Io, come sicuramente tutti voi, amo leggere, ma ci sono libri che leggo più volentieri e altri che sfoglio quasi sentendomi obbligato. Non è una questione di qualità: i libri che a torto o a ragione ritengo brutti perché non interessanti o semplicemente scritti male li scarto subito – non ho tempo per queste cose – ma a volte l’impressione di leggere con gusto libri di qualità inferiore ad altri su cui invece arranco penosamente. Questo mi ha indotto a riflettere sui motivi di questa situazione, perché, mi sono detto, probabilmente non succede soltanto a me e forse è una delle discriminanti che fa sì che io finisca di leggere il romanzo di Pinco Pallino dicendomi: “Va bene, non sarà Wilbur Smith ma mi ha divertito”.
E forse anche a capire perché – al di fuori delle logiche editoriali legate alle celebrità – certi romanzi abbiano successo e altri no.
Questa lunga e pesante introduzione per arrivare a dire che alla fine la mia attenzione si è concentrata sui personaggi. Nel fare questa considerazione ho dato per scontato che il resto della tecnica narrativa fosse almeno accettabile, dai dialoghi al giusto rapporto tra mostrato e raccontato (gli editor delle case editrici esistono anche per questo), ma come vengono costruiti e rappresentati i personaggi è una cosa che a mio parere frequentemente sfugge.
Il rischio, il grosso rischio, è che come scrittori (e qui vengo a noi) si tenda a mettere noi stessi, i nostri pensieri dentro agli attori dei nostri brani. Il problema è che noi tutti in quanto esseri umani abbiamo dentro un mondo straordinariamente complesso, costruito in tanti anni di vita e di esperienze, in cui spesso ci muoviamo dando per scontati certi riferimenti acquisiti da tempo. Questi riferimenti, le problematiche che ci assillano o su cui ci piace indugiare, di solito sono poco interessanti per gli altri, che non li capiscono o preferiscono occuparsi dei propri. Inoltre rallentano sempre, e moltissimo, qualsiasi cosa stia succedendo nel libro, al punto che molti romanzi sono praticamente fatti di… pensieri.
È vero che alcuni libri di grandissimi autori sono proprio libri di riflessioni, ma credo che innanzitutto dobbiamo essere ben convinti di voler fare proprio questo quando scriviamo, perché mettere nella testa di un detective o di un avventuriero le nostre ansie esistenziali di solito è letale se non ridicolo, e secondariamente dobbiamo chiederci se vogliamo scrivere per gli altri o soltanto per noi stessi, perché in quest’ultimo caso forse è meglio fare un diario anziché un romanzo. In altre parole, dobbiamo allo specchio e domandarci: “Se questo libro lo avesse scritto un altro, lo leggerei volentieri?”.
Come devono essere i personaggi di un romanzo secondo me? Adeguati alla storia che vogliamo raccontare, e se la nostra trama parla di avventure, investigazioni, relazioni, fantasy, orrore…. Insomma, se facciamo succedere qualcosa, ebbene, i personaggi devono essere semplici, lineari, conformi alle loro azioni. In che modo? Nello stesso modo in cui vediamo muoversi le persone che incontriamo per la strada o i protagonisti di una pellicola cinematografica. Li osserviamo fare delle cose, dire delle frasi, ma non siamo dentro la loro testa, non leggiamo i loro pensieri. A volte riusciamo a capire le loro sensazioni, ma lo facciamo guardando come si comportano, spesso attraverso la loro gestualità, soprattutto al cinema, e in questo consiste la bravura di attori e registi. Nella scrittura la situazione è ancora più delicata, perché dobbiamo fare in modo che le immagini si formino nella mente del lettore e non possiamo confezionarle già fatte né possiamo raccontargliele: non possiamo dire che il nostro personaggio ha una esitazione mentre sta bevendo il caffè seduto al tavolino di un bar e gli viene in mente la soluzione del problema, dobbiamo rappresentarlo attraverso le sue azioni, e sarà poi il lettore ad arrivare a questa conclusione se saremo stati in grado di coinvolgerlo.
Certo, Proust ha scritto romanzi su persone sedute a prendere il the, ma noi non siamo Proust e poi – lasciatemelo dire anche se forse è una eresia – io Proust lo amo, ma lo trovo tanto noioso…