Signor Giudice, glielo giuro: le cose non stanno affatto come in troppi le raccontano in giro.
Mi creda, anche se le apparenze sembrano darmi tutte contro, in realtà sono solo vittima delle circostanze e dell’altrui pregiudizio. Il pregiudizio di chi? Mi chiederà Lei. Giusta domanda alla quale intendo rispondere pienamente, se solo avrà la bontà e la pazienza di ascoltarmi.
Intanto tenga presente che io mi trovo in una evidente posizione di enorme svantaggio: per motivi che, in tutta sincerità, al sottoscritto appaiono oscuri ed ingiustificati, da tempo immemorabile m’è stata affibbiata l’etichetta di malvagio, sino al punto da diventare, in pratica, il simbolo vivente della paura nel mondo dell’infanzia.
“Guarda che se fai il cattivo, viene il lupo e ti porta via”. Non c’è bambino, Vostra Eccellenza, che non abbia sentito almeno una volta questa frase aleggiare minacciosa sulla sua testa e non sto qui a contare le storielle, favole di nome e di fatto, in cui, per un verso o per l’altro, vengo forzato ad impersonare l’essere abietto ed infido per antonomasia.
Ora io non voglio star qui a contestare il fatto che, per nutrirmi, sia costretto a catturare prede ed ucciderle. Il buon Dio, o chi per lui, m’ha fatto così, inutile negarlo. Se potessi, mi creda, volentieri brucherei l’erba di un prato, come fanno sovente le mie vittime. Anzi, le dirò: ci ho provato. Sissignore, è così, ho fatto il tentativo, visto che salta all’occhio di chiunque che quello di alimentarsi con i vegetali sia una forma assai più semplice e meno rischiosa, che non il cacciare e l’uccidere. Ci ho provato e deve credermi se dico che sarei anche stato disposto a sorvolare sul sapore insipido, se non disgustoso, di quella roba pur di ottenere il mio scopo, ch’era – ed è – quello di condurre una vita più tranquilla e meno stressante. Ma non è stato possibile: il mio stomaco non sopporta quanto colorato di verde e, se voglio reggermi in piedi, devo per forza nutrirmi di sangue, di cartilagini, di carni fresche e palpitanti. È così e non sono stato certo io a stabilirlo, come Lei di sicuro sa. E d’altra parte, lo dico senza alcun spirito polemico, non è che agli umani faccia poi esattamente schifo ingozzarsi di carni di altri esseri, magari con l’alibi che essendo inferiori, Dio li avrebbe creati proprio per soddisfare certe necessità umane. Ed io non mi permetto certo di mettere indubbio la parola di Dio, sebbene qualche dubbio sull’attendibilità di chi, in tali casi, si fa portavoce del Padreterno, debbo essere sincero, ogni tanto mi assale.
Ma è inutile addentrarci in questioni così delicate: quello che mi limito a denunciare è il fatto che, nella costrizione della natura, si sia finito per esagerare sulla mia aggressività e, soprattutto, sul fatto che io sarei un killer sanguinario e spietato. Nulla di più falso: sono solo uno che cerca di riempirsi la pancia, né più, né meno come fanno gli altri esseri, umani inclusi come accennavo, per sopravvivere. Ed io non ho altri strumenti che le mie zanne, la mia astuzia, la velocità delle mie zampe e, soprattutto, la mia presunta e tutta da dimostrare crudeltà.
È incontestabile che, qualche rara volta, queste mie armi siano state rivolte contro l’essere umano, ma sempre e solo perché vittima di aggressioni, sovente gratuite, da uomini che volevano la mia pelle. Se vuole una dimostrazione lampante di quanto affermo, consideri un solo, acclarato fatto: la mia specie è ormai quasi estinta, mentre quella umana continua a prosperare nonostante le sue incoerenze, le sue guerre e la sua mancanza di rispetto per le leggi della natura. E non mi pare poco!
Ma lei ha ragione, esimio Giudice, questa mia premessa sta diventando troppo lunga e anche un po’ troppo lagnosa. E noi non siamo qui per partecipare ad uno psicodramma, ma per parlare di fatti che potrebbero essere reati. Veniamo allora subito ai fatti e, se Lei mi permette, io partirei proprio dalla fine, giusto per sottolineare chi potrebbe essere il vero cattivo in tutta questa storia. Mi riferisco, come certo Lei ha già intuito – e se casualmente dovesse esserle sfuggito glielo sottolineo – al Signor Cacciatore, qui presente in veste di eroe salvatore delle due presunte vittime.
