“Gentile Famiglia Lovati, la scuola ha organizzato una gita per le classi primarie alla fattoria Belvedere, sul Monte Morello. Un percorso educativo tra giochi, animali, escursioni ed esperienze a contatto con la natura.
Il costo è di euro 25.
Il ritrovo è in piazza stazione mercoledì alle 8:30.”
«Francy lo porti tu Andrea?»
Teneva la comunicazione scolastica fra le mani mentre a letto la moglie gli dava la schiena.
«Non posso» gli aveva risposto assonnata, « Ho già preso un’ora la settimana scorsa per portarlo dal dentista, se chiedo al mio capo un altro permesso mi scortica viva.»
Ma proprio di mercoledì la dovevano fare? aveva pensato lui mentre scivolava dentro le lenzuola. Mercoledì era il giorno in cui arrivava da Parigi il suo migliore acquirente, avevano fissato per le 9:00 davanti all’oreficeria, presentarsi in ritardo sarebbe stato imperdonabile.
Avrebbe potuto portarlo prima il bambino, affidarlo alla maestra e con un po’ di fortuna ce l’avrebbe fatta ad arrivare in tempo.
Andrea era abituato, lo sapeva che era una necessità. Semmai era lui che non si abituava mai a vedere quel faccino rassegnato mentre lo guardava andare via. Almeno avesse fatto i capricci, avesse pestato i piedi, no, rimaneva lì impalato a salutarlo con la mano.
Aveva abbracciato la moglie cercando nel tepore del suo corpo la consolazione a quel senso di colpa ma lei era già addormentata, troppo stanca. Non si faceva niente. Neanche quella sera.
«Voglio mettermi la felpa delle Winx, babbo, quando andiamo in gita», aveva detto sua figlia dal sedile posteriore dell’auto mentre la portava ai giardini. L’aveva guardata dallo specchietto retrovisore e si era intenerito.
Aveva lasciato l’avviso della scuola sul tavolo della cucina prima di uscire con la sua bambina.
“ Gentile famiglia Spadoni…” recitava.
Venticinque euro. Cos’erano venticinque euro ? Niente per molti. Ma non per lui. La luna le avrebbe dato, altro che venticinque euro! Ma dove li prendeva? Era già grassa se riuscivano ad arrivare a fine mese. Chiedere ai suoi? No, si vergognava a morte, già facevano quello che potevano. Sua madre aveva la pensione sociale e suo padre riscuoteva la minima. Dopo una vita di lavoro aveva avuto l’amara sorpresa di scoprire che gran parte dei contributi non gli erano stati versati. In quanto ai genitori di Clara beh, meglio lasciare perdere…
Sua figlia era convinta che fosse il padre migliore del mondo perché c’era sempre. La vestiva, la pettinava, la portava a scuola la mattina, la riprendeva e le preparava il pranzo.
“Babbo quando sarò grande io ti voglio sposare”, gli diceva sempre.
Come faceva a dirle che c’era sempre perché non aveva un cazzo da fare, perché l’avevano licenziato e a cinquant’anni non c’era un cane che lo prendesse a lavorare?
Come faceva a spiegarle il senso di frustrazione che provava quando sua moglie tornava a casa, distrutta per essere andata a fare faccende in tre case diverse? Come?
Ora la guardava, quel soldino di cacio alle sue spalle, con gli occhi verdi di sua moglie e quel sorriso sdentato che lo faceva sciogliere come burro.
« Emma, la palla la vuoi?»
«No, voglio andare sull’altalena, mi spingi? Però forte, eh babbo? Voglio arrivare fino in cielo!»
E giù gridolini misti tra gioia e paura.
Il cigolio della catena, il pianto di un bambino caduto dallo scivolo, Emma con le sue gambette penzoloni, Emma che diceva:
“Voglio mettermi la felpa delle Winx, babbo, quando andiamo in gita…”, e i soldi, maledetti soldi…
Ha studiato tutto nei minimi dettagli. Si è appostato poco prima della curva della Petrosa, in uno spiazzo, coperto in parte da un cespuglio di sambuco, da qui riesce a dominare con lo sguardo il rettilineo che porta al paese. Conosce i suoi movimenti, ha la matematica certezza che passerà da quella strada, una scorciatoia poco trafficata che in un lampo lo porterà in prossimità della tangenziale. Probabilmente l’uomo che aspetta ha tempi stretti e l’oreficeria di Corte alla Selva è solo la prima delle sue tappe.
Il tempo di formulare il pensiero che una berlina nera fa capolino in fondo allo stradone.
D’istinto si tocca la tasca della giacca e prova un brivido. “ Niente ripensamenti”, si dice, “indietro non si torna!”
Mette la moto di traverso sull’asfalto, si sdraia accanto in una posa scomposta, il casco a coprire i lineamenti del volto e una preghiera al creatore.
Lo stridore dei freni a pochi metri dal suo corpo gli provoca un sussulto. Sente aprirsi una portiera e una voce concitata urlare: «Oh mon Dieu…monsieur, monsieur… il m’entende?»
Attraverso la visiera oscurata lo vede accovacciarsi ed è un attimo prima che la pistola nella sua mano punti alla tempia del suo soccorritore.
«Dammi la valigetta con l’oro e non ti succederà nulla» lo minaccia in balìa alla disperazione.
Un boato.
Un battito d’ali tra il fogliame degli alberi che delimitano la carreggiata e quel foro a pochi centimetri dallo sterno. Avrebbe dovuto prevederlo che chi tratta roba di valore ha il permesso di girare armato. Del dolore lancinante iniziale è rimasto l’eco e un sapore metallico in bocca. Non sente più niente. Il corpo è diventato di sasso. La vita gli scorre davanti agli occhi che ormai puntano sempre più in alto, verso il cielo…
«Verso il cielo! Sempre più in alto! Forza babbo spingi, perché ti sei fermato?»
«Eh…? No, scusa amore, mi ero distratto… Tieniti forte scricciolo che il babbo ora ti fa volare.»
Ma guarda che pensieri del… ma che mi è andato in pappa il cervello? pensa quasi spaventato.
Nella mente una certezza: non si arrenderà, certo che non si arrenderà. Lo troverà un lavoro prima o poi.
Tira fuori il cellulare dalla tasca, fa un respiro profondo e…
«Pronto pà ? Ho bisogno di te. Ancora.»
«Vieni, sono qua. Anzi, perché non vi fermate a cena stasera? La mamma ha fatto la parmigiana…»