Questa mattina mi sono fatta un regalo che desideravo farmi da tempo. Sono uscita di casa molto presto e ho camminato seguendo il Lungotevere. Volutamente non avevo portato musica da ascoltare perché volevo sentire la città. E non sono rimasta delusa. Roma era ancora silenziosa e libera, l’aria sapeva di aria, la luce era giusta e potevo ascoltare il rumore dei miei passi.

Dormivano gli uccelli, compresi i gabbiani ormai naturalizzati, dormivano gli eserciti di ratti, probabilmente satolli dopo l’orgia di cibo reperita nei loro personali supermercati. Mi hanno fatto compagnia i ponti di Roma, da Ponte Vittorio passando per Ponte Mazzini, Ponte Sisto, Ponte Garibaldi, Ponte Cestio e Ponte Palatino fino a Nuovo Ponte Sublicio. Mi sono infilata a Porta Portese dove mancavo da secoli, ho attraversato l’orgia di bancarelle, nel tempo parecchio cambiate, ma alcune ancora saldamente tradizionali, come quella di vecchia cartoleria anni ’60 dove ho ritrovato reperti della mia infanzia. Sono risalita fino a Piazza Ippolito Nievo e imboccato Viale Trastevere. La città cominciava lentamente a svegliarsi, i suoni e i colori cambiavano, aumentavano le presenze. Ho attraversato Ponte Garibaldi soffermando lo sguardo su un uomo probabilmente senza fissa dimora che aveva un magnifico cane al guinzaglio, un meticcio incrocio molossoide striato, una femmina. L’uomo era vestito modestamente, zainetto, vecchio cappello, il cane perfetto: guinzaglio, collare, medaglietta, museruola appesa la collare. Ho letto in quella diversità tutto l’amore dell’uomo per il cane, come se volesse dire:”Se mi fermano io posso parlare, dare i documenti, spiegare, ma il cane deve essere a posto anche visibilmente così non potranno neanche provare a portarmelo via”. Con un sorriso sulle labbra sono entrata al Ghetto, un luogo che amo da sempre, mi ricorda molto certi scorci della mia amata Napoli, la sua essenza popolare, la coesione, la conoscenza tra chi ci abita. Una sosta alla storica pasticceria: la lunga passeggiata mi ha fatto meritare un  premio. Compro quattro “Ninetti”, biscotti di semplice pastafrolla, la migliore che conosco. Due chiacchiere con la signora che mi serve e si finisce a parlare di cani, chissà perché. Mi intrufolo nei vicoli di Largo Argentina sbocconcellando un Ninetto che scopro ancora tiepido di forno, risalgo Corso Rinascimento, mi fermo a bere alla fontanella di fianco al Senato e proseguo. Attraverso Ponte Umberto I, raggiungo Via Crescenzio, poi Via Ottaviano e sono a casa. Mi è sembrato di attraversare un’altra città, quella Roma che merita di essere ricordata nei libri di storia e d’arte come la Caput Mundi, una città che potrebbe vivere solo della sua bellezza eterna. Come una immensa opera d’arte quale è e basta. Se solo lo si volesse.