E vorrei subito fare una domanda a Lei ed alla Corte: dico, c’era bisogno di aprirmi il ventre a quel modo? Senza un briciolo di anestesia, con un coltellaccio da caccia che, con tutta probabilità non solo non era sterilizzato, ma di certo non ha mai ricevuto una buona pulita. Se oggi sono qui davanti a lor Signori è solo in virtù di una Provvidenza che, conoscendo come stavano veramente le cose, ha saggiamente deciso che non era ancora suonata la mia ora. Debbo ringraziare il medico che m’ha ricucito e m’ha rimesso in piedi e, lo ribadisco, la Provvidenza che l’ha messo sulla mia strada.
Ma il Signor Cacciatore sostiene – e con lui la Polizia che, mi conceda la libertà d’espressione, s’è bevuta la versione dei fatti del suddetto testimone – che egli fu costretto ad intervenire in siffatta brutale maniera a causa della fretta di salvare le due povere disgraziate che io avevo, a suo dire, orrendamente divorato per saziare la mia proverbiale fame da lupo.
Guardi, Signor Giudice, visto che non intendo certo contestare il mio essere sovente affamato, se per un attimo dimenticassi di essere parte in causa quale imputato nella questione, forse per un attimo anche io mi lascerei ingannare dalle apparenze. Ma in mio aiuto viene per fortuna un dettaglio che, a quanto pare, è sfuggito a tutti o che, verosimilmente, qualcuno in questa aula vorrebbe ignorare. Signor Giudice, quando io mi nutro delle mie prede le faccio a pezzi con le zanne, non sono mica un serpente che le ingoia intere! Non potrei digerirle, altrimenti. E si tenga ben presente che qui non stiamo parlando di un agnellino o di un piccolo capriolo: stiamo parlando di una bambina piuttosto cresciuta, praticamente un fior di adolescente, con annessi e connessi, nel pieno dello sviluppo e di una vecchia nonnina, che di sicuro non può essere definita obesa, ma resta pur sempre un’adulta!
Insomma: non vorrei arrivare a costringere questa Corte a pesare le citate persone – anche perché si tratta di femmine ed è cosa risaputa che sull’argomento ‘peso’ le donne sono piuttosto permalose – ma credo che nessuno fatichi a convenire che stiamo parlando di qualcosa che s’avvicina di certo al quintale, se non lo supera addirittura!
Potete ben rendervi conto che, per quanto io possa essere di taglia possente, una simile abbuffata avrebbe schiantato anche un orso polare; figuriamoci uno come me che, in sovrapprezzo soffre anche di varie problematiche intestinali con le quali io ora non voglio certo star ad angustiare lor signori, ma la cui documentazione medica potrete trovare allegata al dossier della difesa!
Però… lo so bene che c’è un però che viene spontaneo ascoltando le mie ultime considerazioni e non intendo certo sfuggirlo. È un fatto incontestabile – che non sogno di negare – che Cappuccetto Rosso e la Nonnina fossero all’interno del mio ventre. Intere, mi si permetta di ribadirlo, ma c’erano. E allora, giustamente, sorge la domanda: che diamine ci facevano? Per rispondere a questo legittimo interrogativo è necessario ch’io parta un po’ più da lontano, sperando di non dover abusare troppo della pazienza di questa Corte.
Con esattezza, bisogna tornare indietro sino ad un paio d’ore prima dei fatti in questione. Mi trovavo… mi vergogno ad ammetterlo, ma, data la circostanza, non mi pare questo il caso per farsi prendere da pudori esistenziali, mi trovavo dunque nei pressi della casa di Cappuccetto Rosso. Cosa stessi facendo è presto detto: avevo fame. Ma, attenzione signori, vi prego di attendere prima di parlare di agguati o di chissà quali criminose intenzioni! So che il mio senso dell’onore certo non ne uscirà benissimo, ma non vedo altra alternativa che ammettere che la vita di un lupo di mezza età, con acciacchi vari – ma questo l’ho già detto – non è proprio rose e fiori. Se all’età ed ai malesseri, sommate la distruzione sistematica che gli umani stanno facendo dell’ambiente nel quale io, almeno in teoria, dovrei trovare il mio legittimo sostentamento, forse anche voi, al posto mio, fareste quello che io facevo vicino alla casa di Cappuccetto Rosso.
