“E’ poco più di una formazione benigna, ma bisogna toglierla” mi dice il medico, un modo carino per spiegarmi che nel mio seno sinistro c’è un piccolo mostro pronto a espandersi e a tentare di portarmi via. Un tumore, non mi è mai piaciuto girare intorno alle cose, preferisco chiamarle con il loro nome, così le affronto meglio. Mentre cerco di capire cosa provo, il pensiero va a mia madre. Da lei ho ereditato gli occhi verdi, le gambe lunghe, il carattere impulsivo e passionale e la familiarità al tumore al seno. Se ne è andata anni fa, fortunatamente e inspiegabilmente senza soffrire per lo stadio a cui era arrivato il male. Si può dire che non se ne sia neanche accorta, almeno per lei la morte è stata dolce. Ma forse perché i suoi mali erano altri: una vita difficile, la depressione, la solitudine. In questo momento, mentre cerco di analizzare il mio stato d’animo, mi rendo conto che indirettamente è lei che mi ha salvato la vita, lei con la sua malattia mi ha costretta a stare all’erta, a fare i controlli per tempo, a non avere paura di farmi strizzare le tette da una macchina per farmi dire come stavo. Forse il cordone ombelicale che ci lega a nostra madre va oltre il taglio della nascita, oltre gli strappi della vita, anche quelli che credi definitivi, quando sbatti la porta senza voltarti indietro per conquistare una nuova libertà. Forse è un ideale passaggio di testimone da donna a donna, un senso di solidarietà istintiva che va oltre i legami di sangue, ma è insito nel nostro essere donne e basta.
Nel corridoio dell’ospedale, da sola come sempre nella mia vita per le cose che riguardano solo me stessa, in attesa del chirurgo che mi spiegherà l’intervento, mi rendo conto di essere serena, tranquilla esattamente come se mi avessero detto che non ho nulla. Sono stupita dalla mia reazione. Io sono quella che si batte senza risparmio per le cause che sposa con passione, che ha imparato ad alzare la voce per dar voce a chi non ce l’ha, che cerca sempre una risposta, una spiegazione e un percorso logico o istintivo da portare a compimento. E anche quella che nella forza apparente nasconde fragilità insospettate e buchi neri di angoscia vissuti come un animale nella sua tana, lontana dal mondo. E invece adesso niente, neanche un piccolo sussulto dello stomaco, un battito accelerato.
Il chirurgo mi spiega l’intervento, mi dice che con l’operazione e un po’ di radio terapia tutto dovrebbe risolversi, mi fissa la camera operatoria per il 1 luglio, mi lascia i numeri di telefono. Ci salutiamo, esco dall’ospedale, cerco un taxi, torno a casa. Continuo a sentirmi tranquilla, so che affronterò anche questa battaglia come tutte le altre della mia vita e la vincerò, non ho dubbi. Non mi sono mai tirata indietro davanti a niente, a niente di importante. Magari ho paura dei film horror o degli scarafaggi, ma le grandi sfide non mi hanno mai piegata. Sono lucida, ho davanti la mia vita, i miei figli, gli amici, i ricordi. Mentre scorrono le immagini nella mia mente, mentre ripenso a volti, voci, odori, sensazioni, suoni, ogni cosa la sento parte integrante di me, del mio essere e del mio percorso. Mi viene in mente la celebre battuta di Blade Runner, uno dei miei film preferiti:” Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”. Sì, ne ho viste di cose, ma non diventeranno “lacrime nella pioggia”, non ancora. Mi aspettano altri giorni e altre notti, pensieri, risate, incazzature, posti meravigliosi, tutto quello che c’è nella vita, nella mia vita. Mia madre mi ha passato il testimone che io desidero passare a tutte le donne, un testimone di forza, coraggio e determinazione. Puoi continuare a sentirti normale, a mangiare, dormire, sognare, ridere anche con il mostro dentro di te, quando sai che c’è e puoi combatterlo. Non voglio più sentire una donna dire, come purtroppo accade spesso:” Non mi controllo, sai, perché non ho mai tempo e poi in fondo preferisco non sapere niente”. La paura che hai e nemmeno ammetti, è la peggiore delle figlie dell’ignoranza, la paura ti paralizza, si impadronisce di te e ti distrugge più del male. L’unica paura che bisogna avere è quella di accorgersi soltanto quando è ormai troppo tardi. E questo mi sembra un concetto applicabile a molte cose, non solo alla malattia. Vorrei che noi tutti, uomini e donne in generale, non preferissimo più di non sapere niente, non facessimo più finta sempre di niente per non vedere, sentire e parlare dei mostri grandi e piccoli fuori e dentro di noi. Ma imparassimo ad affrontarli come si affronta un cancro: occhi aperti, niente paura, e si va avanti. Piccolo mostro che abiti nel mio seno sinistro hai i giorni contati, non mi avrai!
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