Storie
Quella sera, quando giunse al ristorante, Angie Rose trovò Apache e Gina vestiti elegantemente e in procinto di uscire. Dalla cucina giungevano le voci di Jean Baptiste e Marta che discutevano sulla supposta supremazia dell’arte culinaria francese. La piccola messicana lo sfotteva con dolcezza mentre lui, invece, mancando totalmente d’ironia, s’accalorava nel difendere la sua tesi partigiana.
«Nuestras tortillas, por ejemplo, son mucho más ricas y apetitosas che tu crepes, y te satisfacen mas.» Lo provocava Marta in tono semiserio, deliziandosi delle reazioni molto teatrali di lui.
«Mon dieu que dois-je entendre.» Rispondeva Jean Baptiste, tappandosi le orecchie e scuotendo il capo: «tes tortillas rassasient l’estomac» obiettava, inspirando l’aria e gonfiando le guance «mes crêpes, par contre, nourrissent l’âme» concludeva, espirando con un’espressione beata.
Gina, splendente di paillettes, le andò incontro sorridente «Quei due non sono quasi mai d’accordo su niente…vedrai che prima o poi si sposano». Indicò ridendo la cucina, dove la disputa ancora continuava.
«Siete bellissimi!» Esclamò Angie Rose abbracciando in un unico sguardo Gina e Apache: «Andate da qualche parte?»
«Al Majestic danno “Il fantasma dell’opera”, ma trovare i biglietti, t’assicuro, è stata davvero un’impresa, ma che ci dà l’opportunità di festeggiare il successo di un’altra impresa, quella di Apache» Lui rispose alzando il pollice.
«Ad ogni modo non volevamo andar via senza averti rassicurata sul buon esito della vicenda e sui suoi sviluppi» Apache aggiunse visibilmente soddisfatto. «Ho consegnato la borsa ad un mio amico, un ispettore di polizia che mi doveva un favore e che ha provveduto a pattugliare la zona con agenti in borghese. Alla vecchia signora non verrà imputato niente e non risulterà in alcun modo coinvolta nella vicenda. Quei soldi, finiti nel vostro cortile, sono il provento del riscatto per un rapimento. L’aver indicato il posto dove la borsa è stata ritrovata favorirà la cattura dei sequestratori, sebbene uno di loro è già nelle mani della polizia. A proposito, le banconote erano segnate, la tua amica non avrebbe mai potuto spenderle, ma in cambio avrebbe corso grossi rischi perché quella è gente che non scherza».
«Grazie» Angie Rose lo baciò su una guancia. Era la prima volta che lo faceva. Lui accolse con naturalezza quel gesto spontaneo «E di cosa, piccola? Sarebbe stato impossibile fallire con un piano perfetto come il nostro».
Gina, con discrezione s’era allontanata dirigendosi alla cucina, da dove era poi ritornata con Jean Baptiste e Marta. Dal ripiano di una credenza trasse un vassoio apparecchiato con cinque flute e una bottiglia di Bollinger
«Champagne: le nectar des dieux est français. Pas italien, pas américain…» e lanciando un’occhiata significativa a Marta «… encore moins mexicain »
«Touche». Rispose lei ridendo
«Jean Baptiste, ho notato che quando discuti con Marta le parli in francese. Perché?» Domandò Gina
«Perché così non può sopraffarmi con la sua parlantina». Rispose lui, lanciando un’occhiata di traverso alla giovane messicana.
«In realtà è sempre lui che parla, e così il francese ora lo capisco abbastanza bene» Spiegò Marta con un sorriso Poi, rivolta a Jean Baptiste: «tout ce que tu fais c’est me parler en français…Je pourrais vous répondre immédiatement … mais je vous laisse parler pour en savoir plus». Pronunciò la frase in maniera fluida, senza tentennamenti e in un piacevole mix di accenti ispano-francesi.
«Diable de femme!» Esclamò Jean Baptiste, alzando le mani un segno di resa.
Apache rise: «Non so cosa abbia detto Marta perché, a differenza di lei non parlo la tua lingua, ma il tuo commento, Jean Baptiste, è inequivocabile». Poi sollevando il calice disse: «Brindiamo alle donne». Tutti alzarono i loro bicchieri toccando quelli degli altri.
«E all’amicizia». Propose Gina. I bicchieri tintinnarono di nuovo
«E alle imprese riuscite». Le fece eco Angie Rose, sollevando il suo calice verso Apache.
«Sono una bellissima coppia» sospirò Marta dopo che Gina ed Apache furono usciti «E’ un vero peccato che non stiano assieme»
«Magari non è così» Disse Jean Baptiste, con l’aria di di chi la sa lunga.
