Faber Paradise sbattè in malo modo il libro sul tavolo e si rivolse a Hillary che era seduta dall’altra parte.
Il pesante volume fece traballare la scrivania in stile Ikea e la donna si affrettò a fermarne l’oscillazione.
«È inutile che te la prenda con me» disse.
«Non ce l’ho con te» rispose lui.
«E allora evita di tirarmi le cose addosso, per piacere!».
L’aveva detto con un autentico ruggito, e Faber non riuscì a trattenere un sorriso.
«Così mi piaci!».
«Che ti piaccia o no siamo nella merda».
«Ho letto i libri contabili, lo so bene».
Hillary si alzò, prese il libro e lo infilò al suo posto nello scaffale.
«Mi sembra impossibile che non ci sia una via d’uscita».
«Se ne trovi una fai il piacere di dirmela. Il fatto è che nessuno legge più niente, al massimo i giornali sportivi o un periodico di gossip dal parrucchiere».
«…Se nel negozio internet non prende» completò la frase lui.
«Già. E cosa ci sta a fare in questo panorama un piccola casa editrice?»
«Di qualità».
«Perdipiù di qualità. A stento sopravvivono le Grandi Case con le vendite di Natale e le operazioni multimediali…».
Faber non rispose, non c’era niente da dire.
«Chiudiamo?» chiese infine Hillary.
Lui scosse la testa.
«Fammi fare ancora un tentativo: abbiamo in cantiere una quantità di scritti, autori sconosciuti ma bravi…».
«Peccato che manchino i lettori!».
«Eppure, se riuscissimo a lanciarci, farci conoscere, fare uno scoop…».
Hillary lo guardò quasi con compassione.
«Senti» disse Faber «fammi fare un ultimo tentativo: mi prendo qualche giorno di vacanza e vedo se mi viene in mente qualcosa».
«Come vuoi, tanto peggio di così…».
Qualche giorno di vacanza! Un eufemismo per dire che volevo vedere come ci si sentiva senza lavoro! Non ci potevo credere: eravamo partiti con tanto entusiasmo, un bello staff, pochi soldi ma tante idee. E poi la grinta di Hillary, The Boss la chiamavamo, sembrava che niente ci potesse fermare. Non che volessimo diventare una nuova Mondadori o Feltrinelli, ma un posticino nell’editoria ce lo meritavamo anche noi!
Ma come competere con la televisione, internet, i social? La gente si era abituata a scorrere solo poche righe dei giornali online e per il resto passava le giornate a scrivere post idioti su Facebook, Instagram, Tweeter e gli altri o a vedere demenziali quiz televisivi. Non c’era più spazio per noi, non c’era spazio per nessuno, in verità.
Dal finestrino dell’aereo vedevo scorrere la terra sotto di me attraverso gli squarci tra le nubi. Ogni tanto un vuoto d’aria ci faceva sussultare e qualche passeggero si guardava intorno preoccupato. Io pensavo alle cupole dorate di Santa Sofia che avevo lasciato alle mie spalle e al prossimo atterraggio a Ekaterinburg. Stavo andando sempre più a est a cercare cosa? Uno dei grandi scrittori russi ancora da scoprire? C’era qualcuno che aveva seguito le orme di Dostoevskij, di Gogol’, di Tolstoj? O anche soltanto di Bulgakov, di…
Ma se anche scrittori come Akunin o Luk’janenko erano quasi dei classici, che speranze avevo? Naturalmente neanche nel capoluogo dell’Oblast’ di Sverdlovsk trovai quello che cercavo, ma lì almeno mi accadde qualcosa di strano. Uscendo da una infame bettola nella periferia della città, dove mi ero quasi avvelenato con della vodka che probabilmente era alcool puro diluito, urtai contro un vecchio che stava entrando, rischiando di gettarlo per terra. Prontamente lo sostenni con il braccio e borbottai una scusa nel mio russo rudimentale.
«Извините, дед» dissi, non sperando molto che mi capisse.
Lui rise e mi rispose in inglese:
«Non ti preoccupare, non è successo niente».
Sorpreso lo invitai a bere, anche per scusarmi della mia goffaggine, perché avevo indovinato dai suo abiti che non se la passava molto bene. Lui accettò volentieri e io fui felice di poter scambiare due parole, così finii per raccontargli la storia della mia ricerca. Stepan – così si chiamava il mio interlocutore – non si mostrò sorpreso.
«Anche da noi i bambini mangiano guardando i serial tivu americani» disse, ridendo.
«Allora per me è proprio finita!» esclamai in tono tragicomico.
Lui si fece serio.
«Forse non stai cercando la cosa giusta» disse.
Tra i fumi dell’alcool mi sembrò di intravedere qualcosa di interessante.
«Cosa vuoi dire?».
«Se il tuo problema è che pochissima gente legge ancora, non mi sembra che la soluzione giusta al problema sia cercare di disputarsi i pochi lettori che ci sono».
«E quale sarebbe, allora?» chiesi.
«Fare in modo che ci siano più persone che leggono» concluse semplicemente, alzando il bicchiere a mo’ di brindisi.
Rimasi folgorato. In poche parole aveva rovesciato completamente i termini della questione.
