And if the main character is a girl, make sure she’s married by the end – or dead, either way.”

 

Già vi vedo, anzi, già vi sento: “Piccole donne? Ancora?”

Inizio da cosa questo film non è: non è l’ennesimo adattamento/remake dovuto alla scarsa vena creativa degli sceneggiatori di Hollywood e non è l’ennesimo frutto del movimento #metoo, che ormai sembra essere l’unico tema a disposizione per partire con i favori delle masse social e non attirarsi critiche feroci.

Piccole Donne di Greta Gerwig è semplicemente un film bellissimo. Non c’è una sola cosa fuori posto, non c’è una scelta che non sia quella giusta, dal casting ai costumi, dalla scenografia alle luci, non c’è una battuta di troppo, non c’è una scena superflua. Greta Gerwig ricostruisce un mondo autentico in cui la crescita delle sorelle March risulta non solo credibile, ma nuovamente interessante. Ci si immerge e ci si perde. L’unico momento in cui sono tornato alla realtà è quando arriva il signor March… vedere Bob Odenkirk è stato un piccolo shock (e lo sarà per chi lo segue in altre incarnazioni televisive), ma poi si rivela anche lui una scelta perfetta.

La grande differenza con il libro, al di là di piccoli adattamenti alla trama, è la scelta della narrazione non lineare, che risulta vincente e dona immediatamente freschezza a una storia che l’anno scorso ha compiuto centocinquant’anni. La Gerwig – che ha anche scritto la sceneggiatura – sa perfettamente che gran parte delle persone che vedranno il film conosce almeno a grandi linee la trama e i personaggi, per aver letto il libro oppure visto uno dei precedenti adattamenti (io ero fermo a quello con Liz Taylor, del romanzo ricordo pochissimo). Iniziando in medias res, la storia risulta avvincente e la giustapposizione di scene ambientate in momenti diversi è la chiave per arrivare efficacemente al senso profondo della storia.  Tra le poche, ma decisive,  aggiunte alla storia originale, va citata la sottotrama, che offre peraltro molti dei migliori spunti leggeri del film, legata al rapporto tra Jo e l’editore di New York che alla fine pubblica Piccole Donne – un omaggio alla vicenda reale della stessa Louise May Alcott.

Non manca occasione per qualche riflessione sul ruolo della donna nella società (si veda il discorso di Amy a Laurie nello studio, o il bel dialogo tra Jo e Marmee nel finale), anche perché è difficile pensare che a Greta Gerwig sia sfuggito il valore di riproporre la storia la femminile per eccellenza nel momento in cui ci si sta nuovamente interrogando con grande urgenza sul ruolo della donna, soprattutto rispetto all’uomo. Basta guardare, in effetti, come sceglie di girare la scena in cui Jo corre dietro al suo pretendente (altra aggiunta vincente rispetto al libro): prendendo bonariamente in giro uno degli topos più abusati delle commedie romantiche (l’inseguimento finale), inverte i ruoli, calca volutamente i toni e sovrappone per l’unica volta nel film il piano del proprio racconto con quello del racconto di Jo, lasciando il dubbio che quel che abbiamo visto non sia reale, ma solo il modo in cui Jo decide di accontentare le richieste dell’editore sul finale del libro.

Con grande intelligenza, ironia e padronanza dei mezzi, in una sola scena, Greta Gerwig dice la sua sulla questione, aggiungendo ulteriormente valore al personaggio di Jo e  allo stesso film, invece di ancorarlo all’epoca in cui è girato con qualche riferimento forzato che non avrà senso tra qualche anno. Invece di piegare il film a un’agenda politica o civile, crea cinema con un’anima.

Il tempo passerà e si passerà a ragionare d’altro, sperando di non dover più riaprire certe questioni. Resterà invece un grandissimo film, che lascia più di una sensazione positiva non tanto per il modo in cui ritrae le donne (che comunque restano fedeli alla caratterizzazione originale e pertanto un po’ monodimensionali), ma per la delicatezza con cui racconta l’intreccio dei legami fondamentali della vita e pone l’accento sull’amore, in tutte le sue manifestazioni, come unica moneta che possiamo sempre spendere sapendo di guadagnarci sempre. Piccole Donne è una storia di cambiamento e perdita: l’innocenza, la giovinezza, i sogni, le ambizioni, le persone care: il nucleo originale della famiglia March, seduto davanti al focolare all’inizio della storia, deve spezzarsi, deve perdersi, prima di potersi ritrovare in nuovo equilibrio e diventare la grande famiglia gioiosa che si vede nel suggestivo finale. Non è una visione femminista della vita, quella che propone Greta Gerwig, ma una basata sull’altruismo e sulla forza dei legami, sulla certezza che lottare per affermare se stessi non deve implicare mai la rinuncia alle altre persone, ma piuttosto il contrario, consente di contribuire alla propria comunità nel miglior modo possibile.

Non si tratta nemmeno di sentimentalismo a buon mercato, anche perché nessun dolore viene edulcorato o mascherato e, se possibile, la Gerwig aggiunge anche qualcosa in questo senso (come per la storia di Meg): vivere cercando e offrendo positività è semplicemente l’unico modo a cui dovremmo idealmente tendere.

Un’ultima e doverosa considerazione sul cast: non c’è nessuno che non dia il meglio e a tutti è dato almeno un momento per mettersi in luce, ma le prove di Saoirse Ronan (Jo) e Timothée Chalamet (Laurie) sono il cuore del film. Jo e Laurie sono le anime gemelle il cui legame è il motore di ogni evento importante della storia e i due attori mostrano una chimica incredibile e rara, che pervade il film e accende ogni scena in cui i due interagiscono.

Davvero da non perdere e non aspettate che passi in televisione, questo è cinema.