Marta ed Angie Rose si voltarono a guardarlo sorprese.
«Tu li conosci da molto…cosa sai di loro?» Domandò la piccola maya «Non è curiosità la mia, mi piacerebbe saperne di più perché voglio bene ad entrambi.»
Erano seduti a cenare, come sempre a quell’ora, prima dell’apertura del ristorante al pubblico.
Jean Baptiste, al centro dell’attenzione, non si fece pregare. Quella sera, poi, si sentiva particolarmente ispirato dall’atmosfera, romantica e corsara, che continuava ad aleggiare nella sala anche dopo che Gina ed Apache furono usciti.
«Quando Gina rimase vedova la sua bellezza strepitosa attirò molti pretendenti dell’alta borghesia, e perfino qualche aristocratico, ma lei aveva le sue idee e non volle risposarsi. Con il sostanzioso lascito del marito, un dirigente della Citibank, aprì questo ristorante. La decisione non piacque alla famiglia, una delle più in vista della città, che la osteggiò in tutti i modi per indurla a desistere e sposare uno dei suoi ricchi corteggiatori. Ma lei tenne duro e perseguì il suo obiettivo. Fu in quel periodo che conobbe Apache. Colpo di fulmine per entrambi. Ma alla famiglia di lei neppure questa sua scelta andava bene: un ex stunt man caduto in disgrazia e con problemi d’alcool, quando aveva rifiutato uomini di altissima reputazione e con ingenti patrimoni. Inaccettabile, per la sua famiglia. Benché pressata ed ostacolata non cedette, così il padre la diseredò» Jean Baptiste s’interruppe per versarsi una dose di Bordeaux Rouge e tagliare il suo filetto alla Chateaubriand (era la sera della cucina francese) ancora intatto nel suo piatto. «Délicieux.» Disse, approvando sé stesso.
«E’ davvero squisito». Convenne Angie Rose intenta ad intingere i pezzetti di carne nella salsa bernese.
«E..allora? Cosa è accaduto dopo?» Incalzò Marta che, invece, non aveva ancora iniziato a mangiare.
«Perché non mangi? Non ti piace?» Domandò apprensivo Jean Baptiste indicando il piatto ancora pieno. Nonostante le loro schermaglie si capiva che teneva molto a lei e al suo giudizio.
«Mi delizio del suo profumo in attesa che tu termini la storia» Rispose lei, sollecitandolo in quel modo a riprendere il racconto.
«Apache, quando lo seppe, pregò Gina di lasciarlo e riappacificarsi con la sua famiglia. Ma lei fu irremovibile. Era davvero innamorata e mai avrebbe rinunciato a lui. Le cose andarono avanti fin quando di Gina iniziò ad occuparsene la stampa, per via di quella sua voce che infrangeva il vetro, e poi anche Hollywood, che ne avrebbe voluto fare una star. Tutto questo interesse nei riguardi di Gina toccò anche lui, che non la prese bene»
Jean Baptiste fece una pausa per bere un sorso di vino e i suoi occhi andarono al piatto di Marta ancora intatto, così s’affrettò a riprendere il racconto: «Venne tirato in ballo il suo passato, la sua attività di stunt man, l’incidente che l’aveva reso zoppo e la sua caduta nell’alcolismo. Perfino la sua mancata storia d’amore con l’assistente sociale che l’aveva aiutato a ricostruirsi, divenne materia di gossip. Tutto manipolato e romanzato. Sarcasticamente, e con spregio, iniziarono a chiamarlo “Il signor Colombo”, un appellativo per arrampicatore sociale e mantenuto, nonostante Gina fosse stata ripudiata dalla famiglia e diseredata. L’insulto di quel nome era stato per Apache la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, così, nonostante fosse innamorato di lei, se ne andò. Ma quando Gina fu costretta a letto per le complicazioni di una polmonite, Apache tornò per offrirle conforto ed aiuto. Si occupò della sua convalescenza e della gestione del ristorante. Nel frattempo il clangore sulla loro storia s’era chetato, e seppure a qualche giornaletto di gossip non era passato inosservato questo suo ritorno, la notizia non destò più troppa curiosità. Si amavano, ma quello che era accaduto li aveva profondamente scossi, in particolare Apache, umiliato dall’appellativo di “signor Colombo” che immaginava il matrimonio, o la convivenza, lo avrebbero legato. Ma a quel tipo di legame non mirava neppure Gina che aveva visto, nel corso della sua vita matrimoniale, la passione trasformarsi in tenera abitudine. Così decisero che il loro rapporto non aveva bisogno di alcun tipo di convalida e che sarebbe durato solo il tempo della passione, non un giorno di più. Per questo avrebbero condotto vite indipendenti pur continuando a lavorare insieme (se Gina è il cuore di questo ristorante, Apache ne è il motore) e riservandosi per loro quei meravigliosi momenti rubati che la passione con impeto sollecita. E a quanto pare la cosa funziona». Concluse compiaciuto. Poi, guardando il piatto ancora colmo di Marta, le intimò: «L’histoire est finie. Maintenant tu peux manger».
