Era una mattina qualunque, d’inizio estate di qualche anno fa, ero a letto e mi stavo svegliando svogliatamente, non avevo voglia di alzarmi e mormorai a occhi chiusi:
«Sto così bene qui» e cambiai posizione con l’intenzione di poltrire ancora un po’.
Il sole stava sorgendo dal mare come una palla infuocata, lo intravedevo filtrare dalle fessure della tapparella abbassata e le strisce, di morbida luce rossastra, ricamavano le lenzuola con arabeschi variegati, il cinguettio allegro degli uccelli che popolano gli alberi intorno al mio palazzo si spandeva nell’aria come una deliziosa melodia.
Sentivo i rumori del panettiere sotto casa che caricava il furgone del pane, il rombo di un motorino che passava dalla strada, il cigolio dell’autobus in piazza.
Animali e uomini iniziavano un nuovo giorno.
Anche se il sole si divertiva a stuzzicare il mio volto con i suoi raggi, lo ignorai beandomi di questo piacevole momento.
Ascoltai i rumori famigliari che mi circondavano poi, nonostante mi venissero in mente le molteplici cose che avevo da fare, senza accorgermi mi riaddormentai.
Non sapevo quanto tempo fosse passato ma, quando riaprii gli occhi, vidi filtrare dalla finestra la luce brillante del sole, alto nel cielo.
Guardai la sveglia con un occhio:
«Sono le nove, devo alzarmi.»
Richiusi gli occhi, poi li aprii stiracchiandomi e, all’improvviso, vidi un pipistrello che stava volando in cerchio sopra la mia testa.
Richiusi gli occhi pensando:
«Sto ancora dormendo, sono nel mezzo di un incubo e un pipistrello vola sopra la mia testa, adesso mi sveglio sul serio, apro gli occhi e sparisce tutto».
Dopo qualche secondo, molto più vigile di prima, riaprii gli occhi e vidi chiaramente il mostro volante che girava in tondo, come un pazzo, sul soffitto della camera.
Scattai veloce verso la porta lanciando un urlo.
Per conoscenza, io ho una paura folle dei pipistrelli, un terrore incontrollabile e mi fanno un ribrezzo indescrivibile.
Mi appoggiai con le spalle alla porta chiusa, tremando dalla testa ai piedi, avevo la pelle d’oca e il cuore mi rombava nel petto.
In quel momento avevo quasi l’impressione di sentire camminare sul mio corpo tante schifose zampette pelose.
«Oddio, questa notte ho dormito con quel mostro, che schifo, ma quando è entrato?», mi chiesi con orrore.
Nonostante il mio cervello fosse in confusione sopraffatto dal panico, lavorava a pieno ritmo considerando:
«Calma, non farti vincere dal panico, vai a berti un caffè, schiarisciti le idee e poi ragionaci con calma».
“Ragionaci con calma” è un bel proposito, ma la realtà era un’altra: nella mia mente vedevo soltanto raccapriccianti pipistrelli svolazzanti e mi si accapponò di nuovo la pelle.
Bevvi il caffè in mutande ma non riuscii a gustarlo, guardai persino dentro la tazza con la paura che, da un momento all’altro, saltasse fuori un orribile vampiro.
Mentre sorseggiavo la bevanda, mi calmai un po’ e mi sedetti su una sedia a riflettere a voce alta:
«Ieri sera ho lasciato la finestra spalancata con la tapparella alzata, sono scesa alle quattro, quindi a quell’ora la bestia era già dentro, ho tirato giù la tapparella e il mostro è rimasto intrappolato; ecco la dinamica dei fatti».
«Inconsapevole, ho dormito insieme all’ignobile creatura».
«Che schifo!».
«Il problema è come liberarsene, non riesco a sopportare il pensiero di avere un contatto ravvicinato con quella bestiaccia».
«Che cosa faccio?»
«Devo trovare un’idea».
Conversavo con me stessa come una pazza e pensavo che il mio cervello dovesse avere gli ingranaggi inceppati dalla paura perché non riusciva a produrre niente di veramente utile.
Cercai invano di pianificare qualcosa:
«Mi faccio coraggio, entro rapidamente in camera, tiro su la tapparella e lo faccio uscire», esclamai all’improvviso mostrando un coraggio che in realtà non possedevo.
Al momento era l’unica idea brillante che mi fosse venuta in mente.
Mi avvicinai alla porta della camera, inspirai profondamente, contai mentalmente fino a tre e, alla velocità della luce, entrai senza guardare, tirai su la tapparella, tornai indietro, agguantai al volo una vestaglia, mi richiusi la porta alle spalle e mi fermai ansimante.
«La prima parte del piano è andata», sospirai, asciugandomi il sudore dalla fronte come se avessi appena scalato una montagna.
