UNA SECONDA IPOTESI DI NASCITA
“Questa bambina, che inebria i sensi con la fragranza delle mandorle e scalda il sangue con l’entusiasmo della cannella, potrebbe benissimo un giorno, se non corrisposto, spingere un uomo al suicidio”.
Era questa la certezza conseguita da Concetto Scalavino dopo aver preso attentamente a studiare la sua ultimogenita.
…e, pur arrossendo di questo pensiero, del quale s’era vergognato come dall’aver commesso atto d’ incesto, ne aveva preso però nota, non riuscendo a stabilire se dolersene o rallegrarsene, consapevole che una creatura simile, che andava scoprendo indomita quanto seducente, non poteva avere che impresso nel suo destino un drammatico futuro di gloria, perché è universalmente noto che se la bellezza può con irruenza trascinare all’amore, con altrettanto trasporto può suscitare l’odio.
…e così l’anima del mercante, essendo stata molto più a lungo e con consapevolezza esercitata, aveva preso il sopravvento su quella del genitore, dandosi, in ultimo, perfino dell’idiota per tutti quegli anni passati a dolersi sulla mancata nascita di un erede maschio, quel giovane Concetto Scalavino mai venuto al mondo, il motivo per cui s’era stoltamente precluso, fino a quel momento, ogni altra possibile alternativa.
…e se non fosse stato per lo scandalo casalingo di quel cane infoiato, di sentinella davanti alla camera da letto di Rebecca, egli, forse, non si sarebbe mai degnato di valutare la fortuna che ora gli si palesava dinnanzi come una rivelazione esaltante, pregna di progetti fattibili per realizzare i suoi sogni.
Quella sera stessa, a Rebecca, venne concessa una seconda ipotesi di nascita, m astavolta, però, a partorirla sarebbe stato lui stesso, adempiendo all’evento con tutta la partecipazione emotiva, e l’entusiasmo, di cui aveva difettato, invece, la moglie.
Come una Dea sarebbe stata espulsa, con forza maschia, ma non brutale, dai lombi paterni, per essere accolta nell’incavo ospitale delle sue grandi mani e rifugiata, poi, al sicuro, sul suo largo petto, in concomitanza della regione del cuore, per ninnarla, dolcemente, con la ritmica cadenza dei suoi battiti.
Ed ecco così esistere, nello stesso tempo, e nello stesso luogo, seppur su due paralleli diversi, Rebecca “la regina in miniatura”, appena partorita dal padre, e Rebecca l’adolescente, che dorme nella sua camera, vigilata dal cane domestico in preda agli eccessi di una malia sessuale.
LA REGINA IN MINIATURA
Rebecca, “la regina in miniatura”, respirava tranquilla i suoi primi attimi di vita, al sicuro sul petto del padre e protetta dalle sue grandi mani, mentre Rebecca, il cucciolo di lupo, s’era destata all’improvviso, inquieta e con i sensi allertati, istintivamente presagendo un pericolo.
Ed il pericolo era in agguato fuori la porta della sua camera, sulla cui soglia vigilava il cane lascivo.
Se quella sera Concetto Scalavino malauguratamente avesse osato oltrepassare la porta, il cane, di sicuro, lo avrebbe sbranato.
Reduce da questo suo metaforico parto, quando finalmente, e per la prima volta, aveva assaporato le gioie intime della paternità, il mercante s’era convinto che “la regina in miniatura”sarebbe stata il suo riscatto. La sua rivincita.
Lo strumento col quale avrebbe beffato il suo destino.
Ipotesi ancora in nuce che andava accortamente elaborando attraverso un disegno minuzioso e circostanziale, dove tutte le tessere di quell’ipotetico mosaico avrebbero dovuto essere allocate nel loro alveo naturale, così da risultare strettamente connesse, con precisione millimetrica, da mistificare, anche da vicino, l’inevitabile saldatura del collante e dei chiodi, nella perfetta sintesi di una superficie compatta, liscia e pulita, una trama omogenea e non un meticoloso rammendo: il capolavoro di un maestro ebanista.
…e mentre lo Scalavino artista fantasticava sul tema degli sfondi ove far risaltare al meglio le potenzialità inedite di Rebecca, lo Scalavino mercante, invece, vagliava le conseguenze, in termini di ricchezza e gloria, che ne sarebbero successivamente derivate.
Più di gloria che di ricchezza, che di quest’ultima ne aveva già a profusione.
In realtà il progetto che andava elaborando non era impossibile da realizzare, che la materia prima c’era, e della qualità più pregiata, ed avvalendosi delle sue comprovate capacità nel campo degli affari non avrebbe avuto difficoltà alcuna ad immetterla sul mercato e a condizioni, per lui, assolutamente vantaggiose.
