In un attico periferico, nell’incantevole città di Roma, abita una donna né bella, né brutta.
Né giovane, né vecchia.
Evanescente.
Perché così si vede negli specchi fumè appesi alle pareti.
Specchi che nelle giornate d’estate copre con pesanti drappi di broccato.
La donna dell’attico odia la luce.
Quella del sole.
La luce squilibrata.
La luce che la squilibra.
Le punte ardenti del sole si smorzano sulle superfici brunite di quei vetri con bagliori sulfurei.
Raggi lavici. Espansi dal cratere di un vulcano. Mistificatori.
La donna dell’attico si smarrisce nell’interno degli specchi.
Perché ogni specchio, nelle sue profondità, contiene labirinti di altri specchi.
Moltiplicandola così in una infinità di donne né belle, né brutte.
Né giovani, né vecchie.
Una moltitudine di vestali drappeggiate in coperte di broccato che trovano, all’interno dei vetri offuscati, il buio necessario al loro equilibrio.
Un riparo dalla luce.
Fino a che sarà di nuovo crepuscolo.
Solo allora la donna dell’attico uscirà dallo specchio.
Nuda.
Fluorescente.
Nel pallore della sua pelle.
Spalancherà tutte le finestre affinché la luna inondi, con il suo chiarore di nebbia, le stanze buie.
La donna dell’attico così potrà rimirarsi negli specchi notturni.
Sorridendo. Con gengive di ghepardo.
Finalmente equilibrata.