“La mi porti un bacione a Firenze!” è quello che vi sentirete dire ogni volta che annuncerete a qualcuno il ritorno, magari per le vacanze, nella vostra città. “Mi dici una coca cola calda con la cannuccia corta?” è quello che invece vi chiederanno, sentendosi originali e simpatici, ogni santa volta che direte in giro che Firenze è la vostra città.
Ma c’è una frase che a sentirla vi farà sobbalzare e che potrete udire in via de’ Cerretani, precisamente all’angolo con via Vecchietti, senza capire chi l’abbia proferita: “Ehi, pss, viandante, che tu lo voi un sorso?”.
Ogni volta sorrido e mi godo la scena dei passanti che si girano sbigottiti verso il malcapitato che si trova loro accanto e quasi irosi chiedono “che dici a me?”. “Dici cosa? A chi?”, si sentono rispondere. “Te tu sei tutto grullo!” è anche nella top ten, insieme a “sehondo me tu ti buhi!” o “l’è un po’ vecchia come tattica d’imbrocco!” .
A parlare è in realtà la Berta, affacciata da secoli alla chiesa di Santa Maria Maggiore: una testa che sporge da un muro, posta abbastanza in alto da non esser visibile a una prima occhiata ma se rivolgete lo sguardo un po’ più in su non potete non notarla. Se ne sta lì, nascosta ma visibile e se lì se ne sta, pietrificata, è un po’ anche colpa mia.
“Berta, o che l’abbozzi d’importunà la gente?”, le dico quando rimaniamo soli.
“Cecco, o buhaiolo, tu dovevi brucià all’inferno, maremma impestata, e invece te tu sei ancora qui! ‘I che tu voi ancora?”, mi risponde con tutto l’astio accumulato nei secoli.
“Brutta Bertuccia, altro che Berta, dovevano chiamarti! Che poi, che lo sanno che tu sei un omo? Anche di chiesa, a dirla tutta!”. Il nostro rapporto, si sarà intuito, non è proprio idilliaco.
“Tu sei ganzo di nulla, Cecco! Omo o donna, ‘i che conta? L’è lo spirito che fa la persona. E il tuo, di spirito, l’è marcio come l’era la ‘tu carne! Ora lasciami in pace che c’ho da fare”.
In quel momento passò in effetti un ragazzo sulla trentina, ingiacchettato e incravattato.
“Viandante, che lo vole un sorso?”, chiese prontamente lei. Ma quello manco se ne accorse, troppo impegnato a guardare il suo smartphone.
“Ahaha, o Berta, ‘un tu lo vedi che manco ti cagano più? Un’è più come una volta! Ci fosse stata tutta ‘sta tecnologia ne’ milletrecentoventisette, ‘un t’avrebbero dato retta manco quel 16 settembre, e ‘un staremmo qui a discutere, io e te. O le devo dar del voi, sacerdote?”, terminai sogghignando.
“Sai icchè? Un c’ho punta voglia di star a discorrere con te, astronomo”, mi rispose, pronunciando l’epiteto con cenno ironico, come a non voler dar valore a un titolo che m’ero meritato con studio e fatica.
“Poeta e filosofo” – aggiunsi toccato sull’orgoglio, a sottolineare il calibro intellettuale che avevano condannato al rogo – “oltre che professore universitario, prego!”.
“Professore, professore! T’eri solo bono a parlare a vanvera!”
“Predivo il futuro”, corressi.
“T’avevi stretto un patto col diavolo, ecco la verità. “Errori contro la fede”, è stato il capo d’accusa per la tua condanna a morte. E per voler salvare la mi’ gente, tu t’hai maledetto anche me, maremma indiavolata”.
“O Berta, t’hai berciato allora e tu berci ancora! Tu t’hai meritato la sorte che t’è toccata! Di tutte le accuse che mi furono imputate, niente era vero. L’ho detto, l’ho insegnato e lo credo: così mi difesi allora, così mi difendo tuttora dalle tue calunnie!
“O chetati, cialtrone!” – “viandante, che lo vole un sorso?”, disse poi rivolgendosi a un uomo sulla sessantina, il quale sobbalzò e si girò spaurito a cercare la fonte della voce. “Sì, dico a lei, che lo vole un sorso? L’è caldo oggi e col suo incedere spedito le vien l’arsura!”. L’uomo trasalì, si guardò più volte intorno senza vedere nessuno, poi alzò il capo verso l’alto e borbottò: “devo essere proprio stressato, se mi par di sentire le statue parlare”.
“L’è la Berta, l’è la Berta!”, mi divertii a quel punto a spaventarlo anche io a mia volta. Il poveretto se la dette a gambe levate e la Berta parve più arrabbiata del solito: “ce l’avevo quasi fatta, maledetto te! Avrebbe accettato da bere e mi sarei liberata dalla tua maledizione!”
