Facevo la prostituta perché mi piaceva il sesso. Per me era inebriante accoppiarmi ogni sera con uomini diversi. Mi vendevo anche perché mi attirava il soldo facile e non mi andava a genio studiare o lavorare. E pensare che iniziò quasi tutto per gioco e per un futile motivo diversi anni fa. A quei tempi frequentavo l’ultimo anno di un liceo artistico di Roma. Una scuola alternativa che per questo motivo mi garbava molto. Un giorno capitó di trovarmi senza soldi tanto da non potermi comprare neanche le sigarette e io senza fumare impazzivo. Chiedere qualche spicciolo alla mia famiglia non era il caso perché abitavamo le case popolari del Tufello, mio padresaltuariamente faceva il manovale, mia madre si arrangiava a cucire abiti, accorciare orli, stringere gonne, cappotti o pantaloni ma anche lei non lavorava sempre. Così quel giorno pensai a Enrico, un mio compagno di classe. Quando gli feci la mia proposta scoppiò a ridere “Se ti fai una scopata con me” – disse – “di sigarette te ne compro una stecca. Ho vinto alle scommesse sui cavalli. E ti do anche dei soldi per comprarti dei vestiti. Sei bella, perché vai in giro così trasandata? Ti devi acconciare di più. Però ti avverto”,- e a questo punto si fece serio – “facciamo sesso solo questa volta. C’ho la ragazza e je vojo bene”.
Avevo bisogno di quei soldi, di tutto il resto non mi importava, così lo ringraziai e accettai. Dopo l’orario delle lezioni con il mio motorino raggiungemmo un parco isolato e facemmo l’amore rotolando sull’erba morbida. Il sesso con Enrico mi piacque. E mi pagó bene.
“Perché non provare con altri uomini?” mi venne spontaneo pensare.
Oltre a Enrico peró non conoscevo altri ragazzi disposti a fare questo genere di cose. Così decisi e senza pensarci troppo di frequentare la strada.
Prima peró bisognava trovare l’abbigliamento adatto. Il giorno dopo, con i soldi che mi aveva dato Enrico andai a fare shopping. Comprai molte gonne corte, magliette dalle scollature vertiginose, biancheria con pizzi e merletti, scarpe dal tacco altissimo ma tutto ad un prezzo accessibile. A casa nascosi i nuovi acquisti in un angolo del mio armadio. “Vado da Anna” dissi quella sera ai miei genitori intenti com’erano a guardare un film in tv.
Furtivamente mi cambiai d’abito nella mia stanza. Indossai un tubino rosso molto corto con un’ampia scollatura che lasciava intravedere i miei seni alti e rotondi. Poi infilai calze a rete di colore nero e ai piedi calzai scarpe con un tacco a spillo molto alto. Infine per nascondere ai miei genitori l’abbigliamento così provocante mi coprii con uno spolverino. In questo modo potei uscire senza giustificarmi e con il mio motorino raggiunsi la via Olimpica, la strada più adatta per questo genere di cose. Appena arrivata agganciai il motorino ad un palo con la catena e mi
sistemai sul ciglio della strada assumendo un atteggiamento molto provocante. Notai gli sguardi ostili delle altre prostitute, quasi tutte nigeriane.
“Stronza” disse una di loro “che sei arrivata fresca fresca a rubarci il lavoro?” Non risposi e la cosa, per mia fortuna, finì lì.
Ma in effetti quella sera si fermarono molte macchine. Incontrai uomini sposati, separati, divorziati e anche settantenni. Ma non tutti vollero fare sesso con me. Qualcuno voleva anche solo parlare dei propri dispiaceri. Quella sera guadagnai molti soldi così i giorni seguenti ci ritornai molto volentieri. E sopportai il freddo gelido dell’inverno e il caldo torrido dell’estate. Con il passare del tempo le mie colleghe prostitute si dimostrarono più solidali con me e scoprii che erano donne che avevano sofferto molto e che la strada della prostituzione, per loro, era stata una scelta obbligata. Con loro mi sentivo libera, non dovevo sopportare prediche e sermoni. Erano anche simpatiche ed intelligenti e per questo divennero il lato più bello del mio lavoro. Naturalmente di questo mio nuovo mestiere non dissi nulla in famiglia. Tra l’altro i miei genitori non si domandavano da dove provenissero tutti i miei soldi. Non ne parlai neanche a scuola e né ai collettivi di femministe che avevo cominciato a frequentare molto assiduamente.