L’idea era quella di combinare il matrimonio tra “la piccola regina in miniatura” ed il giovane, talentuoso maestro ebanista, Giandomenico Messinese, la cui fama aveva già travalicato i confini della Sicilia per giungere fino alla Città del Vaticano da dove gli era stata commissionata la creazione di uno scrittoio e di una cassettiera, arredi per le stanze private di Sua Santità, papa Leone XIII.
Concetto Scalavino era da sempre il fornitore unico per il legno da cui s’approvvigionava la famiglia Messinese, che vantava un paio di generazioni di ottimi e riconosciuti maestri ebanisti ed ora, tra tutti, Giandomenico, l’enfant prodige, il cui genio avrebbe inesorabilmente oscurato la fama di Giuseppe Maggiolini.
Ne era certo Concetto Scalavino che nutriva nei riguardi della famiglia Messinese un sentimento ambiguo di stima e d’invidia per quella progenie feconda di maschi e di talenti destinati a perpetrare, nel corso dei secoli, il proprio nome nella fama, mentre invece, lui, non avendo avuto in sorte nessun erede maschio sarebbe definitivamente morto dopo il suo ultimo giorno di vita.
Per ovviare a questo, alla stipula del contratto matrimoniale avrebbe preteso come unica, indiscutibile condizione, che ai futuri nipoti venisse imposto, insieme al cognome del padre, anche quello della madre.
Un progetto così ardito da indurlo a non trascurare alcun particolare nella stesura del canovaccio e la distribuzione dei ruoli nel progetto che andava elaborando, perché per questo matrimonio, a differenza di quelli combinati per le altre sue figlie, (affette dalla stessa tara materna che portava a generare solo femmine) nessuno dei quali, però, aveva comportato un suo coinvolgimento così personale e così diretto, tanto da non prendere in considerazione, per il caso specifico, l’eventualità di un inciampo o di un rifiuto, poiché la posta in gioco era il suo diritto al nome e ad una discendenza che degnamente lo rappresentasse.
…fantasticava, Concetto Scalavino, davanti la stanza de “la regina in miniatura”, sulla futura progenie di nipoti maschi, dotati del genio del padre e del carisma della madre.
E del suo cognome.
In virtù di quella sagacia che egli pur con molte ragioni s’accreditava, si predisponeva allo studio di una strategia sottile e psicologica, poiché in quel frangente nulla era da trascurare, neppure la demenza della moglie, che lo spauracchio di una tara ereditaria avrebbe potuto costituire valido motivo di rifiuto da parte della famiglia Messinese.
…quella moglie incapace di generare un erede maschio e la cui follia egli, sacrificandosi personalmente, era riuscito fino a quel momento a tener nascosta al mondo, e che mai avrebbe permesso interferisse con quel suo progetto esistenziale.
…seppur si rendeva conto che non avrebbe potuto farla sparire così da un giorno all’altro, relegarla in una struttura manicomiale o domiciliarla in un convento, che la voce si sarebbe inevitabilmente sparsa.
Anche l’assenza da casa, motivata ad esempio con una visita ad un parente, poteva essere solo una soluzione temporanea per quella moglie squinternata, alla quale non c’era verso di farle tenere indosso neppure una tunica, quando invece una camicia di forza si sarebbe rivelato l’abbigliamento più confacente
… e dal momento che era impossibile farla materialmente sparire, Concetto Scalavino aveva stabilito che meno si mostrava meno se ne sarebbe parlato, più facile sarebbe stato rimuoverla dal mondo dei vivi.
A tal scopo aveva drasticamente ridotto il personale domestico ad una giovane cameriera sordomuta, una cuoca part time, ed un factotum delegato a svolgere le mansioni all’esterno della casa, mentre invece, per l’educazione scolastica delle due adolescenti, era stato ristrutturato un piccolo vano indipendente dalla casa, circondato da alberelli sempreverdi e siepi espansive, allo scopo di limitare, alle istitutrici, la vista diretta sulla casa.
Accortezze comunque puerili, inadeguate, che questo suo progetto necessitava di uno scenografia più convincente, di complici e non di comprimari (in ultimo, non aveva neppure quelli), quando da dietro le quinte avrebbe diretto i suoi attori, ed esposto se stesso solo quando il copione lo avesse previsto.
In questo modo si predisponeva a recitare un monologo spacciandolo per un racconto a più voci.
…eppoi avrebbe dovuto fare in modo che Gemma accettasse la parte che le aveva riservato.
Un ruolo secondario, indispensabile, però, alla riuscita della commedia.