DESAPARECIDOS.
Adelita Maria Cortes de Villalba con un soffio deciso spegne le candeline sulla torta dei festeggiamenti per i suoi 84 anni. I capelli bianco argento e gli ovvi e naturali segni del tempo, hanno solo aggiunto valore alla dolcezza dei suoi lineamenti. Gli occhi d’un profondo azzurro, leggermente umidi per la commozione, si volgono a guardare i pochi familiari che la circondano festanti. Poi ferma lo sguardo su Diego, il suo adorato Diego, il tesoro ritrovato. Fissandolo intensamente ha la sensazione che, come d’incanto, la sua figura lentamente cominci a sdoppiarsi e una figura ialina, trasparente, vada a posizionarsi alle sue spalle leggermente spostata da un lato. Ora ne percepisce i contorni, chiari: è Isabel, sua figlia! Gli occhi le si colmano di lacrime annebbiandole la vista e, confusa dalla foschia, intravede …
Il rombo dei grossi camion che si sono arrestati in cortile, il violento calpestio degli anfibi sul selciato e gli ordini, urlati con rabbiosa cattiveria, avevano svegliato quell’angolo di mondo. Adelita, come altre decine di persone, s’affaccia alla finestra. Quello che vede è l’orrendo terrificante spettacolo ormai usuale in Argentina in quel periodo. Militari in assetto di guerra che sfondano porte, che urlano, insultano, minacciano malcapitati, uomini e donne, spingendoli e spesso trascinandoli verso i camion. Di loro si sarebbero perse le tracce, per sempre! Poi li vide: la sua Isabel incinta di sei mesi, urlante a terra trascinata violentemente per un braccio e Pedro Escobar, il marito, che veniva ferocemente pestato mentre tentava invano di soccorrerla.
Era paralizzata dall’orrore! Voleva urlare, correre in loro soccorso ma era come pietrificata. Fu quella l’ultima immagine reale di Isabel e Pedro. Gli anni che seguirono furono un calvario senza fine, un continuo scontrarsi con muri di gomma. A nulla valsero le proteste, velate per non subire feroci rappresaglie, le riunioni silenziose in Plaza de Mayo con altre migliaia di mamme, di nonne, col capo coperto, per riconoscersi, da bianchi fazzoletti.
Poi tutto finì, apparentemente!
La dittatura era stata abbattuta, erano rimasti solo i sanguinosi strascichi da essa provocati. Non c’era pace, non poteva esserci dopo tutto quell’orrendo vissuto! Per lenire il dolore delle piaghe ancora vive era necessario avere delle risposte, sapere cosa e come era successo, dov’erano i figli, i nipoti spariti nel nulla e …
su Plaza de Mayo i capi coperti da fazzoletti bianchi furono ogni giorno più numerosi.
“Io non mi arrendo!” urlò Adelita “Finché avrò fiato, finché le gambe mi sorreggeranno e la mia testa sarà in grado di pensare, io mi batterò con tutte le mie forze per sapere. Solo la morte potrà privarmi dalla gioia di abbracciare mio o mia nipote!”
Furono anni di lotta terribili. Il tempo scorreva inesorabile e lei non riusciva ancora ad intravedere nulla che le desse qualche speranza, ma non si arrendeva.
La notte era il momento peggiore per lei, gli incubi l’assillavano, non le concedevano tregua. Nel sogno … nell’incubo più ricorrente vedeva Isabel trascinata via e che spariva dentro un lungo corridoio tutto bianco, prima buio e poi sempre più illuminato da gigantesche lampade. Improvvisamente appariva un ragazzino che correva lungo il corridoio e al suo passaggio apparivano sul muro impronte di mano color rosso sangue. Poi, così com’era apparso spariva, come inghiottito da una violenta luce bianca e … si svegliava madida di sudore e con il cuore che palpitava forte, sembrava volesse scoppiargli in petto. Per lei questo era il segno che il nipote era vivo e doveva trovarlo, a qualunque costo!
Un giorno verso la fine degli anni novanta, mentre seguiva un notiziario televisivo, apparve un anziano signore in lacrime che, intervistato, dichiarava che era stato testimone non colpevole di quanto succedeva nella prigione femminile in cui svolgeva il triste lavoro di guardia carceraria. Adelita saltò sulla poltrona come colpita da una scarica elettrica. Capì che quella poteva essere la svolta tanto agognata alla sua ricerca. Riuscì ad avere i recapiti dell’uomo e, dopo il contatto telefonico in cui l’ex agente dava la sua disponibilità ad incontrarla, Adelita partì. Guillermo Vargas Moreno, questo il suo nome, rivelò che le donne incinte erano tenute in un’ala speciale della prigione e al momento del parto portate in infermeria, ma non rientravano più in quel settore. Dopo non sapeva cosa succedeva, anche se correva voce che le facessero sparire, mentre i bambini venivano portati in una struttura particolare e, a quanto gli aveva riferito un collega, dati in adozione, a chi non gli era noto ma, sempre per sentito dire, erano coppie di ufficiali del regime e famiglie facoltose ed altolocate. Poi accennò anche all’esistenza di un registro in cui venivano annotate tutte le notizie relative a questa operazione. Adelita Maria uscì rafforzata nella sua convinzione, ora era certa d’essere molto vicina alla meta.
