Matilde è nata a Giugno.
Faceva caldissimo.
Una mattina presto, a tempo scaduto, mi sveglia del liquido tra le gambe e mi fiondo in bagno in allarme. Chiamo la ginecologa la quale mi dice di farmi una doccia con calma e di avviarmi verso la clinica perché la bimba sarebbe nata da lì alle successive 24 ore.
Arrivo in clinica e mi controllano in 2 medici prima, la mia ginecologa poi. Il sacco è parzialmente rotto ma non ho altre perdite né contrazioni. Mi ricoverano. Rimango attaccata alla fascia del monitoraggio per tre giorni ma Matilde non si muove, sta beata dentro la pancia di mamma a succhiarsi il pollice e a cullarsi al caldo.
Entro in clinica il martedì. Il giovedì sera alle 22:00 si va in sala travaglio perché la ginecologa e l’ostetrica di turno decidono di cominciare ad indurre il parto con l’ossitocina.
Comincia il viaggio.
In sala travaglio ci sono io con mio marito e l’ostetrica e, separata da una tenda, un’altra mamma attaccata al monitoraggio. In poco tempo iniziano le contrazioni. Gianluca è fantastico, mi massaggia i reni che pulsano, mi tiene le mani, mi bagna le labbra. E’ doloroso ma l’ostetrica si sorprende di quanto io sia tranquilla. Il corso pre-parto ha funzionato a quanto pare: prendi l’aria nella pancia…butta fuori l’aria… prendi l’aria… buttala fuori… respiro lentamente e a fondo.
Funziona.
A un certo punto la ginecologa mi visita e mi dice: se vuoi l’epidurale questo è il momento di scegliere.
Le chiedo: quanto tempo crede che ci vorrà ancora? Erano le 2:00 del mattino o giù di lì.
Lei: un’oretta e mezza… ma considera che sarà il momento più intenso… la bimba deve uscire. Secondo me, visto come sta andando, ce la fai senza, ma scegli tu…
Io: ok, ce la faccio.
Poi, arriva il colpo, una contrazione fortissima che dura un sacco di tempo e mi fa davvero male….
Vomito. Mi sento in super colpa nei confronti della ragazza che sta vicino a me che invece non fa un fiato.
Io: dov’è l’anestesista? Voglio l’epidurale per favore.
Entra SuperMario. Uno spettacolo. Un ometto alto un metro e mezzo tutto vestito di verde che si chiama Pino Pallone. Solo per il suo nome lo ringrazio. Che ridere.
Mi fa la puntura. Un sogno, non sento niente. Le ultime contrazioni le percepisce la dottoressa, io sento poco.
A un certo punto mi dice: ci siamo, andiamo in sala parto.
Mi accompagnano in sedia a rotelle, sento solo un grosso peso tra le gambe, pare che la testa stia uscendo.
Mi adagiano sul lettino, sono sdraiata con le gambe sollevate. Gianluca è dietro a me. Alla mia sinistra c’è un dottore, davanti a me l’ostetrica e la ginecologa.
Matilde è una bimba grossa, mi fanno l’episiotomia.
Sento solo netto il taglio delle forbici, una lancinata di un microsecondo.
Vai Francesca spingi, non in gola, in basso. Non mi accorgo di dove spingo ma a quanto pare non nel punto giusto.
Ma Matilde nasce. La sento, me la poggiano sulla pancia, un piccolo elfetto rugoso e rosso, è lunghissima e magra magra. Non ci capisco più niente.
La prendono e la portano nella sala accanto dove va mio marito che la osserva mentre la lavano e la puliscono. La mettono in braccio a lui.
Io resto sdraiata mentre mi ricuciono. Mi ricordo un momento fastidioso e lungo. Una marea di punti e tante garze.
Finalmente vado in camera e mi portano la mia piccola. Sono passate da poco le 4:00.
Entra mia madre che mi abbraccia. Ha aspettato tutto il tempo in sala d’attesa con mio padre e mia sorella che nel frattempo è arrivata in aereo dalla Francia col suo fidanzato.
Mi attaccano Matilde al seno. Mi ricordo che mi sentivo veramente stordita.
Mi addormento.
Passano un giorno, due giorni, mi cambiano di stanza, Matilde dorme, dorme, dorme. Nessuno mi spiega che devo svegliarla per darle da mangiare, nessun medico passa per spiegarmi come attaccarla al seno. Perde peso. Il terzo giorno scoprono che è giallina, la bilirubina è alta, troppo. Via in fototerapia.
A me sale il latte, ho il seno che esplode. Qualcuno mi spiega finalmente come fare a tirarlo. Vado su al nido e le porto il latte che riesco a tirare. Glielo danno ogni tre ore prima del latte artificiale.
Mi dicono che il mio latte è poco e che lei deve prendere peso.
Stiamo dentro altri due giorni. Ormai è lunedì.
Usciamo il martedì e passiamo la prima notte a casa, Matilde, io e mia madre nel lettone.
Il mercoledì mattina siamo di nuovo in clinica per i controlli e trattengono la bambina ma non me. Lei ha ancora bisogno di luce blu.
Torniamo il giorno dopo. Distrutti, io stanca morta.
Fortunatamente la bilirubina è scesa, posso portare Matilde a casa. Esco dalla clinica con la prescrizione per il latte artificiale, biberon e tettarelle.
E’ giovedì. A casa mia madre mi attacca Matilde al seno e lei non si stacca più. Non ha mai più bevuto un goccio di latte artificiale. L’ho allattata per un anno.
