ARMI E BAGAGLI, DI ENRICO FENZI  Teoricamente Enrico Fenzi potrebbe rappresentare la mia nemesi: comunista, professore universitario, intellettuale dedito a studi danteschi, dopo anni di insegnamento ha finito per abbracciare il credo delle Brigate Rosse. Un uomo lontanissimo da ciò che sono io, oggi, perso nella mia città di provincia, separato da ogni forma di istituzione politica e culturale. Eppure il suo libro – la storia della sua militanza – mi ha toccato nel profondo. Dopo averlo dimenticato in mansarda, per anni, l’ho ripreso in mano e finito in due giorni, come in trance. E non mi capita spesso. Forse a colpirmi è stata la qualità della prosa, combinata alla ferocia degli avvenimenti; ma forse anche il fatto di aver condiviso – in epoche diversissime – l’ambiente universitario di Genova, in Via Balbi. Un microcosmo chiuso e sempre uguale, che ha rifiutato ogni sorta di cambiamenti per ritrovarsi, nel Duemila, molto simile a quel mondo di fine Anni Sessanta – nelle apparenze, ma anche nei codici – quando c’erano dei ragazzi che sognavano la Rivoluzione.

 

Fenzi – già fervente comunista – era approdato ad altre forme di militanza attraverso Gianfranco Faina, di ispirazione anarchica. Entrambi condividevano le lotte dei loro studenti, che non si accontentavano del Sessantotto, dell’idea di “figli dei fiori”, persi in un mondo di pace e musica. Si stava per chiudere un’epoca di speranze, da incanalare in forme politiche; e il Pci non bastava. Bisogna andare oltre, sempre e comunque, per plasmare una società di cui Fenzi – come tanti – sentiva il decomporsi, il marcire, il lento scivolare nel nulla, sempre in un odore di lebbra e corruzione. Era l’Italia del Sessantotto, un paese magnifico, che però non riusciva ad approdare a niente di moderno. Una nazione immobile, piena di marciume, di stupidità e sfruttamento. Qualcuno di quei ragazzi si rifugiava nella droga, altri scappavano, moltissimi invece sceglievano di combattere, da una parte e dall’altra. Fenzi non amava lo spontaneismo, l’anarchismo, a volte anche la faciloneria di un certo estremismo gruppettaro; per lui, quelle di Faina erano soltanto velleità. Così i contatti con i brigatisti, e una scelta di campo che non conosceva ritorno. Come diceva Dostoevskij, “chi si spinge verso il confine, supera sempre il limite”. Ed è proprio quello che era accaduto.

 

Fenzi si era accorto, già da tempo, che i brigatisti non avrebbero mai potuto vincere; che dopo la cattura di Curcio, il secondo gruppo dirigente usava metodi troppo duri, senza alcuna strategia; che intorno alle BR era tutto un fiorire di pazzie – come nella Milano di certi gruppi maoisti, pronti a sparare a chiunque, del tutto a casaccio – tanto che di spie e di infiltrati, di bastardi e doppiogiochisti; che in fondo nulla sarebbe cambiato. Avrebbe potuto dissociarsi, prendere qualche anno, e poi ricominciare. Invece no, era andato avanti, fedele alla sua scelta. Perché? Perché un uomo con una cattedra, una famiglia, un posto sicuro nel mondo, aveva rinunciato alla passione per Dante in cambio del piombo, di una vita da clandestino fra agguati e comunicati?

 

Lo stesso Fenzi cerca di spiegarcelo, alla fine del libro. Nelle sue parole si avverte la scissione della sua coscienza, così forte da lambire la schizofrenia. Da un lato l’uomo, il poeta, critico e appassionato di libri, che ama la vita e i doni della Poesia; colui che riconosce i limiti dell’uomo, e rifiuta ogni sorta di violenza; dall’altro il professore, l’intellettuale, l’uomo logico che segue il suo pensiero fino all’ultimo, fino alle estreme conseguenze. Tanto basta per leggere “Armi e Bagagli”: quasi un trattato di psicologia, più che la storia di una politica. L’uomo convive ogni giorno con il suo lato oscuro. Ma questo non è nascosto, anzi: è nella sua stessa ragione, così forte da piegare ogni istinto. Se l’essere umano è un legno storto, allora va raddrizzato. Bisogna farlo, è necessario. Così volano le schegge… pezzi di rami e trucioli, persi nell’aria, mentre il mondo riecheggia di grida, sempre più forti, e tutto va in pezzi, un’altra volta, fino alla fine…