LA DONNA DELLA DOMENICA, DI FRUTTERO E LUCENTINI Tanto vale dirlo subito: il giallo è il genere più amato dagli italiani, l’unico per cui degli italiani siano disposti a leggere altri italiani. Quando c’è di mezzo l’horror, il thriller, il dark o il romance, niente da fare, preferiscono sempre e comunque l’americano (o al massimo “inglese”, nella sua accezione più vasta) che arriva a deliziarci con le sue magie. Non è tutto oro quello che luccica (per un Stephen King ci sono molti Dan Brown, per un Ken Follett infinite E.L. James) ma il catalogo è questo: prendere o lasciare. Un Harry Potter ambientato in Lombardia, fra le brume della Padania? No grazie. Un Ellroy genovese, con cadaveri disseminati fra i caruggi? Per carità. E allargando un po’ l’inquadratura, saremmo i primi a farci beffe di un Thomas Mann romagnolo, di un Hemingway a pesca nel riminese. Una Pastorale Italiana, con una ragazzina che bombarda le Poste di Viguzzolo? Ah ah, che ridere! Soltanto Faletti ha infranto questa maledizione. Gli altri italiani sono confinati o al Letterario (con qualche sfumatura pietistica) o al Politico (tendenza-liberal, con forti accenti umanitari): altrimenti non si sfugge alla Regola. Ci devono essere un cadavere, un omicidio, un commissario e i suoi nemici (non solo i criminali, ovviamente: egli è sempre un maverick, un irregular, in rotta con i superiori e il marciume della società), e ancora: una città sull’orlo della rovina, meglio se in provincia, la Crisi, e ovviamente una Dark Lady, una Puttana Santa, costretta dalla vita a sprecare la sua bellezza. Alla fine si scopre l’assassino, lei va con il commissario, e vivono tutti felici e contenti. D’altronde, come mi ha spiegato un bravo editor, “il lettore spesso ha una vita di merda: si è alzato presto, ha perso il treno, ha lavorato tutto il giorno, ha la moglie che gli fa le corna: non gli rompiamo i coglioni!”. Meglio dunque un libro per cui il mondo è semplice, tutto bianco e nero, facilmente comprensibile e pieno di morale, che alla fine trionfa sul Male. In questo senso, il giallo è un buon investimento: vale il prezzo del biglietto.
Ha avuto tanto clamore, che solo qui il giallo si chiama “giallo”: grazie al colore di una collana di straordinario successo. E il giallo richiama l’oro, perché non ci sono solo le patacche, la bigiotteria, ma anche gioielli preziosi, rivestiti di un metallo più costoso del platino. Se ci penso vado subito al mio preferito – La Donna della Domenica, di Fruttero&Lucentini. L’intero libro, come il Dono di Nabokov, può essere visto alla stregua di una satira, delicata e sfuggente, dedicata a un intero mondo letterario. Impossibile citare qui l’infinita schiera di rimandi e assonanze, di natura letteraria, che non intralciano la narrazione, ma finiscono per renderla ancora più ricca. Il libro – proprio come Delitto e Castigo, o altri grandi classici – può essere letto a più livelli: puro entertainment, romanzo di pensiero, fino ai vertici della massima filosofia. Scegliete voi quello che preferite.
Quello che rende magistrale questo libro è un insieme di più elementi, a cominciare dallo stile. E’ ornato e ricco, piuttosto pastoso, ma non pedante; scorre via in fretta, senza mai diventare sciatto. Un altro è una questione di atmosfere: il vero protagonista della narrazione è una città – Torino – colta in un momento difficilissimo della sua esistenza, agli inizi degli Anni Settanta. Un periodo di transizione, di lotte e crisi economica, in cui la politica si trasforma in una guerra, e schegge di mondo nuovo si mischiano a cascami di un universo antico, in uno strano incrocio di colori cangianti e barocchi.