D’altra parte, se proprio vogliamo dirla tutta, di questi tempi anche un numero non trascurabile di esseri umani mette in atto quotidianamente quello che io stavo facendo lì. E mi verrebbe da dire che non fa certo onore alla razza umana vedere persone, spesso anziane, che frugano nei secchioni della spazzatura per trovare qualcosa da mettere sotto ai denti. Rispetto a loro io ho il vantaggio di poter mangiare schifezze che li ucciderebbero, purché sia carne. E questo, non dimenticatelo, è però anche uno svantaggio.
Insomma signori miei, ero lì a cercare di trovare qualcosa da mangiare tra quello che la vostra crassa opulenza butta via. Ed è stato lì che ho sentito la mamma di Cappuccetto Rosso dare alla figlia il paniere con i dolci da portare alla Nonnina nel bosco.
Ora io vorrei che vi fermaste un attimo a riflettere. D’accordo, io sono una bestia, ma anche io mi rendo conto che mandare una bambina da sola nel bosco è un atto di un’irresponsabilità tale che qui, prima ancora di processare me, sarebbe giusto mettere sul banco degli imputati questa madre snaturata e sconsiderata. Vorrete convenire spero che nessuna madre che meriti questo appellativo si sognerebbe di fare una cosa del genere. E questo pure se, come già immagino sosterrà la signora in questione, non sapesse del fatto che la caccia fosse stata aperta già da giorni e, di conseguenza, il bosco fosse infestato da pseudo cow-boy armati fino ai denti, pronti a sparare ad ogni foglia che avesse l’avventatezza di muoversi sotto ai loro occhi.
Se volete pensate pure che io stia esagerando, ma mi s’è gelato il sangue a sentire la leggiadra incoscienza con cui quella madre – ma poi possiamo veramente chiamarla così, o non dovremmo forse dire matrigna? – mandava la figlia a fare praticamente da bersaglio mobile a questa schiera di psicopatici assetati di sangue.
Non credevo alle mie orecchie ma, quando ho visto la fanciulla avviarsi col suo canestrello, quando ho visto le sue graziose e già sviluppate forme vibrare sotto quelle vestarelle leggere e quasi trasparenti, ho capito che dovevo fare qualcosa.
Perché, parliamoci chiaro Signor Giudice, Lei è di certo un uomo di mondo e mi dica allora: ammesso e non concesso che la ragazza avesse potuto superare indenne lo sbarramento di fuoco di quei forsennati, pensa che sarebbe anche potuta sopravvivere alle torbide voglie di questi che si dicono amanti della natura, ma sono solo dei trucidi psicopatici senza freni pronti ad ogni forma di bassezza?
A questo punto mi par già di sentire lo sghignazzo di qualcuno che non mancherà d’affermare che la ragazza, in fondo, alla casa della nonna c’era arrivata sana e salva. D’accordo, questo è un altro fatto che non posso certo discutere. E non intendo farlo, ma vorrei sottolineare due considerazioni. La prima è che, evidentemente, Cappuccetto Rosso è stata assistita da una stella benigna e qualcuno, guardando la ragazza da dietro, potrebbe dire che si tratta di una gran bella stella il cui nome comincia con la C maiuscola… ma non mi sognerei mai di terminare in Vostra presenza questo nome, sia ben chiaro!
E vengo allora rapidamente alla seconda considerazione che, lo dico con certezza, è di gran lunga più significativa. Signor Giudice, io non potevo sapere che ce l’avrebbe fatta! Anzi ero certissimo che la sua nel bosco sarebbe stata niente altro che una brutta avventura al termine della quale, concesso che fosse sopravvissuta, sarebbe rimasta segnata in modo ineluttabile per tutto il resto della sua vita.
È con questa certezza che allora mi sono posto il problema di cosa fare. Il primo istinto era stato quello di raggiungerla, spiegarle la situazione, chiarirle i rischi che correva e dissuaderla da quella tragica gita. E stavo quasi per lanciarmi in questa impresa quando un dubbio m’ha colto improvviso. Signor Giudice, se lo immagina cosa sarebbe accaduto se io fossi comparso di fronte all’innocente fanciulla all’improvviso, nel bel mezzo del bosco che lei intanto aveva raggiunto? Come minimo a quell’anima candida sarebbe preso un colpo e, ammesso che non ci fosse restata secca, di certo sarebbe fuggita nel bosco, col rischio di perdersi e fare qualche brutto incontro.
