Vox populi, Vox Dei.
Il balconcino s’affaccia sulla scoscesa vallata ricoperta da secolari ulivi e con in lontananza la parte occidentale della marina. E’ uno spettacolo poter ammirare l’incredibile connubio del verde collinare con lo splendido azzurro del mare dove, nelle giornate di sereno, si possono scorgere alcune delle Eolie: Alicudi, Filicudi, Salina e, più lontane, Lipari e Vulcano. Tutte le sere,durante la bella stagione, Lo Piparo Giuseppe (mastru Peppe ‘u Curiusu), dopo cena si siede ad ammirare lo spettacolare tramonto mentre si fuma il suo bel sigaro. Anche per questo motivo sta seduto fuori, sul balcone, perché la moglie Nunziata Pregadio (‘gna Nunzia) non gli permetterebbe mai di spandere in casa “l’orrendo feto di quel maliritto sucarro toscano”  (così lo definisce). Quando l’ultimo spicchio di sole si immerge nel mare e la luce comincia ad attenuarsi, l’azzurro del cielo perde la sua luminosità lasciando intravedere una timida luna quasi trasparente e la fioca luce di qualche stella. Ora dal campanile della vicina chiesa giungono i rintocchi sordi del campanile e mastro Peppe comincia a contare mentalmente:

 “Unu, dui, tri … setti e otto” quindi tira fuori dal taschino l’orologio ed esclama:

“Le otto precisi,autro che raloggi sguizzeri! Questo qua spacca il secondo e lo accattai, usato, da don Gesualdo il rologgiaio, ormai havi vintanni … e forsi di più.”

“Fattillo questo cunto babbo chi non sei autro! Don Saverio Mangione quando sona le campani sono almeno l’otto e cinco minuti pirchì è fissato chi a Roma, unni sta il Papa, c’è un’altra ura che è appunto cinco minuti avanti di quella nostrana perciò, visto chi don Gesualdo oramai aggiusta raloggi pi San Pietru e soci (paci all’anima sua!) ”e si segna la ‘gna Nunzia“ porticillo da qualcuno e te lo fai arriparari.”

“Io non ci credo, pirchì l’urtima vota che lo controllai, qualche misata fa, con quello della tilevisione era precisissimo come a quello. Forsi è megghio chi lassi il tuo Papa nell’ura che voli lui, tu piuttosto aggiusta l’ora di quella cazzarola che c’hai nella stanza di manciari con quello di mastro Peppe (e si batte la mano sul petto), che fa inviria puro agli sguizzeri.” E ride soddisfatto mentre ripone in tasca l’orologio.

La ‘gna Nunzia fa spallucce fingendo di non sentirlo mentre, finito di sparecchiare, con la tovaglia in mano, s’appresta a scuotere le briciole sul selciato, poi torna in casa e, presa la scopa, provvede a raccoglierle altrimenti sarà invasa dalle formiche. Mastro Peppe, che ha seguito tutta la scena, si alza sorridendo e corre ad appostarsi dietro la finestra che dà sulla viuzza.

“Ora ridiamo, il cinematografo ora ora accomincia di sicuro!” pensa sfregandosi le mani pregustando lo spettacolo al quale assisterà.

Qualche porta più avanti, di fronte alla loro, abita la signora Parlato Maria (donna Maretta) che la CIA e il KGB associate avrebbero solo da imparare da lei! Sa sempre tutto di tutti eppure fa vita molto ritirata … così afferma lei!

La ‘gna Nunzia ha appena iniziato a ramazzare davanti l’uscio quando si socchiude la porta di donna Maretta la quale, con fare furtivo, mette fuori il capo per sbirciare se ci sono altre presenze in strada e poi, rassicurata, apre completamente la porta ed esce tenendo in mano un sacchetto di rifiuti. Mastro Peppe, appostato dietro la finestra e nascosto dalla tendina osserva con curiosa attenzione e pensa:

“Sapiddu li nuvità? Chissà quale aggiornamento avrà da dare stavota?” e ride di gusto.

“Bona sirata ‘gna Nunzia!” esordisce donna Maretta. “Chi fa state scupannu?”

