RECTIFY, DI RAY MCKINNON  Ci sono due serie che rappresentano modi opposti di fare cinema. Una è True Detective, di Nic Pizzolatto. Questa è la classica “indagine”, con due detective alla caccia di uno spaventoso serial killer. Inutile dire che qui abbondano gli stereotipi. Appaiono, nell’ordine, una prostituta uccisa e dei riti satanici, un pazzo pervertito e un politico corrotto, un investigatore nichilista (dal grilletto facile) in fuga da un triste passato, un maschio medio americano (che tradisce la moglie con una ragazzina) e via dicendo… tutto è MESSO IN SCENA, fatto vedere nel modo più chiaro e trasparente, quasi didattico. E’ comunque abbastanza godibile, per via del fatto che agli stereotipi americani siamo abituati, e funzionano piuttosto bene. L’altra è RECTIFY, di Ray McKinnon. Qui si racconta la storia di Daniel Holden, un uomo che si trova da anni nel braccio della morte, per un omicidio che – forse – non ha commesso…

 

All’inizio non sappiamo nulla di quel delitto. La vittima – una ragazza molto giovane – è stata uccisa anni fa, in una notte rischiarata dalla luna. Non vediamo mai il suo volto, né conosciamo le circostanze in cui è stata assassinata, se non per vaghi racconti, sempre dialogati. Intanto assistiamo alla scarcerazione di Daniel. La sua liberazione è data dalle falle del processo, che – forse – è stato truccato dalla Polizia. La serie si concentra sopratttutto sulle vite dei suoi famigliari, il modo in cui reagiscono al suo ritorno. Sono uomini e donne di una cittadina del Sud, nella provincia americana, con esistenze marginali, spolpate dalla Crisi e da una macchina potentissima. Non sono pronti ad accogliere Daniel, e provano verso di lui sentimenti contrastanti. Intanto affiorano pezzi di quel lontano passato, macchiato da un delitto. Le cose avvengono lentamente, e spesso in modo nascosto, quasi impercettibile. Si sente soltanto un forte senso di angoscia, e l’idea di un Male che resta nell’ombra, impossibile da affrontare.

 

Insomma, questa serie rifiuta ogni tipo di consolazione, di banalità o verità preconfezionata. Non sempre è facile, ma alla fine lascia un segno dentro di te. Impossibile dimenticare il personaggio di Daniel, i suoi silenzi, le sue paure, i suoi comportamenti di uomo timido e disadattato, diverso da tutti. Aden Young, in quel ruolo, è forse uno dei più grandi attori mai esistiti. Sono ancora alla quarta serie, e ancora non so come finisce Rectify. Troppi bivi, troppi sospetti, troppi dialoghi e pensieri sottintesi… ma ciò che mi è arrivato è un messaggio ugualmente fortissimo. Il vero dolore non ha nome. E tutto quello che possiamo fare, a volte, è guardare qualcuno negli occhi. Dirgli soltanto – “lo so”. Lo so Daniel, la vita è crudele. Ti ha fatto del male. Ma ora puoi andare avanti, senza guardarti alle spalle. O solo ogni tanto, se ti va.