Poi, aprii la porta con cautela e guardai dentro la fessura: del volatile nottambulo neanche l’ombra.
Non era stata una buona mossa; lo capii in quel momento.
«Non credo che il piccolo demonio sia uscito, è un animale notturno, non tollera la luce e si è nascosto da qualche parte; il problema adesso è, dove si sarò cacciato», affermai esausta.
La mia giornata, cominciata sotto ogni buon auspicio, stava prendendo una piega sbagliata!
Pur essendo una donna decisa, il ribrezzo mi paralizzava e, anche se di solito non mi ferma niente e nessuno, ero in difficoltà.
Pensai che non sarebbe stato un pipistrello a fermarmi.
«Adesso basta, vengo dentro e ti stano».
E, per farmi coraggio, blaterai per un po’ frasi profonde e impegnate di questo tipo:
«È dagli albori dell’umanità, che uomini e bestie, lottano per difendere la propria casa, perciò non faccio altro che seguire un istinto primordiale, anche tu, al mio posto, faresti la stessa cosa», andando avanti e indietro davanti alla porta della camera rivolgendomi alla bestia immonda.
Ripensandoci adesso, con il dovuto distacco, questo colloquio sconnesso tra me e l’animale, mi fa anche sorridere ma in quel momento non lo trovai né sciocco, né ridicolo.
Andai nella stanza accanto, adibita come studio e camera da lavoro, rovistai nell’armadio, dove tengo indumenti vecchi e indossai una maglietta e un pantalone, mi coprii il capo con un grande foulard e m’infilai un paio di guanti in lattice.
Sentivo il bisogno di coprirmi.
Così conciata, presi una scopa, una paletta, un sacco per l’immondizia ed entrai cautamente nella stanza da letto.
Guardai con prudenza in ogni angolo mentre brandivo la scopa come un’arma poi, mentre stavo quasi pensando che se ne fosse andato, lo vidi appeso, a testa in giù, tra l’armadio e il muro, attaccato alle mie bellissime tende bianche che ricoprono tutta la parete.
Feci un balzo all’indietro rabbrividendo: eccolo, era immobile come una statua.
Il mio istinto mi suggerì di somministrargli un colpo potente con la scopa per eliminarlo definitivamente ma, il mio buon senso mi fermò:
«No, così non va bene, se lo colpisco, lo spiaccico come uno scarafaggio e m’imbratta la tenda e il muro e sai che disastro».
«Non ho nessuna intenzione di ritinteggiare la parete», proseguii rivolta alla bestia.
«Devo trovare un’altra soluzione.»
Pensa e ripensa, non mi venne in mente nessuna idea risolutiva.
«Ho bisogno di aiuto, ma a chi mi rivolgo a quest’ora del mattino?».
Passai in rassegna tutte le mie conoscenze maschili che potevano essere libere in quel momento, poi:
«Telefono a Ferdinando».
Ferdinando è mio fratello, è in pensione, abita poco distante e arrivò quasi subito.
«Riesci a risolvermi il problema?», chiesi ansiosamente, «sono proprio disperata».
Ferdinando entrò in casa, tranquillo, imperturbabile e, soprattutto, con le idee molto più chiare delle mie.
Indossò un paio di guanti spessi da lavoro e mi disse, con un tono da esperto, come se la sua abituale occupazione fosse stata quella di stanare pipistrelli:
«Mi serve una scala e un sacchetto di carta».
Eseguii prontamente i suoi ordini e lui, con una facilità incredibile, che mi lasciò a bocca aperta, mise il sacchetto aperto sotto all’Immondo, gli diede un colpetto, lo fece cadere dentro, richiuse veloce e scese dalla scala con il pacchetto regalo.
«Adesso cosa fai, dove lo metti, quando lo ammazzi?», chiesi preoccupata tenendomi a distanza di sicurezza.
«Io non ammazzo nessuno», rispose calmo Ferdinando, «lo porto nell’orto e lo lascio libero così potrà tornare alla sua vita».
Lo guardai ammutolita, ammirata e sollevata allo stesso tempo; adesso ero tranquilla e veramente soddisfatta.
«E bravo il mio cacciatore di pipistrelli, mi hai salvato la vita», esclamai io, dandogli una vigorosa pacca sulla spalla.
Quando rimasi sola, ero così felice, che osservando la mia grottesca figura riflessa nello specchio dell’ingresso e, mimando mio fratello, scherzai:
«Dammi una scala e un sacchetto che con un colpetto di bacchetta, il mago ti risolve il problema».
«Facile, no?»
Poco tempo dopo, per impedire ogni futura possibile intrusione, feci installare le zanzariere a tutte le finestre del mio appartamento.
«Non voglio mai più avere un contatto ravvicinato con un pipistrello».
Saggia decisione.
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