Scossi il capo, pensieroso: “Te tu ce l’hai ner capo la maledizione, o Berta! E dov’altro potresti averla, che t’è rimasto solo quello? Non c’è modo di liberarsi da questa condanna. Credi che se ce ne fosse stato uno, starei qui questa sera a discorrere con te? Credi che in tutto questo tempo non avrei provato anche io a riposare in pace? La cattiveria fatta torna sempre indietro. Ed ora eccoci qui, io e te, tu appesa a un muro, affacciata al palazzo dal quale menasti ingiurie contro di me, e io qui, spirito non santo, che più di tanto non posso vagare ma son costretto a rimirare il male che feci. Mi sarei potuto salvare dal rogo, se qualcuno avesse avuto pietà di un assetato condannato a morte. Ma tu no, t’avevi da farti gli affari miei e t’avevi d’allarma’ tutti quanti. Tu me l’hai fatto uscì dal core, quel «E tu di lì il capo non caverai mai»”.
“Oh Cecco, maremma bonina, t’avuto un processo con una popo’ di condanna al rogo che se ‘un tu n’avessi fatto nulla, ‘un tu l’avresti beccata!Ora vahia, che tu mi rovini la piazza! Viandante, che lo voi un sorso?”, riprese con la sua litania.
“Berta, Berta, t’abbocchi proprio a tutto! Tu l’hai fatto allora e tu lo fai tutt’oggi, a offrì da bere a chi non ti può offrire la salvezza!”
“Cecco, se tu fossi ‘ne mi cenci..”
“Se tu fossi stata ne’ mia, di cenci”, la interruppi, “cosa avresti fatto? Quel Duca di Calabria, quello doveva esser maledetto! Prima mi fa convocare per consultarmi sul futuro della su’ figliola e poi, non contento che la mia profezia fosse giusta, s’è vendicato intercedendo con l’arcivescovo Accursio, frate minore e Inquisitore, nonché mio acerrimo nemico, che approfittò della situazione per condannarmi. Ma suvvia, Berta, converrai anche tu che c’avevo ragione: Giovanna la Pazza, questo l’epiteto con cui passò alla storia, una santarellina non lo era proprio. Anche ad occhio disse i’ cieco, non dovetti neanche usare tutta la mi’ scienza per predire che un solo talamo non le sarebbe bastato! La su’ rabbia doveva scagliarla contro il sangue del su’ sangue, non su un uomo di scienza che ha adempiuto al compito per cui era stato chiamato!”
“Senti Cecco, ‘un tu c’avevi niente di meglio da fa’ ad Ascoli? Che tu ci fai ancora a Firenze?”.
“’Un tu’ m’ascolti?! Qui t’ho maledetto e qui son maledetto. Berta, che s’ha di’ di fa’ pace? Dai retta a un grullo: la solitudine è una brutta bestia. Tanto quanto la speranza. Tu berci dal fianco della tu’ chiesa tutto l’anno tutti l’anni: che piova, grandini o col sole, tu ripeti sempre la solita domanda e il massimo che ottieni l’è di spaventa’ la gente. Io so’ condannato a statti a guardare ed ascoltare e mi chiedo se si può trovare il modo per passarla meglio, questa pena. Non che tu mi stia particolarmente simpatica, ma ‘un è che ci s’abbia molta scelta”.
La Berta tacque un attimo e mi parve anche che non si guardasse intorno per cercare gente da infastidire. Che stesse meditando sulla mia proposta? Il dubbio che mi sfiorò fu subito chiarito allorché passò di nuovo qualcuno a cui ella proprio non riuscì a resistere: un ubriaco.
“Viandate, che lo vole un sorso?”, riprese lei tornando a ignorarmi e concentrandosi sulla sua nuova vittima. Ma quello di voci nella testa ne aveva abbastanza per i fatti suoi, per dar retta a quella della Berta. “Viandante, che lo vole un sorso?”, ripetè, sperando di toccarlo nelle sue debolezze. E quello per un attimo parve anche ascoltarla. Alzò il capo, si tolse il cappello, gesto che per la Berta valse per un attimo come un segno di saluto, e glielo allungò, come a chiederle due spicci. E quando ei capì che nessuna moneta sarebbe arrivata, rincappellandosi e continuò nel suo incedere barcollante.
“Viandate, che lo vole un sorso?” – urlò lei ancora più forte – “l’è a ufo!”
Tu gli ufo li vedrai volare – pensai fra me e me – ed io qui con te. Non c’è modo di far ragionare un cuor che spera. Rimarremo qui, vittime di noi stessi e dei nostri tempi, che l’eran bui, ma bui pesti, e per vederci meglio s’accendevan fochi, ma con la gente sopra.