Vestiva un abito nuziale.
O meglio, quel che ne restava.
Le balze di trina pencolavano come festoni male appesi, e lo squarcio netto nell’ ampia gonna mostrava una gamba illividita dalle ecchimosi, maldestramente fasciata con uno scampolo di velo.
La novella sposa stringeva tra le mani una carabina.
Nonostante lo stato penoso della gamba procedeva di buon passo. Determinata.
La prima ad avvistarla fu la moglie del farmacista.
Che corse a dare la notizia al marito.
Il quale si fece sull’uscio della sua botteguccia, incuriosito, giacchè in quel posto di frontiera, dimenticato da Dio e dagli uomini, erano ben pochi i forestieri che vi si avventuravano.
Così la coppia, ferma sull’uscio, si godeva l’anteprima di quella novità inattesa che, di lì a breve, avrebbe di sicuro calamitato l’attenzione dell’intero paese.
Intanto, la figura ancora lontana all’orizzonte, acquistava contorni sempre più nitidi in fase di avvicinamento.
E’ una donna! Esclamò la moglie del farmacista, notando lo svolazzamento disordinato della gonna
Una donna! Le fece eco, attonito, il marito.
Una novità assoluta.
Anche la sposa, dall’altra parte, aveva scorto la coppia che, schermando gli occhi con le mani seguiva, immobile ed attentissima, il suo avanzare.
Lei proseguiva ora un pò più lentamente. Circospetta. Con la pistola bene in vista.
Fermandosi a debita distanza quando i due entrarono nitidamente nel suo campo visivo.
– Non ne avete bisogno – disse il farmacista, indicando la carabina.
– Siamo gente pacifica – puntualizzò la moglie.
– Siete ferita? Cosa vi è successo? – domandarono quasi all’unisono, andandole incontro.
– Fermi dove siete. O sparo! – intimò la sposina con accento straniero, ma con tono deciso.
– Cara, vogliamo solo aiutarvi. Siete ferita. Cosa vi è accaduto? – piagnucolò suadente la donna
– Niente che possa riguardarvi. Ma accetto l’aiuto. Alcool per disinfettare e qualche benda. Una borraccia d’acqua ed un pò di cibo. Non mi occorre altro –
– Siete capitata nel posto giusto. Mio marito è farmacista. Vi aiuterà molto volentieri. E se volete ristorarvi la nostra casa è a vostra disposizione – disse ossequiosa la donna, quasi flettendosi in un inchino.
– Sapete qui non viene mai nessuno. E saremmo davvero lieti di esservi di un qualche conforto. E, a quanto appare, ne avete davvero bisogno – s’intromise il farmacista, con la gradevolezza della sua voce.
La sposina era davvero esausta. La gamba le pulsava dolorosamente. E non mangiava da un paio di giorni. Avrebbe tenuto sempre con sé la pistola. Sarebbe stata in guardia. Ma aveva davvero bisogno di un pò di ristoro per proseguire il suo viaggio.
Nella frescura del retrobottega il farmacista provvide a lavare, disinfettare e bendare le ferite. E cospargere abbondantemente d’unguento le piaghe inferte dal sole.
Sul collo, però, era la ferita peggiore.
Un segno di cicatrice, doppia e simmetrica, nettamente incisa nella carne.
Il disegno di un collare.
– Chi vi ha fatto questo, bambina? – le chiese con dolcezza, indicando la cicatrice.
– Non è affar vostro – rispose aggressiva, spianandogli in faccia la pistola.
Poi, in tono più mite – Non fatemi domande, per favore –
La moglie del farmacista, nel frattempo, era ritornata con una bottiglia di sidro, del pane ed un pasticcio di carne. E frutta fresca.
Mai banchetto nuziale ebbe sposa più affamata ed entusiasta.
Il colore le era tornato sulle gote, e gli occhi sfavillavano di verde luminoso.
Un piccolo rutto, infine, per sancire il gradimento. Prima di essere travolta dall’urgenza del sonno.
– Latte di papavero, una giusta dose, mescolato al pasticcio di carne. Insomma, la poverina aveva assoluto bisogno di dormire – bisbigliò la moglie del farmacista – Così, forse, riusciremo a sapere qualcosa di lei. Intanto le prendo la pistola –
– E come pensi di sapere qualcosa di lei se non ha nulla con sè che possa chiarirci la sua identità, né la sua provenienza? – obiettà il marito.