«Oui». Sospirò lei con aria sognante, accingendosi a consumare la sua cena ormai fredda.
Angie Rose aveva ascoltato la storia in silenzio, senza mai interrompere né porre domande, Non c’era niente da chiedere perché nel suo breve racconto Jean Baptiste era stato esaustivo. Un grande amore, quella tra Apache e Gina, che ancora, dopo tanti anni, non s’era offuscato ma anzi brillava di luce purissima, e lei stessa quella luce l’aveva percepita nel loro modo d’intendersi.. Si sentì invadere da una gamma infinita di sensazioni e, tra queste anche una punta di gelosia, ma non verso Gina, non avrebbe mai potuto nutrire sentimenti malevoli nei suoi riguardi, ma per quell’amore così grande e generoso, da farle desiderare di essere, anche solo per un momento, al suo posto. Mai aveva amato e mai nessuno l’aveva amata in quel modo. Quelle che aveva definito, fino a quel giorno, le storie più importanti della sua vita, le apparivano ora come banali flirt, privi della possanza e della poesia di quell’amore così romantico e carnale. Immaginò che un bacio di Apache l’avrebbe fatta risplendere, trasformandola da particella in atomo, e colmando la sua esiguità pienezza sarebbe emersa dalla penombra come luce viva, abbagliante di sentimento.
Si accorse che Jean Baptiste la stava guardando e allora si riscosse, temendo che quei suoi pensieri trapelassero dallo sguardo e potessero venir fraintesi.
«Preparo i tavoli». Disse alzandosi e tirando fuori da uno stipo la mise en place primaverile.
Era stata lei a suggerire di allestire la sala con tovaglie e stoviglie in base alla stagione e Gina con entusiasmo l’aveva accolta. Insieme erano andate a scegliere i tessuti, e poi i servizi d’abbinarci.
Trasse dallo stipo la pila delle tovaglie di lino nella raffinata fantasia botanical e sorrise al ricordo di quel piacevole pomeriggio di shopping di fine gennaio. Un pomeriggio limpido ma freddo, così che dopo gli acquisti, per scaldarsi, s’erano rifugiate in una piccola sala da thè, molto accogliente e poco rumorosa, dove la cameriera le aveva scambiate per madre e figlia. Avevano sorriso di quella svista, senza però smentirla e stando al gioco.
«E’ bello averti come madre». Aveva detto Angie Rose quando la cameriera se ne era andata.
Gina aveva avvertito nel tono leggero della voce una nota di profonda tristezza «Non parli mai della tua famiglia e per discrezione non ti ho mai fatto domande.»
«Non c’è molto da dire. E’ ormai una storia del passato che però continua a far male, e penso che farà male per il resto della vita». Rispose, continuando a rimestare col cucchiaino nel liquido della tazzina in un gesto meccanico, perché lo sguardo era lontano.
«Mia madre è una donna impossibile, una di quelle che non ascolta e non dialoga. Una donna piena di certezze, perché la sua visione del mondo, nettamente diviso tra il bene ed il male, non lascia posto al dubbio. Così, quando a diciassette anni sono rimasta incinta non me lo ha perdonato. Il suo verdetto è stato immediato ed inappellabile: colpevole! Non ha avuto dubbi nel condannarmi, non mi ha chiesto spiegazioni e neppure concesso attenuanti. Ero scivolata dalla parte del male e affinché tornassi sulla retta via, mi ha messo alle strette: o ti sposi o abortisci. Io non volevo sposarmi, non amavo Luke…mi piaceva ma non lo amavo. Era solo una storia di sesso, la nostra. E poi neppure lui voleva quel matrimonio, una facciata per giustificare la nascita del bambino che io, però, avrei comunque voluto per me sola. Ma lei, invece, aveva incrudito il suo ultimatum: o abortisci o denuncio Luke. Mia madre è figlia di un magistrato molto influente, e Luke era già maggiorenne e passibile di pena, sarebbe stato rovinargli la vita. Così ho abortito. Compiuti i diciotto anni me ne sono andata di casa.»
