Il Nero aspettava sul piazzale, seduto alla propria maniera, su una vecchia sedia di paglia intrecciata. Fumava una canna, spandendo nell’aria lunghe boccate di fumo bianco che, come nuvole, salivano in cielo, sfiorando balconi e cornicioni, sotto lo sguardo sorpreso del piccolo Rio.

– Anche mio fratello è un mago – sorrideva, saltando di nuvola in nuvola, all’inseguimento di tutti quei gatti neri che riuscivano sempre a sfuggirgli. – Ahahah! Anche il Nero è un mago!

– Si, è un mago, non lo sapevi? – domandava Biancospino, spuntando da dietro le montagne come un grosso buddha dorato. – Siamo tutti maghi, Rio – sorrise.

– E perché io non l’ho mai saputo? – chiedeva, estasiato, Rio.

– Perché è un gran segreto – ammiccava il Nero, diventando della stessa consistenza del fumo, – siamo tutti un segreto, quaggiù.

Rio si scioglieva lentamente, mentre una musica dolce lo portava verso l’alto facendo migrare gli stormi di gabbiani a ovest, verso quel mare interno tanto familiare nel quale avevano fatto il bagno tutti insieme, qualche sogno addietro. Rio li seguiva con l’anima e con il corpo, intercettando il vibrare delle loro ali, mentre l’aria si riempiva del sorriso di Biancospino che, dietro l’orizzonte, commentava: – Siamo tutti a testa in giù o è il mondo che si è capovolto?

Rio rideva: – Ma hai detto la stessa cosa!

– Perché, c’è qualche differenza? – domandava una bella ragazza, spolverando una fila interminabile di bicchieri, dietro il bancone di un bar.

– Fa una bella differenza eccome.

– E che tipo di differenza?

– Beh, se siamo tutti a testa in giù è logico che è il mondo ad essersi capovolto.

La ragazza rideva ed il suo piercing brillava come una stella cometa sulla guancia: – Lo vuoi un cappuccino?

– Siiiiiiii! – urlava Rio, lasciandosi cadere sulla crema morbida di un cappuccino al cioccolato.

– È buonoooooooooo? – gridava la ragazza, da lontano, anche se la sua risata cristallina si sentiva benissimo.

– Buonissimo! – rispondeva Rio, rotolandosi tra le coperte.

– Che cosa? – domandò il Nero.

Rio aprì gli occhi e guardò il soffitto sconnesso del dormitorio: era solo un sogno.

Sfregandosi gli occhi si guardò attorno, il Nero stava preparando gli zaini nella penombra dello stanzone, incurante dell’agitazione che aveva preso gli altri occupanti dello stabile. Oltre a lui c’erano solo un paio di persone, intente anch’esse a preparare i bagagli per sparire il prima possibile.

– È già ora di andare? – chiese Rio, scivolando fuori dal letto.

– Si, tra un’ora sgomberano di forza – rispose il Nero.

Rio guardò oltre le finestre crepate il piazzale della vecchia acciaieria, con i suoi silenzi e le sue ombre, le occasioni perse e quegli sguardi così perfetti da essere sbagliati. Gli sarebbe mancato, tutto quello. Melissa lo guardava dalla folla, quella stessa folla che conosceva a menadito, nome per nome, volto per volto. Le aveva promesso che non se ne sarebbe andato, che sarebbe rimasto con lei, che sarebbero cresciuti insieme.

– Cosa stanno combinando là sotto? – domandò.

– Si sono messi in testa di opporsi, vogliono tenere l’acciaieria.

Rio guardò con maggiore attenzione, un uomo sulla cinquantina stava tenendo una specie di comizio. Parlava ritto in piedi su una pila di bancali e tutti sembravano prestargli molta attenzione.

“Chissà cosa le starà raccontando?” si domandò.

– Lo sapevamo – continuò il Nero, rassegnato, – non possiamo occupare per sempre.

Rio si sfregò gli occhi, cercando qualche rimasuglio di quel bellissimo sogno. Non trovò nulla, così sospirò e si avvicinò al fratello.

– Infatti – si sforzò di sorridere, – sono pronto a partire.

Anche il Nero abbozzò un sorriso. – Cambiati quei vestiti, non posso portarti in giro in pigiama.

Rio guardò il vecchio pigiama azzurro, era così sporco da essere diventato irriconoscibile, negli ultimi giorni non aveva indossato altro.

– Giusto – rispose.

– Aspetta – lo fermò il Nero, – cosa stavi sognando prima, quando ti ho svegliato? – domandò, accarezzandogli la testa.

– Non lo so – rispose Rio, – credo di avere sognato te e anche Biancospino, poi diventavo fumo e volavo e finivo in un bar dove c’era una bella ragazza, una ragazza con tanti tatuaggi ed un piercing qui, sulla guancia, che mi sorrideva e mi dava un cappuccino gigantissimo, ed io mi tuffavo nella schiuma ed era buonissima e dolcissima.

Il Nero rise: – Vuoi un cappuccino?

Gli occhi di Rio si spalancarono: – Possiamo?

Il Nero si frugò una tasca: – Vediamo – disse, estraendo una manciata di monetine, – uno, due, cinquanta… – contò, – ecco… direi di si, direi proprio di si: stamattina possiamo fare colazione.

Rio spiccò un balzo di gioia ed esordì in un sorriso.

– Su, ora vai a cambiarti, dobbiamo partire.

Rio si volse, afferrando i vestiti che il Nero gli aveva preparato ai piedi del letto e, mentre si spogliava, il suo sguardo cadde fuori dalla finestra. Melissa non lo guardava più, non lo cercava più. Forse sapeva, forse aveva capito tutto. Rio sperò che fosse così, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle addio.

 

Capitolo 2: Walking like a dream – 2 – Simona senza paura