Sono giorni lunghi, confusi e pieni di lacrime. Siamo in pieno trasloco, la mia depressione comincia a farsi sentire.
Vivo giorni, mesi di angoscia, guardando questo esserino meraviglioso che cresce e io che non sono né carne né pesce, angosciata e persa. Mi sento una pessima madre, invece lei è un angelo.
Ne esco dopo sette mesi, quando torno a lavoro.
Santo santo santo il mio omeopata che mi ha curato.
Santi santi mio marito e mia mamma che mi hanno amato lo stesso anche se non ero più me stessa.

A febbraio di due anni dopo nasce Nicolò.
Non era previsto che arrivasse così presto ma lui ha deciso così. Avevo da poco iscritto Matilde al nido, finalmente sognavo qualche ora di tranquillità, di riposo, qualche ora per me. E invece.
Piango per giorni quando scopro di essere incinta di nuovo. Ma lui è lì, non si tocca.
Ci mettiamo mesi per scegliere il nome, forse lo decidiamo i primi di febbraio.
Il 12 febbraio sono da Ikea a comprare una cassettiera per due e me la carico sul carrello.
Il 13 febbraio alle 5:00 del mattino dico a mio marito: credo sia ora di andare.
Chiamiamo i miei genitori per farli venire a stare con Matilde. Arrivano belli tranquilli alle 7:00 che io sbuffo aggrappata al tavolo della cucina.
Percorriamo via Gregorio VII in un attimo. Arriviamo in ospedale che sono già dilatata di 6 centimetri.
Mi attaccano al monitoraggio e mi dicono che per l’epidurale è tardi.
Ma dai, tanto è il secondo, nascerà in un attimo vedrai…
E’ di turno la stessa ostetrica che mi aveva fatto i monitoraggi la settimana prima. E’ giovanissima, molto bella. Si chiama Giorgia. E’ di una calma contagiosa. Sono tranquilla.
Entra Gianluca in sala. E’ vicino a me.
Chiamo mia sorella che stava andando a lavoro. Mi dice che torna a casa e prende il primo volo in partenza. E’ incinta anche lei.
Giorgia mi propone di partorire seduta su una sedia norvegese. Una novità. Se ti va di provare…
Perché no? E’ incredibile la sensazione, il peso che sento scendere verso il basso, la forza di gravità, i muscoli che si contraggono, le spinte. Gianluca si mette in piedi dietro a me. Giorgia è davanti a me seduta e ho un cuscino sotto le gambe.
Sento la testa che esce. Mi rendo conto che grido come un’isterica, fa veramente male. Sento i muscoli che si aprono per lasciar passare il cranio e poi si richiudono. E’ una sensazione nitida e molto intensa. Mi sento la Madre Terra. Ho un’energia in corpo che quasi mi spaventa, mi sento forte, una guerriera all’attacco. Urlo: non ce la faccio, non ce la faccio. Invece eccolo, un’ultima spinta. E’ lui che mi guida, il mio piccolo, lui che si fa spazio nel mio corpo e chiede di nascere, lui che in sincronia perfetta coi miei movimenti viene al mondo. E’ un momento incredibile. Mi sento Minerva, una supernova. Non ho mai più vissuto un momento di uguale intensità in tutta la mia vita.
Sono le 9:00.
E’ un altro bimbo grosso, pare che io sia capace di far nascere solo creature grandi. Sta bene.
Altra seduta di cucito e arazzo, nelle mani di diverse tirocinanti, questo punto lo fai tu, questo tu. La ginecologa di turno che istruisce i dottorandi.
Finalmente posso uscire. Sono in corridoio. Incrocio una ragazza che stava facendo il monitoraggio nella sala accanto a dove ho partorito. Ha gli occhi terrorizzati. Mi chiede: fa davvero così male? E io: No, sono io che strillo tanto in genere. Non so se la tranquillizzo…
Mi portano Nicolò. Si attacca al seno in un secondo e succhia voracemente. Che differenza.
E’ tranquillo, mangia e dorme sereno. Ha i valori della bilirubina lievemente alterati, per questo ci trattengono un giorno più del normale ma torniamo a casa presto.
Sono felice di tornare da Matilde, mi è mancata tanto.
La depressione stavolta è più forte e arriva subito. Sono molto stanca. Matilde non ha ancora due anni. Nicolò a casa dorme poco e urla molto, è un bimbo che richiede molto tempo, tempo che sottraggo a sua sorella e questa cosa mi fa impazzire. Faccio sforzi disumani per conciliare il tempo con tutti e due. Sono terrorizzata.
Vorrei solo dormire e coccolarmi Matilde.
La cosa positiva è l’allattamento. Nico succhia alla grande, attaccato al seno sta come un sultano.
Anche stavolta mi abbandono a mia madre e all’omeopatia che aiutano tantissimo. Gianluca prova a starmi vicino come può, cerca di tirarmi su anche se non sa da dove cominciare, come prendermi. E’ difficile anche per lui. Vedo qualche giorno di sole in mezzo al buio. E’ dura, dura.
Ma piano piano passa, riprendo contatto con la vita, con me stessa, imparo a conoscere e ad amare mio figlio. Loro cominciano a giocare insieme, a comunicare. Lui fa passi da gigante guidato da sua sorella. Sono straordinari. Li ringrazio per come sono stati capaci di non farmi sentire in colpa per essere stata così sbagliata in quei mesi.
Li ringrazio per avermi amato lo stesso anche se non ero più me stessa.