Ma il vecchio Stepan non fece solo quello, fece molto di più: mi scrisse su di un tovagliolo il nome di un suo amico a Novosibirsk che avrebbe potuto aiutarmi, e da lì rimbalzai sempre più ad est, fino ad atterrare all’aeroporto di Ulan Bator in una gelida mattina di fine novembre. Lì finalmente incontrai Vasily.
In quei giorni frenetici ed affannati, preso da un sacro fervore man mano che avevo sempre più chiaro cosa stavo per fare, avevo trascurato di infromare Hillary dei miei spostamenti, così quando la contattai attraverso Telegram dovette fare un bel salto, anche perché non avevo badato al fuso orario e l’avevo chiamata nelle prime ore della mattina.
«Faber!» la sentii farfugliare «ma dove ti eri cacciato? E perché mi scrivi su Telegram? Sveglia per sveglia potevi telefonarmi!»
«Hillary!» le scrissi «ci siamo! Ho trovato il modo di salvarci, ma nessuno deve saperlo. Dovrà essere il segreto meglio custodito del mondo!».
Hillary Augustin poteva anche essere svegliata nel cuore della notte, ma quando capiva che si trattava di qualcosa di importante ridiventava immediatamente lo squalo di cui tutti eravamo innamorati.
«Quanto è importante questo segreto?» scrisse.
«A confronto la fine che ha fatto Snowden sono rose e fiori»,.
«Cazzo!» si lasciò sfuggire «spara!».
«Non qui, ti spiegherò poi. Voglio solo sapere se sei disposta a rischiare».
«Per salvare tutto? Rischierei anche il collo!».
«Lo dovrai fare letteralmente. Allora vado avanti».
«Vai! Ma vieni presto a raccontarmi cosa sta succedendo!».
«Stai tranquilla. Intanto comincia a preparare tutti i testi che puoi».
Chiusi la chat e guardai il mio interlocutore.
«Vasily» dissi «cominciamo. Se è vero quello che mi hai raccontato diventerai l’uomo più ricco di Ulan Bator e potrai ritornare in Russia con un nuovo volto e una nuova identità».
«Nel KGB non eravamo abituati a raccontare storie» rispose lui «se ho detto che posso farlo è perché so come fare».
Gli strinsi la mano.
«La settimana prossima avrai sul conto cifrato che mi hai indicato un primo anticipo sul tuo compenso. Il resto in tranche a scadenza fissa. A chiusura dell’operazione il saldo e se andrà come deve andare anche un premio finale».
Lui alzò le spalle.
«A me sta bene quanto abbiamo pattuito. Terrò sotto scacco i tuoi obiettivi finché tutto andrà regolarmente e i pagamenti arriveranno nei tempi previsti».
«Arriveranno,stai tranquillo. Se tutto funziona arriveranno, e se non funzionasse…».
«… allora non dovremmo preoccuparci» concluse lui «perché saremo tutti morti».
Una settimana dopo ero di nuovo a Roma e avevo spiegato tutto ad Hillary. Dopo un primo momento di sgomento, The Boss aveva reagito in maniera magnifica e si era messa subito all’opera. Tre mesi dopo eravamo pronti ad inondare il mercato con collane di libri tarati per le diverse categorie di lettori non abituali che avevamo individuato e diedi il via a Vasily, sempre a mezzo Telegram.
Il primo marzo i virus dormienti che aveva disseminato per tutta la rete si attivarono, mandando in crash contemporaneamente tutti i canali di comunicazione. Nello stesso tempo si attivarono i sistemi di difesa antimissile e i laser accecarono i satelliti civili in orbita geostazionaria, rendendo impossibili tutte le trasmissioni verso la terra, e i robot addetti alla manutenzione attaccarono e distrussero i grandi cavi sottomarini di comunicazione. Nella notte successiva degli ordigni nucleari a bassissima potenza ma a grande carica radioattiva, le bombe sporche che avrebbero dovuto massacrare la popolazione salvaguardando le città ai tempi della guerra fredda, resero inagibili i grandi centri di elaborazione dati in tutto il mondo, dopo che i tecnici che ci stavano lavorando erano stati fatti evacuare con messaggi trasmessi un’ora prima delle esplosioni.
Il due di marzo soltanto le reti militari, fisicamente separate da internet, erano ancora attive, e attraverso queste le popolazioni vennero informate di quanto stava accadendo e invitate a mantenersi calme.
Nel piccolo bunker che avevamo allestito nella WM Editions per seguire gli avvenimenti io e Hillary ci guardavamo quasi increduli.
«Ti immagini adesso che faccia avrà la gente?» le dissi. «Tutti si domanderanno: E adesso cosa facciamo che non c’è più né televisione né internet?».
«Che si mettano a leggere!» rispose The Boss.
Nel caos che si era venuto a generare furono usate le reti militari per garantire la sopravvivenza delle comunicazioni essenziali, e il mondo continuò in qualche modo ad andare avanti, sia pure molto più lentamente. Vasily continuava a sabotare quello che cercavano affannosamente di ricostruire e il suo conto in banca cresceva a dismisura. Undici mesi dopo, esattamente il primo di febbraio, il nostro amico russo allentò la stretta sui media e le cose tornarono gradualmente a funzionare.
Nel frattempo la WM Editions era cresciuta in maniera esponenziale, anche per merito di una serie di spericolati investimenti che solo chi conosceva la situazione poteva effettuare, e pubblicava in trentaquattro lingue in tutto il mondo. Eravamo miliardari.