Vengono fuori magnificamente attraverso le scene, i luoghi in cui sono calati i personaggi, o meglio, da cui essi sono emanati, come gli spettri di un vecchio castello: salotti borghesi e anguste redazioni, case in collina e vecchie soffitte, ma anche le piazze, i giardini, il Mercato del Balùn. Il tutto è incredibilmente autentico, rifinito con maestria e cura del dettaglio. Fruttero&Lucentini, che pure hanno viaggiato moltissimo, e adorano la Francia, sono due veri torinesi: nessuno come loro ha Torino nell’anima, pochissimi conoscono, al loro livello, questa città bifronte, razionalista ed esoterica, borghese ed operaia, comunista e monarchica, lucente e oscura.
Camminando per le sue strade, il grande Nietzsche si era prostrato di fronte a un cavallo, cedendo alla pazzia. Le sue piazze avevano ispirato la pittura metafisica di De Chirico, mentre i massoni si riunivano in logge, e un uomo misterioso – Gustavo Rol – sbalordiva i suoi ospiti con strani esperimenti, confinanti con la magia. Poi si parlava di riti oscuri, di messe nere, di sacrifici devoti a Satana; e tutto questo conviveva con il Partito d’Azione, con la forza scintillante della Fiat e della Tecnica, con l’Università di Torino, l’Einaudi e i suoi uomini – Bobbio, Mila, Ginzburg, Pavese e Galante Garrone – con i bagliori non ancora spenti di un mondo monarchico, ora reincarnatosi in un dandy – Gianni Agnelli. Tutto questo e molto altro era Torino, e in quel periodo estremo, a un passo dalla dissoluzione, la sua essenza era entrata in un libro – La Donna della Domenica.
Altro elemento portante, come una colonna, è certamente quello dei personaggi: qui ce ne sono tanti, e indimenticabili, come la vittima – l’Architetto Garrone, uomo squallido e losco – l’americanista Bonetto, il Commissario Santamaria, la giovane dama Anna Carla Dosio, e mille altri. L’Architetto è stato ucciso con un colpo in testa, in circostanze misteriose, all’interno del suo pied-à-terre: chi è il colpevole? Chi è stato a ucciderlo? L’indagine non è altro che un lungo viaggio in quella Torino, fino alle sue pieghe più delicate, più nascoste, più strane e pruriginose. Quasi lo si può definire come un romanzo storico, scheggia di un’epoca che non tornerà più, e che pure rivive fra queste pagine. Oppure un romanzo psicologico, che privilegia la forma della coscienza a quella dell’azione. Il tutto spruzzato di una lieve, composta ironia – assolutamente deliziosa.
Molti – e io fra loro – si chiedevano come fosse possibile, come riuscivano, Fruttero&Lucentini, a scrivere in due. Se non è un caso unico, poco ci manca, essendoci rarissimi esempi nella storia. Ma la loro alchimia funzionava, e ha continuato a farlo, fino alla tragica scomparsa di Lucentini. Ora anche il grande Fruttero riposa in pace. Se sono andati entrambi, come la loro Torino, e le mille storie che la componevano. Solo a pensarci mi viene nostalgia, di due uomini così limpidi, che hanno fatto Letteratura senza cedere alla pompa, evitando, da signori, tutte le mode dell’epoca, e dedicandosi unicamente a ciò che è solido, perenne. Un esempio di come essere uomo, prima ancora che scrittore, tuttora validissimo (lo stesso non si può dire di qualche altro “intellettuale” italiano, passato con freschezza dal Fascismo al Comunismo, e sempre nel ruolo del sicofante). Sono passati più di quarant’anni, e la Donna della Domenica è ancora qui. Sembra scritto appena ieri, tanto è solido. Certo, a passarci oggi Torino è irriconoscibile. Ci sono una serie di bar e di megastore, proprio come in tutte le città del mondo. Eppure, se guardi là, in quell’angolo buio… sembra proprio di rivedere Garrone, i suoi amici, e un altro tragico mistero, sempre all’ombra della Mole… se non è magia questo è Letteratura, lo splendore dell’Arte – e il resto non conta. Tutto passa, tranne lo Spirito.