. Con lo scendere della sera era calata anche la poca brezza e il caldo si era fatto infernale.
Il segretario di produzione si avvicinò al regista.
«Libero le comparse?» chiese.
«Sì, sì. Parla con il responsabile del cast: per questa settimana non ci servono più, giriamo in interno».
«Va bene capo».
«E fai scendere quei cazzo di corvi prima che se ne perda qualcuno!»
«Okay, comunque siamo assicurati».
«E allora buttiamoli via! Ma cazzo, come sono grossi, sembrano avvoltoi!»
«Esigenze di scena, signore: se fossero delle dimensioni giuste nel filmato sembrerebbero puntini neri nel cielo».
«Già, già. Va bene, adesso vado a farmi una doccia».
Il segretario fece per allontanarsi.
«Ah, Jeff!» lo richiamò il regista.
«Sì signore?».
«Dì a quella biondina in fondo alla scena, quella mezza nuda che un barbaro stava stuprando… hai presente?».
«Sì signore, credo che impersonasse la moglie del…»
«Non mi interessa, quella con le tette grosse, per favore, dille di passare nel mio ufficio».
«Ehm… sì, signore».
«Puoi andare» concluse il regista, sventolandosi la faccia sudata con un copione sgualcito.

Il segretario di produzione si affrettò verso il gruppo delle comparse, cercando di individuare la ragazza. Come la vide le fece un cenno.
«Tu» la indicò «il regista ti vuole parlare».
Un sorriso si allargò sul viso della donna.
Il segretario la guardò. Portava ancora la tunica mezza strappata di scena.
«Magari mettiti qualcosa addosso, prima!» la invitò.
‘Almeno lascia che sia lui a spogliarti!’.
La ragazza sparì subito in una roulotte e riapparve con una tunica sulle spalle che, lungi dal coprirla, metteva ancora di più in risalto la sua parziale nudità.
Jeff scosse la testa. Attrici!
«Tirate giù quei droni prima che faccia buio!» urlò al ragazzo che governava i corvi.
Un tecnico gli si avvicinò.
«Posso portare in laboratorio gli androidi?» chiese.
«Il barbaro e il cavaliere? Sì, falli sistemare, probabilmente ne avremo bisogno per qualche scena cruenta la prossima settimana».
«Va bene».
L’uomo si soffermò ad esaminare i due corpi.
«Quello grosso non sarà un problema, basterà sostituire cuore e qualche arteria, ma l’altro… madonna, è un disastro!»
«Siete pagati per questo, no?» rispose sprezzante il segretario di produzione.
«Sì, ma…».
Non riuscì a finire la frase perché l’altro se n’era già andato.
Il sole stava calando del tutto sulla pianura. Luci si erano già accese nelle roulotte che fungevano da camerini e sala cambio. Qualcuno indugiava vicino al bancone della cucina da campo, in cerca di qualcosa da mangiare, altri erano già partiti o stavano partendo con le macchine verso la città.