Con il cuore in gola Viola si tolse dal collo l’amuleto e lo mise sul piccolo altare che aveva preparato seguendo le istruzioni della maga. Accese con un fiammifero da cucina le due candele nere che aveva trovato con grande difficoltà al market cinese e osservò la luna d’argento risplendere sopra il sacchetto di velluto blu.
Era difficile credere veramente che con quel ridicolo rituale sarebbe riuscita a rivedere il suo Elvio, ma non si dice che la speranza è l’ultimao a morire?
Con uno sforzo e mettendo a rischio le sue giunture scricchiolanti, Viola si sedette a gambe incrociate sul cuscino e cercò di immaginare la figura del figlio scomparso: le sembrava davvero di rivedere i suoi occhi chiari e la sua fronte attraverso le fiamme di quelle candele, e il profumo della bacchetta d’incenso che aveva acceso -non su indicazione della maga, ma per propria iniziativa – contribuiva a creare un’atmosfera intrigante.
Passarono secondi o forse minuti, Viola sentiva gli occhi lacrimare e faceva sempre più fatica a mantenere lo sguardo sulle fiamme che salivano pigre dalle candele. Per un attimo batté le palpebre e quando riaprì gli occhi vide davanti a sé Elvio.
«Dio mio, Elvio! Sei veramente tu! Allora quella maga non era una ciarlatana, aveva davvero dei poteri!»
La figura nella nebbia fece un sorriso mesto.
«No, Viola, Luna è davvero un’imbrogliona. Sono venuto da te apposta per metterti in guardia da quelle persone che avvelenano il ricordo di chi ha dovuto lasciare questo mondo».
«Cosa posso fare, Elvio?».
«Stammi a sentire» disse l’apparizione, e la nuvola di fumo si alzò ad avvolgere la donna.
La maga Luna si stupì nel sentire suonare il campanello della porta: non aveva in programma appuntamenti e non frequentava amicizie, perlomeno non in quel bugigattolo che utilizzava come studio.
Ad ogni buon conto prima di andare ad aprire si rimise la vestaglia di seta e il turbante che costituivano la sua divisa di ordinanza e scostò con prudenza la porta.
Vedendo il volto conosciuto di Viola la maga tirò un sospiro di sollievo – niente creditori ne carabinieri – levò la catena e aprì completamente la porta.
«Buonasera Viola come mai è qui?».
«Sono venuta a ringraziarla per l’amuleto che mi ha fornito».
La maga riuscì a stento a nascondere il suo stupore, ma non riuscì a trattenere la curiosità:
«Sono felice che abbia funzionato. Racconti cosa è successo» disse «gradisce una tazza di tè?».
E senza aspettare la risposta andò a mettere sul fuoco il bollitore.
«Ho fatto proprio come mi ha suggerito» disse Viola, sorseggiando il tè caldo «e le confesso che all’inizio avevo molti dubbi sull’efficacia di quel rituale».
La maga non commentò, preferendo aspettare quello che avrebbe detto la cliente.
«Invece mi è apparso veramente il mio povero figlio, proprio come era nei miei ricordi».
«Straordinario! E cosa le ha detto?».
«Mi ha parlato dei maghi che si trovano sull’elenco telefonico, e mi ha dato anche una cosa per lei».
Luna rimase interdetta di fronte a quello strano discorso, ma non riuscì a trattenersi:
«Cioè?».
«Mi ha raccontato che siete tutti dei ciarlatani, ma questo lo sapevo già. Però mi ha anche detto che la magia vera esiste e che coloro che ci scherzano giocano col fuoco».
La maga scoppio in una grande risata, credendo di avere capito cosa intendeva fare la donna.
«Va bene» esclamò «chiudiamola qua senza metterci di mezzo carabinieri o defunti. Le ridarò i suoi soldi e amiche come prima!».
«No, no» disse Viola tirando fuori dalla borsetta una scatoletta e versandone il contenuto sul palmo della mano «sono io che devo dare qualcosa lei» e soffiando con forza proiettò la polverina rosa sul volto della esterrefatta maga.
«Lo so, Elvio, che quello che abbiamo fatto servirà ad evitare a tante donne come me di essere truffate, ma non abbiamo esagerato con la povera maga Luna? Farle dimenticare tutto, anche chi era, la costringerà a mettersi a lavorare davvero: una condanna a vita!».
Nessuno le rispose, e Viola sorrise continuando a preparare l’arrosto per la sera.