No, più ci pensavo e più quell’idea non mi pareva funzionare. Dovevo trovare qualcosa di meglio e, a forza di pensare, m’è venuta un’idea che, lì per lì, nella concitazione del momento, m’è sembrata l’unica praticabile. Dovevo cercare di raggiungere la Nonnina e spiegarle la situazione, in modo che andasse incontro alla ragazza per proteggerla con l’autorevolezza dei suoi capelli bianchi, davanti i quali la masnada dei bifolchi armati non avrebbe osato dare sfogo ai suoi turpi appetiti. Non era il massimo, lo so, ma di meglio non mi veniva, così su due piedi, anzi quattro per la precisione.
Detto fatto sono partito di gran carriera e, considerato che la ragazza se la prendeva piuttosto comoda, impegnata com’era a raccogliere fragole ed inseguire farfalle, sempre ignara del rischio che correva, sono arrivato a casa della Nonnina.
E lì, purtroppo, sono iniziati i guai. Si perché quei capelli bianchi su cui avevo fatto cieco ed istintivo affidamento si rivelarono ben lungi dall’essere per me un salvacondotto. Speravo che almeno lei, la Nonnina, sapesse che non avevo nulla a che fare con la trista immagine che si dipinge di me. Ma m’illudevo: aveva appena socchiuso l’uscio e s’era infilata le sue lenti e già aveva iniziato a starnazzare come una gallina cui vogliono tirare il collo. Nel tentativo di calmarla e farla ragionare, mentre lei continuava a lanciarmi improperi e qualunque cosa le venisse a portata di mano, avevo spinto con forza la porta ed ero entrato in casa e cercando di calmarla. Ma quella niente, ignorava ogni mia parola e continuava a dar fuori di matto. Sicché, Signor Giudice, non sapendo più che pesci pigliare ed angosciato dall’ormai prossimo arrivo di Cappuccetto Rosso, le ho mollato un bel cazzottone in modo da stenderla e poter respirare un attimo. Sia ben chiaro che non mi vanto di questa mia esibizione di forza. Posso solo dire che fu questione di causa maggiore e, se questo può in parte attenuare la mia colpa, misi nel pugno quel tanto di violenza atto ad ottenere lo scopo di quietarla e non un grammo di più.
Con la Nonnina stesa ai miei piedi respiravo sì, ma avevo un ulteriore problema da risolvere: ormai era questione di attimi perché la ragazza fosse lì e, se mi avesse trovato in quella situazione avrei di certo dovuto affrontare un secondo attacco isterico che non mi sentivo proprio di risolvere allo stesso modo del primo! La bimba era un tale gioiello che mai e poi mai sarei stato capace di farle del male, mi creda!
Ma in qualche modo dovevo uscirne e qui, devo dire, è venuta fuori la mia presunta furbizia unita al mio essere un lupo. Nel senso che ho pensato non ci fosse che altro modo di non sconvolgere la ragazza che quello di farle trovare colei che si aspettava di trovare, cioè la Nonnina. Non avevo altra alternativa che travestirmi, anche contando su una certa qual miopia della ragazza, per impersonare la sua vecchia e farle capire, poco alla volta, che correva pericoli ben maggiori della mia presenza che, anzi, rappresentava la sua salvezza. Ma intanto bisognava far sparire l’anziana signora svenuta ai miei piedi. Ed in questo, dicevo, è venuta fuori la mia natura: quale soluzione migliore di quella di mangiarmela? Senza farla a pezzi, naturalmente, ma ingoiandola intera. Poi avrei avuto modo di rigurgitarla integra ed i fatti hanno dimostrato in modo inequivocabile che non era un’idea campata per aria. Detto fatto: non è stato facile, ma ci sono riuscito. Poi, ho dovuto travestirmi e m’è sembrato logico indossare la cuffietta e gli occhiali per poi infilarmi sotto le coperte e meglio nascondere la quasi totalità del mio corpo peloso.
Cappuccetto Rosso è arrivata di lì a pochissimo e allora sono stato costretto a recitare quella invereconda commedia del dialogo che tutto il mondo ormai conosce e che viene riproposto a conferma della mia scaltrezza. Scaltrezza, Signor Giudice? Ma vogliamo scherzare? Dovrei ritenere quella ragazza una minorata mentale per pensare che si bevesse la panzana degli occhi grandi, le mani grandi e così via! Ora, di certo è un po’ miope e questo, se vogliamo, aggiunge un non so che di eccitante alle sue indubbie grazie: avrebbe dovuto vederla, Signor Giudice, che amore che era mentre sforzava i suoi occhi per vedermi meglio! Mi creda, c’era di che innamorar… Pardon, Signor Giudice, sto uscendo dal seminato, mi scusi. Quello che volevo dire è che la ragazza non è per niente scema e, di conseguenza, il mio piccolo teatrino era destinato a durare assai poco, giusto il tempo per arrivare a rivelarle, col dovuto modo, i rischi che aveva corso e che stava correndo e poi trovare assieme una via d’uscita.