Trascorsero quattro anni da quell’incontro e, a forza di scavare, giunse il momento che per lei doveva essere quello definitivo. Si recò a La Plata e si sedette su una panchina di fronte alla casetta al numero 43 di Avenida Popular e attese, paziente, per quasi un’ora. Si alzò quando si aprì l’uscio e ne uscì un giovanotto accompagnato da un’anziana signora e lei, lentamente e con tremante noncuranza, si avvicinò per osservarlo meglio. Era lui, non c’erano dubbi! Stessi occhi, sguardo e lineamenti di Isabel e lo stesso neo sulla guancia destra. Contenne l’emozione e avvicinandosi chiede:
“Il signor Diego Duarte de Mendoza?” e fissa il suo sguardo nel suo.
“ Si, sono io, ci conosciamo per caso?” chiede stupito il giovane.
“Non ancora. Io sono Adelita Maria Cortes de Villalba, tua nonna, mia figlia Isabel era tua madre.” Il giovane si fermò quasi interdetto, non capiva la stranezza della situazione che s’era creata, a meno che quella signora non fosse pazza.
“Signora, mi scusi, credo di non capire, forse mi ha scambiato per qualcun altro ed ora ….”
“No, nessuno scambio di persona, sono certa di quello che dico e, se avrai la bontà di ascoltarmi, capirai.”
Diego guardò l’orologio, era in forte anticipo sull’appuntamento col dentista perciò, incuriosito, accettò ed invitò la signora a continuare la conversazione seduti comodamente nella vicina cafeteria.
Adelita non staccò un attimo gli occhi dal giovane mentre parlando raccontava quasi trent’anni di indicibile sofferenza e lui, Diego, con il passare dei minuti i faceva sempre più attento, interessato e poi quasi sconcertato dal racconto della donna. Si, anche lui sapeva delle atrocità commesse dalla dittatura e dei desaparecidos, aveva sentito parlare anche di quell’infamia che aveva portato alle adozioni, ma per lui era qualcosa che non lo riguardava, mai avrebbe pensato che avrebbe potuto esserne coinvolto, ma ora … Mentre Adelita continuava nella sua narrazione, Diego cercava di ricostruire mentalmente il suo vissuto, cercando qualcosa, una traccia, anche piccola, che potesse dargli lo spunto per dare credito a quello che stava ascoltando, e i dubbi cominciavano a farsi strada nella sua mente, nulla più era chiaro. S’era fatta sera e non se ne era nemmeno accorto, ormai il dentista era dimenticato poi rivolto ad Adelita disse: “Sono sconvolto, sconcertato e molto confuso! Non posso credere … vorrei non fosse così .. o forse si, mio Dio perché tutto questo?” Intanto Adelita aveva poggiato sul tavolo una busta gialla che spinse lentamente verso Diego, “Leggi!” gli sussurrò dolcemente guardandolo fisso negli occhi.
Mentre scorreva i fogli gli occhi, colmi di lacrime, mostravano stupore e orrore al tempo stesso. Poi, raccogliendo la busta con tutto il contenuto, si alzò di scatto, “La prego” le disse “mi attenda qua, torno subito.”
Quel subito durò più di quattro ore, ma per Adelita fu un battito di ciglia in confronto agli oltre trent’anni d’angoscia trascorsi. Quando tornò, Diego si fermò sulla porta, la guardò intensamente per un tempo che parve interminabile, poi le corse incontro, s’inginocchiò, poggiò il capo sulle sue ginocchia e scoppiò in un pianto liberatorio.
… il sorriso felice di Isabel. Ora la saluta e dalle labbra le giunge un muto suono: ”Grazie mamma!”. Si volta e, avvolta da una accecante luce celestiale, lentamente svanisce. “Auguri nonna!” le sussurra Diego abbracciandola.
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Enrico “Testavacanti” Izzo
P.S.: La storia qui raccontata è pura fantasia, nomi e località comprese; di vero ci sono solo i riferimenti alla dittatura Argentina e alle madri e nonne di Plaza de Mayo. La trama mi è stata ispirata dalla recente notizia di una nonna che ritrova, dopo trent’anni, il nipote desaparecido in quel periodo.