L’eternità è un attimo prima del risveglio, l’istante esatto che separa l’onirico dalla concezione del reale, la sottile linea di demarcazione tra due mondi che sono lo stesso caos.
L’eternità non è un sogno, è solo un’estensione di un momento, un percorso alternativo nel cammino della vita.
L’eternità è una maschera di luce, la stessa che ha imparato a indossare Dio, guardandoci dall’alto di uno scranno che è una cometa persa in un milione di costellazioni.
L’eternità non è un corpo, ma è un tempo presente, un rimasuglio di realtà rimasto incastrato tra le zanne della polvere, nel gioco di vortici di un fumo bianco, denso, disteso a mezz’aria tra le note della notte.
Il Nero aprì gli occhi e la prima boccata d’aria sembrò incenerirgli i polmoni, tanto era violenta. Tornare dall’onirico o da qualsiasi altro universo era come risvegliarsi in una nuova vita, un’infanzia veloce come la fiamma di un fiammifero in cui tutto deve essere rinominato, ogni cosa deve venire nuovamente inquadrata, identificata e collocata nel giusto assetto. Un rubinetto e una vocale hanno la stessa misteriosa funzione, in quell’attimo di non risveglio.
“Chi sono? Dove sono? Cos’è successo?”, è la trinità di domande letterarie più errata di tutta la storia della narrativa. Ciò che realmente si ci chiede, in quei momenti, è solo un vago “Cosa…?”, accompagnato dallo stupore per la ricchezza e l’abbondanza di tutto ciò che ci circonda, per il significato mistico di ogni piccola perfezione. Ed ecco l’attrattiva per la superficie di un vetro, per il pomello di una porta o per una semplice crepa nel muro. Così si finisce col fissare quel particolare per lunghi istanti, quasi come se fosse un’ancora di salvataggio capace di non farci perdere nel silenzio della tempesta. Quel particolare diventa un appiglio, la forma solida dalla quale ricavare di nuovo un disegno, una nuova mappatura di tutto il mondo che ci circonda.
Quella mattina, per il Nero, quel particolare fu il volto di Simona.
La piccola Simona sorridente, la piccola Simona dagli occhi grandi, la piccola Simona dei misteri sepolti. Il Nero la guardò con la stessa tenerezza del primo risveglio insieme quando, due mesi prima, aveva atteso che aprisse gli occhi fissando il vestito appeso, quello stesso vestito che Simona aveva poi riposto nell’armadio.
Era stata maniacale, riguardo il vestito, se ne occupava di continuo assicurandosi che non si rovinasse, ma non lo indossava mai.
Erano passati più di due mesi e allo Zoo non si era ancora deciso a portarcela. Non l’aveva portata da nessuna parte, a dire la verità, si era limitato a guardarla per poter sfuggire al suo sguardo, ad osservarla per nascondersi tra le sue abitudini. Era un gioco sporco che non gli era mai piaciuto ma era costretto a farlo, per tenerla lontana.
Simona aprì gli occhi ed un raggio di luce risvegliò il sole convincendolo che era ora di sorgere.
– Mi hai beccato… – disse il Nero.
Simona lo guardò in silenzio. Non capiva, non poteva capire, anche lei doveva domandarsi quel “Cosa…?”, anche lei doveva soffermarsi su quel particolare. Il Nero attese che i suoi occhi lo inquadrassero, che le sue pupille si dilatassero il giusto da metterlo a fuoco, che le sue labbra smettessero di tremare ed i ricordi iniziassero a formare i propri disegni, i propri schemi, il proprio arabesco di nomi, pensieri e significati.
– È stato fantastico… – sussurrò Simona.
Il Nero la guardò nuovamente negli occhi, era un copione che si ripeteva di nuovo, che si era ripetuto troppe volte. Di colpo sentì una fitta al cuore e ripensò alle decine di sguardi simili che aveva visto lungo il navigare della sua vita, quello sguardo eccitato, quegli occhi pieni di emozione…
“Se dici così allora anche tu sei in trappola”.
– Non dobbiamo ripeterlo… – rispose il Nero.
– Perché no?
– Perché non è una cosa che fa per te.
– Non mi interessa… – sorrise Simona, – ne avevo bisogno. Non sono mai stata così bene in vita mia e il sole non è mai stato bello come questa mattina – ridacchiò. – Abbiamo parlato di andare allo Zoo stanotte? Perché mi è venuta voglia di andare allo Zoo.
– Non lo so, non mi ricordo.
– Potremmo andarci.
– Magari un giorno di questi…
Simona rimase qualche istante in silenzio, stringendosi al petto del Nero: – Grazie per questa notte.
– Cosa è successo questa notte?
– Quando ho pianto? Ricordi?
Non se lo ricordava.
– E tu mi hai detto “Non avere paura” e mi hai abbracciato…
– E allora?
– Beh… ne avevo bisogno.
– A te la droga fa male, stai ragionando come una bambina.
Simona lo guardò negli occhi e per in quell’istante si scambiarono i ruoli, in quell’istante Simona divenne il tossico vagabondo dall’aria libera e triste e il Nero si trovò intrappolato nella pelle di piombo di quella ragazza fragile che, con i suoi piercing e i tatuaggi, sembrava voler dichiarare guerra al mondo intero.
– Forse perché è l’unica cosa che vorrei essere.
Il Nero la abbracciò come non avrebbe mai voluto abbracciarla e la baciò con l’esatta tenerezza con cui non avrebbe mai voluto baciarla. Ma i sentimenti sono capaci di piroette strane e alla fine, in qualche oscuro modo, riescono a vincerla sempre loro.