Ma purtroppo quel giorno il destino era tutto contro di me. Quei beceri di cacciatori che sciamavano in giro per il bosco non erano mica da soli. Ma per carità! non basta loro essere dotati di armi di precisione che ti ammazzano a distanza con la semplice pressione di un grilletto! Non è sufficiente per loro avere un vantaggio così sproporzionato: i vigliacchi si portano appresso mute di stupidissimi cani per non correre il rischio di tornare a casa senza aver martoriato a sufficienza i disgraziati abitanti del bosco! E dire che questi idioti di bestie, volendo, sarebbero pure miei lontani parenti! Ma hanno venduto l’anima e il corpo mettendo, purtroppo per me, a disposizione dei loro padroni e signori gran parte di quel comune patrimonio genetico. Certo non hanno neanche un briciolo della ancestrale dignità e di ciascuno di loro farei facilmente polpette se mai dovessi trovarmene di fronte uno che non se la desse a gambe levate pressoché subito. Ma purtroppo quelle bestiacce hanno conservata tutta intera la capacità di fiutare una traccia. E, naturalmente, avevano fiutato la mia, ch’ero cosciente d’essermi esposto a questo rischio ma m’era sembrato che valesse la pena considerato che in ballo c’era la vita di Cappuccetto Rosso.
Proprio nel momento in cui la bimba mi diceva, ammirata: «Che bocca grande che hai!», il mio udito finissimo aveva inteso avvicinarsi il latrare dei miei cugini ed erano già echeggiati i primi spari diretti verso la casa. Eravamo praticamente circondati, anche se la ragazza pareva non capire un bel niente di quanto stava accadendo e continuava a fissarmi estasiata. Mi creda Signor Giudice, ero praticamente ammaliato da quello sguardo ma nego, nella maniera più assoluta, d’aver pronunciato la fatidica frase: «Per mangiarti meglio, piccola mia!». Non nego invece d’essermi avventato su di lei, ma non certo per quello che tutti hanno detto e neanche per quello che potreste pensare adesso dopo che vi ho parlato delle sue grazie e degli occhi ammalianti. Sì, è vero, era bellissima e desiderabile, ma non come un pasto da consumare. Signor Giudice, io ero solo innamorato, follemente e perdutamente innamorato di lei. E volevo una sola cosa: portarla via di li, con me e farne la mia sposa.
Lo so ch’è follia pura, lo capisco. Ma ora, qui, in quest’aula di tribunale e dopo tutto quello ch’è successo. Ora capisco che ero come stregato. Io non so se la ragazza sia cosciente di questo suo potere, se lo abbia usato scientemente nei miei confronti, se dal primo istante avesse capito benissimo chi ero e volesse prendersi gioco di me. Anche fosse, non credo che lo confesserebbe mai e, in ogni caso, ormai ogni eventuale incantesimo è svanito ed io sono pienamente cosciente della mia follia. Però, in quell’attimo, ero ben lontano dall’avere una simile chiarezza. Ed è vero, le sono saltato addosso e l’ho ingoiata come già avevo fatto per la Nonnina (quasi mi verrebbe voglia di dire anche con un ben diverso piacere, se non temessi di urtare la suscettibilità di Sua Eccellenza). Solo perché la desideravo, volevo portarla via con me, lontana da quei cagnacci e dai loro biechi padroni.
Ma solo un innamorato reso cieco e folle dalla sua passione poteva pensare di farcela. Era già un miracolo che io riuscissi a respirare con tutto quel po’ po’ di roba nella pancia. Figuriamoci darmi alla fuga. Il resto lo conoscete: il Signor Cacciatore ha fatto il suo trionfale ingresso da salvatore della patria. Mi avrebbe fatto fuori con un solo colpo se io non mi fossi affrettato a spiegargli che rischiava di uccidere le due persone ch’erano nella mia pancia. Dal momento ch’ero gonfio come un otre, qualsiasi imbecille avrebbe capito che stavo dicendo la verità e così anche lui s’è convinto.
Il resto lo sapete. E che Dio vi illumini ed abbia pietà di me.