“Ma quannu mai!” le risponde “Ma non lo sta virenno vossia stessa chi staiu ballanno una mazurca cu mastro manicu di scopa?”

“Hi!hi!hi!, vossia havi sempre vogghia di babbiare” esordisce donna Maretta mentre deposita il sacchetto nel cassonetto. Poi con fare furtivo, guardandosi a dritta e manca , quasi bisbigliando si rivolge alla vicina:

“Commari, nenti sapiti voi? Non lo sapite cosa è successo?”

Un po’ incuriosita dal fare misterioso di donna Maretta, ‘gna Nunzia arresta il suo ramazzare e fa:

“Ditemi commari, che successi?”

Soddisfatta per avere solleticato la curiosità dell’interlocutrice, s’accosta di più a lei e, sempre parlando sottovoce, esordisce:

“Sapiti quella bedda carusa biunna comu al miele, chidda che viene sempri assicutata di tutti i laponi del paisi …”

“Cu è?” l’nterrompe la ‘gna Nunzia “E’ forsi la figghia di quel bruttazzo di Nino Di Santo?”

“Si commari, ci avete inzirtato, idda è! Voi lo sapiti beni che tutte le sire nescio per gettare la munnizza e accussì aieri a sira, verso le dieci, dieci e menza, mentri faciva questa incombenza sentìo, di la strata di sopra, parlari cristiani sottovoce, a muta a muta va!”

“Ah, chista è veramenti una notizia!” esclama ‘a ‘gna Nunzia “E diri che ci pigliati pure la pinzioni pirchì arrisultati surda!”

“Vabbè va, chi c’entra chisto discurso p’accamora, chiùttosto statemi a sèntiri e facitivi cuntari il fatto. Allo scuro, a un certo punto, visti come un’ummira passari con una valiggia nella mano e sapiti cu l’assicutava?”

“Cummari, secunnu vui come faccio a potillo sapìri? A quell’ora, e vui lo sapiti bonu, io era bella curcata e nel meglio sonno sparte!”

“Era idda commari, ‘a biunna, la figghia di Ninuzzu Di Santo e l’ummira chi purtava la valiggedda era Ciccio Monaco, quello che in paisi è intiso come Ciccio ‘u beddu.”

“Certu che a mmia mi pari assai strana sta cosa commari. Ma siti certa? viristovo bonu? Lo sapiti beni puro vossia chi ognunu è maritato pi cunto sò.”

“Certo, certo che lo saccio, ma saccio pure che le picciotte d’oggi sunu … comu c’haiu a diri, senza russore e pure una anticchia tappinaredde. Poi ai picciotti c’abbasta una vestina corticedda e subbito s’avvampano, pigliano foco!”

“Ma chi mi stati dicenno, che Ciccio Monaco era vistuto con una vestina curta?”

“Ah! ah! ah! Commari, mi fate arridiri! Chi fa, mi stati forsi babbianno? No, fu Ciccio chi persi la testa per questa bedda inzurtatura di mascoli chi, e non sugno io chi lo dico, ci fici tante corna a suo marito di fari affrontare un bastimento di  vavaluci! Ma ora, fuirissini accussì come se nenti fosse, è ammissioni di buttanisimo e mittenno nel dileggio paisano quel poviro svinturato e cornutazzo di suo marito e a mmia, ce lo rico come in cunfissioni, non mi pari giusto!”

Per un attimo la ‘gna Nunzia resta muta, appoggiata al manico della scopa sembra sovrappensiero poi, rivolta  a donna Maretta esordisce:

“Ma, me la riciti una  cosa commari? Voi sapiti sempri chiddo che succeri in paisi, sapiti tutto di tutti, ma come mi spiegati sto fatto, ah?”

“Accussì mi stati affinneno commari! State parlanno come a  una malalingua e io non me lo merito!  Vossia lo sapi bonu che sugnu casa e chiesa e chi nescio di casa sulu due volte durante la iurnata: la matina presto per la prima missa e doppu manciatu pi fari tanticchia di spisa.”

“Veru è donna Maretta, però poi la sira nisciti per gettare la munnizza, nevvero?”

…………. Enrico  Izzo …..…….