– Intanto potresti farle un esame fisico. Una visita medica, insomma – suggerì la donna
– Ma non sono un dottore – replicò lui
– Allora gliela faccio io. Non ci vuole una laurea in medicina per verificare certe cose – rispose sarcastica la donna, sollevando la gonna della sposa.
– A cosa ti porterebbe una verifica del genere? –
– E’ vestita con un abito nuziale ma non era diretta di certo all’ altare. Magari è una sgualdrina. Un’impostora. Una fuggitiva. Ne ha tutta l’aria. Forse sulla sua testa c’è una taglia. Dovresti andare in città e controllare all’ufficio dello sceriffo –
– E se invece fosse successo qualcos’altro? Magari è stata rapita – suggerì l’uomo
– La visita medica a questo serve. Se è vergine, vale la tua ipotesi. Se non lo è, allora ho ragione io. E tu andrai a verificare in città – concluse drastica
– E’ un idea strampalata la tua. Priva di qualsiasi logica – disse il farmacista, scuotendo il capo
– Ha la logica del buon senso – rispose acida la moglie – E d’altra parte non c’è altro modo –
– Potremmo chiedere a lei. Ascoltare la sua storia – ipotizzò lui.
– E tu saresti disposto a dar credito ad una donna che attraversa a piedi questo deserto, vestita con un abito da sposa a brandelli ed armata di pistola? – sogghignò la donna
– Tu nutri dei pregiudizi. Non sei obiettiva. E’ già colpevole seppur non sappiamo di cosa – rispose il marito, rassegnato ormai da tanto tempo a subire quel carattere apodittico.
– Quale obiettività? – sentenziò ancora più aspra – C’è il bene e c’è il male. Ci sono le donne oneste e le sgualdrine. Quelle che vanno all’altare e quelle che, invece, si danno alla fuga. E’ questa per me l’obiettività. Non mi sembra che ci sia molto da congetturare. L’esame vaginale darà il responso – fu la sintetica, inopinabile, arringa conclusiva
– Ha un’orrenda cicatrice sul collo. Come quella lasciata da un collare stringente che, tenuto per troppo tempo, ha inciso profondamente le carni. Forse ha subito torture. Forse era prigioniera – azzardò come estrema tesi difensiva il buon farmacista
– Ha una pistola. E ce la puntava contro. Non mi sembra così timida. Né indifesa. E tu stai perdendo pretestuosamente del tempo prezioso. Spicciati a visitarla, prima che l’oppio perda la sua efficacia e lo sceriffo chiuda il suo ufficio – concluse, categorica, la donna.
Il farmacista, rassegnato, adagiò la sposa sul tavolo di marmo dove preparava le sue misture, e si accinse ad espletare l’incarico impostogli dalla consorte.
Sentendosi un pirata che s’appresta a profanare uno scrigno devotamente sigillato.
Ma lo scrigno, ahimè, non era affatto sigillato.
Altri pirati avevano già abbondantemente attinto a quel tesoro.
La sposina non era vergine.
Avvilito il farmacista le riassestò pudicamente la gonna sulle gambe.
Con dita tremanti frugò nel corsetto.
Alla ricerca di una chiave. Di una lettera.
Di un monile.
Insomma di un indizio qualsiasi che portasse alla sua identificazione.
Ma il corsetto, strettamente allacciato, non conteneva null’altro che i seni.
Stiamo cercando verità nascoste quando forse la verità è alla luce del sole, visibilissima nello squarcio urlante di quella ferita. Pensò, addolorato, il farmacista.
– Allora? Cosa hai appurato? – la voce stridula della moglie lo fece sobbalzare
– E’ vergine – rispose lui, sorprendendosi della fermezza del proprio tono.
E dell’affermazione, decisa e senza tentennamenti, di quella bugia sancita come verità inoppugnabile.
– Brucerai all’inferno. Insieme alla sgualdrina che stai proteggendo. E’ entrata armata nella nostra proprietà, ci ha tenuto sotto tiro con la sua carabina. E, alla fine, ti ha anche sedotto – proruppe furiosa la donna – Ma sono sicura che ci penserà lo sceriffo a ristabilire la verità. E fare giustizia –