Qui avevo conosciuto Luce, una lesbica molto nota nell’ambiente. Per mesi mi fece una corte spietata che comunque gradivo perché anche a me non dispiacevano le donne. Ma con Luce ero alla mia prima esperienza. Insieme frequentavamo mostre, cinema, teatri e night club. Spesso finivamo a casa sua perché Luce viveva sola e qui iniziammo a fare l’amore con passione. Con Luce scoprii che il sesso con una donna era più dolce, più delicato, più pulito. Ne ero estasiata. “Vieni a vivere con me”, mi disse un giorno. Avevo da poco preso il diploma così accettai volentieri.
Questo cambiamento mi permise di emanciparmi dalla mia famiglia. Ma continuai a fare la prostituta. Quando Luce se ne accorse scoppiarono violenti litigi perché la mia amica non solo era gelosa degli uomini con cui mi prostituivo ma anche perché da grande femminista qual’era non ammetteva che una donna, mercificasse il proprio corpo. “Stai toccando proprio il fondo” mi urlava sempre più spesso, e una sera, così, all’ennesima scenata, mi cacció via sbattendo la porta..
Luce mi mancava molto ma continuavo a frequentare la strada. Fin quando incappai in una brutta avventura che mi fece cambiare idea. Una sera mentre ero sulla via Salaria (avevo cambiato zona da quando ero con Luce) si fermò una macchina con a bordo due uomini. Pensai che volessero fare una cosa a tre. Era frequente nel mio ambiente.
Salii in macchina fiduciosa ma ebbi un’amara sorpresa. Questi mi portarono in un posto isolato, “Non puoi fare la puttana senza un protettore” urlavano, mentre mi picchiavano e abusavano di me con una violenza feroce. Non so come feci a divincolarmi dalla loro stretta ma ci riuscii e a gambe levate raggiunsi la via Salaria e inforcai il mio motorino e impaurita tornai a casa a tutta velocità, incurante di semafori e divieti.
“Aveva ragione Luce!” gridavo singhiozzando lungo le strade della città. Quella sera davanti allo specchio, mentre medicavo tagli ed ematomi, decisi che era arrivato il momento di cambiare vita.
Così la mattina seguente compilai una serie di domande di lavoro che inviai subito a ditte dii ogni genere. Dopo qualche giorno mi arrivó la chiamata da un supermercato per un colloquio. Ci andai e andò bene.
Avevo trovato lavoro come cassiera a tempo pieno. La paga era buona e mi permetteva di potermi mantenere la casa e comprare addirittura una macchina. Ero soddisfatta e lavoravo con entusiasmo. Familiarizzai con le colleghe e con i clienti più assidui. Ma con il tempo anche questo lavoro divenne di routine. Così la sera quando mi annoiavo guardavo con un po’ di nostalgia i miei abiti di scena, buttati lì sulla spalliera della sedia. A volte ero tentata di riprendere la mia vecchia strada.
Ma non cedetti mai perché desideravo dimostrare alla mia cara Luce il mio impegno e la volontà di cambiare vita. Fui premiata. Una sera, mentre preparavo la cena suonarono alla porta. Andai ad aprire annoiata e che meraviglia quando vidi apparire Luce
“Ho saputo che hai cambiato vita” mi disse illuminata da un sorriso radioso. “Non puoi immaginare la mia felicità”.
Non riuscivo a parlare.
“Torniamo insieme” implorai con un filo di voce.
“Sono qui per questo” fu la risposta di Luce mentre mi stringeva stretta e mi baciava. Ho raccolto tutti i
miei abiti di scena in uno scatolone, tra le cose da buttare.
E sono orgogliosa di affermare che così non è sempre vera la storia che il lupo perde il pelo ma non il vizio.