«E tuo padre? Cosa ha detto? Che reazioni ha avuto?»
«Mio padre è uno che non vuole problemi. Soprattutto con mia madre. Così ha sempre lasciato che fosse lei a decidere, adeguandosi alle sue scelte. Lui ama la sua vita tranquilla e programmata, che ruota attorno al suo studio d’architetto e al circolo del golf, ai pranzi domenicali coi nonni e alle partite a poker con gli amici. Un mondo circoscritto e selettivo, quello dei miei genitori, dove non c’è posto per l’imprevisto E quando questo accade, semplicemente si fa in modo di cancellarlo».
«Ma la tua famiglia, dopo che sei andata via, non ti ha più cercata?».
«Si, mio padre, tramite un detective. Presumo, però, che abbia dovuto discutere a lungo con la mamma per farle accettare questa sua iniziativa di cui, ad ogni modo gliene sono grata, perché quella deve essere stata l’unica volta che ha fatto valere una sua decisione: un atto di coraggio» Aveva sorriso, ma gli occhi erano tristi. «Ma quando ha saputo della mia volontà di fare l’attrice non mi ha più cercata, anche se sospetto che siano al corrente di ogni mia attività per controllare che non mi cacci in qualche casino a scapito del buon nome della famiglia».
«E’ una bella storia». Disse Gina, carezzandole una mano.
Angie Rose la guardò stupita «Davvero? Non pensi che sia triste?».
«Per il bambino che non hai potuto avere…si, quella parte è davvero molto triste perché ponendoti davanti alla scelta tra la vita di Luke e quella di tuo figlio in realtà non ti ha dato nessuna scelta.
Qualunque cosa tu avessi deciso, però, l’ultima parola sarebbe spettata ai tuoi genitori perché eri minorenne. Ti hanno fatto credere che tutto dipendesse da te quando, in realtà, non potevi scegliere niente: ti hanno abilmente manovrata» S’interruppe per darle il tempo di riflettere, e poi proseguì: «Ma tutto quello che è accaduto dopo non è affatto triste, perché è il racconto della tua rinascita: sei andata via di casa, non ti sei cacciata nei guai, hai trovato la tua strada e persegui il tuo sogno. Hai avuto il coraggio di voltar pagina. Di ricominciare. Una storia decisamente positiva».
“Una storia decisamente positiva” Aveva detto Gina. E d’un tratto quel peso che le gravava sul cuore s’era alleggerito, così come i sensi di colpa verso il suo bambino mai nato, ma anche il rancore che ancora sentiva nei confronti di Luke per averla messa in quella situazione in cui lui se l’era cavata col trasferimento in un’altra città, mentre lei, ogni anno, contava i compleanni di quel loro figlio che sarebbe dovuto nascere in febbraio, stabilendo, come data simbolica, il quattordici, la festa di San Valentino. Ogni anno, in quel giorno, comprava un pelouche. Ne aveva collezionati già sei.
«Smetti di farti del male. Conti forse gli anni ai sogni o alle cose belle?» Le aveva chiesto con dolcezza: «No, perché sai che non hanno età, che non invecchieranno mai a dispetto di te stessa e del tempo che passa. Stabilire una data è mettere un vincolo. Una scadenza. Lascia andare il tuo bambino, non tenerlo prigioniero di un calendario o di una mensola, ma fallo sostare dentro il tuo cuore, l’unico posto dove lui vorrebbe stare».
Angie Rose di quel consiglio gliene era stata grata, e nel tempo ci aveva riflettuto. Entrare nei negozi di giocattoli pieni della presenza e delle voci dei bambini, la faceva star male, acuiva i suoi sensi di colpa e incrudiva il dolore. D’un tratto si rese conto che quei pelouche, scelti con cura tra i più belli e costosi, non erano regali di compleanno per suo figlio ma la testimonianza della sua espiazione. Così smise di comprarne, regalò quelli sulla mensola, e traferì la culla di quel suo figlio mai nato, dalla testa al cuore. Un luogo sicuro privo di ombre e colmo di luce.
Sorrise al ricordo di quel pomeriggio in cui Gina, inducendola a guardare dentro di sé, le aveva svelato il segreto della sua infelicità, e un senso di gratitudine la pervase. Finito d’ apparecchiare l’ultimo tavolo, al centro del quale campeggiava un elegante vaso di cristallo con tre splendide rose rosse, chiese a Jean Baptiste: «Credi che Gina ed Apache dopo il teatro verranno a cena?».
Lui le rispose con un sorrise malizioso.
«Non importa» Disse mettendo in bella vista il cartellino “riservato” «stasera questo tavolo è per loro».