Fermo immagine: Napoli, Via Scarlatti davanti al bar
pasticceria Daniele. La ragazzina magra con lo scamiciato scozzese, i
calzettoni e le scarpe nuove “per la scuola” ( scarpe che stringono un po’, ma
non si dice a mamma perché il modello è proprio quello desiderato e la misura
più grande non c’era, pazienza!) stringe tra le mani la busta di Upim. Mentre
percorre lentamente “la vasca” guardandosi intorno per cercare tra la gente
facce conosciute, pensa ai suoi acquisti. I quaderni con le pagine che odorano
di nuovo, il diario, già sbirciato ma non troppo “altrimenti che gusto c’è se
leggo prima tutte le vignette?”, le matite colorate, mai sapute usare per
mancanza di talento, ma ammirate e venerate come una divinità, ipnotizzata
dalle sublimi gradazioni di colore. E poi quell’odore inconfondibile della
grafite delle matite da disegno, il temperino d’acciaio (quelli di plastica
fanno schifo, non tagliano e rovinano le matite), la gomma e le cartucce d’inchiostro
per la penna stilografica, una penna “da grande” che si è fatta regalare dal
padre. L’odore dell’autunno è tutto in quella busta che stringe tra le mani mentre
si incammina verso casa.
Chi ha detto che l’autunno è una stagione triste? Basta
guardare gli alberi nel loro sfolgorante abito tutto rossi, arancioni e gialli.
Basta guardare il cielo dove si rincorrono nuvole screziate di viola, rosa,
indaco, si sovrappongono creando nuovi colori, si sfidano sospinte da una
brezza che sa di nuovo, che ha spazzato via i resti dell’afa estiva. Basta guardare
i banchi del mercato con l’esplosione di profumi e tinte che sembrano rubate
agli Impressionisti e ai Fauves: l’uva dorata e viola scuro, il melograno che
esplode di chicchi vermigli, i cachi lucidi e perfetti nella loro rotondità,
come palle dell’albero di Natale (avete mai visto un albero di cachi carico di
frutti? Ha perso tutte le foglie e queste sfere arancioni sembrano davvero
decorazioni messe ad arte per abbellire i rami). E c’è nell’aria una nuova
energia, un ricominciare che come tutti gli inizi ha in serbo nuove promesse,
nuove speranze.
Ho sempre amato l’autunno e l’ho eletta mia stagione
prediletta perché la sento mia, mi ci sento bene dentro, una parte di lei. In
quei pomeriggi di “vigilia scolastica” per le strade del Vomero, cercando di
rientrare in una pelle diversa da quella bruciata dal sole sulla spiaggia di
Capo Miseno, mi lasciavo trasportare da quest’aria nuova, eccitata e protesa
verso giorni che immaginavo e sognavo pieni di novità. Una stagione di nuove
promesse, sì, non sempre mantenute, ma pur sempre sognate, cullate, immaginate
nel tepore del primo maglioncino sotto un cielo incendiato da un tramonto
indimenticabile.
Sono passati tanti anni da allora, la ragazzina magra con la
busta di Upim ha attraversato un bel pezzo di vita, ma sente ancora, forte e
chiaro, l’odore di quaderni e grafite mentre si incanta e si perde in una
nuvola pastello assaporando l’aria autunnale che a poco a poco si impadronisce
della città. Autunno, mon amour.