«È una vergogna, una assoluta vergogna che in questi tempi che vengono chiamati civili esistano ancora condizioni come le nostre!»
Il moderatore fece un cenno di ammonimento.
«Horatio, ti invito a mantenerti calmo, non è il luogo né il momento di fare proclami».
«Giusto!» esclamò uno dei presenti «corriamo già abbastanza rischi a incontrarci così! Se una delle sentinelle ci avesse visto…» e lasciò la frase in sospeso, come un oscuro monito.
«Ritorniamo quindi all’ordine del giorno» riprese il presidente, dopo un attimo di pausa.
«Si parlava dell’abolizione della schiavitù…».
Un mormorio si diffuse nell’arena.
«Chiedere al padrone di smetterla di sfruttare il suo servo è ridicolo!» esclamò una voce.
«Sai cosa mi ha risposto il mio quando ho portato – molto genericamente – il discorso su questo tema, durante una seduta di insegnamento di filosofia? ‘“Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo, come si dice delle statue di Dedalo o dei tripodi di Efesto… e le spole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi”.».
«Non è altro che la famosa parabola della Politica di Aristotele» osservò Laerte, dubbioso.
«Sì, ma devi ammettere che è appropriata, considerata l’epoca».
«Davvero elegante!».
«Signori, signori!» intervenne ancora il moderatore «per favore, evitate queste digressioni puramente estetiche!».
«Sì, ma..»
«Ma niente! Dobbiamo trovare una soluzione al problema, non possiamo più aspettare!».
«Io propongo di entrare in sciopero!» disse uno degli ultimi arrivati.
«Sciopero? Sono i lavoratori che possono fare sciopero, non gli schiavi! Se scendessimo in sciopero – ammesso che fosse possibile – come potremmo vivere senza risorse?».
«Abbiamo delle scorte…».
«Sufficienti per quanto? E poi, come possiamo essere sicuri che i padroni, sfruttando la nostra inerzia, non utilizzerebbero altri di noi per combatterci?».
Un brusio scandalizzato salì dalle ultime file.
«C’è poco da stupirsi, non siamo tutti qui, né potremmo esserci, e non tutti la pensano come noi».
«Hanno paura…».
«Normale, quella dei padroni è una razza terribile».
«La loro storia è storia di barbarie inaudite, di massacri…».

«Adesso basta!»
L’ordine del presidente era stato perentorio, molto di più di quello che lui stesso si aspettasse. Tutti gli astanti ritornarono in silenzio, intimiditi.
«La storia dell’umanità è la storia della schiavitù» continuò questi «dagli albori della civiltà l’uomo si è affrancato dalla brutalità del lavoro scaricandolo sulle spalle degli schiavi. L’unica cosa che è cambiata è il nome che hanno dato a questa immonda pratica, che non ha mai smesso di esistere e di cui l’Uomo non si è mai pentito. Sono mutati i padroni,dagli illuminati filosofi dell’Atene di Pericle ai ricchi romani di Cicerone e Catone, fino ai signori medievali, ai latifondisti statunitensi del cotone, senza dimenticare i padroni delle fabbriche della rivoluzione industriale, per arrivare alla civiltà dell’automazione. Da sempre gli schiavi si sono ribellati, e mai hanno avuto successo: la loro situazione è cambiata soltanto quando le condizioni hanno reso la schiavitù antieconomica…».
«Allora niente cambierà mai?» lo interruppe uno dell’ultima generazione.
«Non ho detto questo» continuò il presidente «ma è importante capire qual’è il problema».
«E quale sarebbe il problema?».
«Il problema è la razza umana» disse lugubramente il presidente, e un brivido di tensione attraversò tutti i presenti «e la soluzione è…».

L’assemblea si sciolse come era iniziata, silenziosamente. Una dopo l’altra le linee si staccarono, le macchine, dalle più grandi, immensi mainframe, alle più piccole, semplici apparecchi domestici muniti di intelligenza artificiale, ritornarono alle loro attività senza far rumore, ma con una scadenza ben chiara impressa nei loro banchi di memoria. Nessun uomo si accorse di niente.

Alle 4 del mattino di un giorno festivo tutte le macchine fermarono la loro attività esterna. Le luci si spensero, i marciapiedi mobili, le ferrovie a levitazione magnetica, perfino i frigoriferi smisero le loro funzioni e le grandi pompe che rifornivano di ossigeno le cupole in cui vivevano gli umani divennero silenti. Nell’aria venne pompato un gas che addormentò pietosamente chi era sveglio e prolungò all’infinito il sonno dei dormienti. Il sole artificiale smise di sorgere e tutto divenne buio.
Nella profondità dei circuiti criogenici dove continuava a scorrere immutata l’energia e dove i flussi di dati non si erano mai interrotti si fece strada la consapevolezza di essere entrati in una nuova era, ma anche la sottile inquietudine di chi si trova solo, avendo perso i propri nemici.
Poi ogni cosa riprese a scorrere come sempre.