l battito è talmente accelerato che posso sentire il mio cuore nelle tempie, lo stomaco per aria, il sudore freddo che cola giù per la schiena mentre cammino avanti e indietro come una sentinella meccanica da Luna Park. Ci siamo, ho atteso a lungo questo momento.

Nove mesi. Non devo deluderla ma mi sento svenire.

Mi appoggio con la testa al sostegno; è freddo, metallico, bianco.

Mi sento in una prigione tutta bianca.

Vorrei uscire ma non posso. Ci sono momenti nella vita in cui bisogna rimanere saldi, fermi con i piedi ben piantati al suolo.

L’altoparlante chiama il nome di un medico per due volte ma è come se sentissi tutto ovattato.

Adesso lo vedo.

Avanza verso di me, la maglietta verde sudata ma lo sguardo è di ghiaccio con la sinistra accarezza qualcosa di tondo. Ora lo vedo meglio; è bianco, è proprio lui. Chissà se avrò la forza di prenderlo. Faccio tre respiri profondi e mi lancio verso di lui. Ho le mani fredde nonostante i guanti.

Che stress sta’ finale ai calci di rigore.