Quando ritrovò i suoi occhi, il mattino dopo, il Nero si rese conto di cosa era successo, di cosa avevano fatto. Ricordò il tocco liscio della sua pelle sudata, il suo odore sensuale che gli si attaccava addosso, poi la morbidezza dei suoi baci, il calore dei suoi seni e la stretta selvaggia delle sue mani. Erano stati insieme mentre Rio dormiva, rabboccandosi a vicenda il vuoto dei sogni, quelli che entrambi non avevano più.

Il Nero non aveva bisogno di parole, per vedere i numeri primi di quella solitudine, i pilastri mastodontici che reggono il niente, il vuoto interiore che si trasponeva su quello esteriore.

Quella casa era spoglia, due stanze appena, vuotate di tutto, anche dei mobili. Solo un letto, un armadio e qualcosa di simile ad una vecchia cucina, poi una sedia e un tavolo. Nient’altro. Nessuna foto, nessun ricordo, nessun soprammobile. Solo un vecchio vestito, appeso di fronte alla finestra, il vestito primaverile di una ragazza che sogna di essere una donna, un vestito bianco, decorato con semplici fiori rosa.

Un sussulto lo riportò a lei, allo schiudere dei suoi occhi.

– Ciao – sussurrò, guardandola.

– Ciao – sorrise lei.

– Grazie…

– Per cosa?

– Per la doccia e… – esitò, – per tutto il resto.

– Non mi devi ringraziare.

– Perché?

– Perché avevo bisogno di conoscere gente come voi…

– Noi non siamo niente di speciale, solo due disperati.

Simona guardò fuori dalla finestra. – Già… – rispose, – chissà come mai, o sono patetici, o sono disperati, o sono zingari – ridacchiò.

– Chi?

– Le persone che trovo interessanti.

Il Nero si mise a ridere: – Noi siamo tutte e tre le cose – poi, facendosi serio, aggiunse. – Noi non siamo interessanti, siamo esattamente come tutti gli altri, abbiamo solo seguito una strada diversa, la strada dei pirati – guardò Rio, dormiva sul divano appallottolato come un gatto, raggomitolato in una coperta gialla. Nulla sembrava turbarlo, il suo leggendario sonno pesante riusciva a proteggerlo da qualsiasi cosa. – O forse è veramente tutta colpa del destino se ci siamo ridotti così.

– Quanti anni ha?

– Dodici appena compiuti.

– E perché…?

– Non avevamo il padre migliore della terra, così quando mi sono sentito abbastanza grande ho preso lui e ce ne siamo andati – rispose il Nero. – Non ero abbastanza grande e non lo sono ancora, onestamente, ma non ho il coraggio di tornare indietro.

– È molto che siete in giro?

– Un paio d’anni, più o meno. Abbiamo girato da una casa occupata all’altra, e… e niente.

Simona guardò Rio con gli occhi pieni di compassione: – È molto piccolo…

– Lo so, ma non possiamo fare altrimenti.

– Non avete proprio nessuno?

Il Nero si volse a guardare fuori dalla finestra, il cielo iniziava a rischiararsi nella sua selva di colori freddi e la città bisbigliava del primo traffico del mattino. Non rispose, si limitò a stringere i pugni. – Credo che dovresti andare a lavorare – disse, – si sta’ facendo tardi.

Simona cercò il suo sguardo ma il Nero lo evitò. Odiava gli sguardi di pena, lo facevano sentire ancora più viscido e insignificante di quanto non facesse già la sua stessa vita.

– Sarai ancora qui, quando staccherò? – domandò.

Il Nero rispose con un mezzo sorriso triste: – Ho qualche altro posto in cui andare?