“L’uomo cattivo assomiglia al carbone:
se non ti brucia, ti sporca.”

Confesso che la prima sensazione alla lettura di queste parole è stata di desolante rassegnazione. Mi risuonavano nella mente simili ad una condanna inevitabile e scontata,
alla quale impossibile sottrarsi, una volta si fosse avuta la sfortuna di incontrare e confrontarsi con quell’ “uomo cattivo”.
Ma poi, passato quel primo istante di turbamento, ecco invece fare capolino un sopito ma salutare senso di sopravvivenza, la consapevolezza di una speranza:
se sei ancora qui a parlare delle tue vicissitudini ed esperienze negative avute e vissute con “l’uomo cattivo”, significa che sei ancora viva, che respiri, che lotti – pur ferita – e che dolore e sofferenza non hanno ancora avuto la meglio su di te, non hanno comunque intaccato il tuo primordiale attaccamento alla vita, e che quel fuoco non ti ha ancora bruciato carbonizzando definitivamente sogni e speranze.
Significa che l’incendio distruttivo, alla fin dei conti, proprio tale non è, e che se non sei perita nelle fiamme di un carbone ardente, ti sei magari sì sporcata di nero, ma sei comunque viva, e respiri, e ti viene concesso l’impagabile lusso di una ulteriore possibilità, di lavare via il nero, sia pur incrostato ma non indelebile, e di ritornare a colorare la tua vita, dapprima magari a fatica, attraversando tutti i toni del grigio, ma poi – via via – risalendo tutta la gamma dei colori più vivaci e vitali, per riuscire, ancora una volta, a tornare a dipingere il tuo sentiero con i pennelli della fede e della speranza che non tutto sia perduto, ancora no.
Ecco, allora, l’insegnamento – prezioso e involontario – derivato dal carbone/uomo cattivo: ci si può scottare, si può soffrire, penare, bruciare, sì.
Ma finché un alito di vento manterrà vivo quel fuoco (e il tuo respiro), non sarà ancora scritta la parola fine.