Un discorso rivelatore della sua filosofia di vita, a cui Scarlett aveva ribattuto divertita: – in sintesi, vivi alla giornata. –
– Sono vissuta in un circo per un bel po’ di anni e la vita nomade è una realtà che ben conosco, anche se noi eravamo una comunità e così non si era mai da soli ad affrontare gli imprevisti. Nei miei sogni c’erano invece una casa, un marito, un paio di marmocchi e un cane. Le feste di compleanno e il barbecue la domenica. Una vita normale come quella che intravedevo dalle finestre delle abitazioni presso cui ci accampavamo. Famiglie sedute a mangiare allo stesso tavolo e poi a guardare la tv sullo stesso divano. Per questo ho sposato Bruce e sono andata a vivere a Wawina. Volevo una casa con una cucina, un divano e una tv, e dei figli: volevo una vita normale, e lui era disposto ad offrirmela. –
L’ultima frase era quasi un sussurro.
– Non c’è nulla di sbagliato in questo tuo desiderio. Hai solo sbagliato l’uomo con cui realizzarlo. Il fatto è che ognuno di noi ha le proprie idee e i propri sogni, e non sempre coincidono con quelli dell’altro. Scommetto, però, che tu dei sogni di Bruce non sai nulla. Glielo hai chiesto se ne avesse? Non ti sto colpevolizzando, ma la verità è che noi, quando si tratta di sogni, diventiamo egoisti. Senza cattiveria, ma lo diventiamo. E quando poi non ci riesce di realizzarli troppo spesso diamo la colpa all’altro. Così, se non hai preso il brevetto di pilota la responsabilità magari non è tutta di Bruce. Avrà altre colpe nei tuoi confronti, ma forse non quella. –
Scarlett accolse questa constatazione in silenzio. Riflettè, per la prima volta, che in verità lei non sapeva niente dei sogni di Bruce, semmai ne avesse mai avuti, di che fortemente dubitava. Il fatto era che lui non la incuriosiva più da tanto tempo. Era sempre così scontato! Un tipo come lui non ha sogni ma uccide quelli degli altri, per questo non si sarebbe sentita in colpa per non avergli chiesto dei suoi sogni.
– E tu, Dylan, ne hai di sogni? –
– Più che altro ho qualche necessità. Alla mia età i sogni hanno il sapore del rimpianto, ed io non voglio rimpianti. –
– Non mi sembri così vecchio. –
Lui sorrise a quel complimento.
– Ho una buona resistenza fisica e la vita sulla strada, se non ti uccide, ti mantiene in forma. Ma non potrò continuare per sempre, così un giorno pianterò le tende da qualche parte, comprerò una macchina da scrivere e racconterò delle mie esperienze on the road. –
– Allora ce l’hai un sogno! –
– Non è un sogno, è una necessità. I sogni non hanno limite di tempo, le necessità, invece, sono a scadenza. –
Scarlett, d’istinto, lo baciò.
– wow –
Mormorò Dylan, sorpreso da quel bacio inaspettato.
– Ho appena soddisfatto una necessità. – Lei puntualizzò con un sorriso. Ma il tono era serio.
– Non devi giustificarti. – Disse lui, sfiorandole la bocca con le dita.
– Non mi sto giustificando. – E a conferma della sua affermazione lo baciò di nuovo.
Avevano fatto l’amore al riparo di un cespuglio, in quel silenzio rarefatto, con fervore ma senza spogliarsi, perché l’aria era gelida e il suolo aspro, mentre la penombra rapidamente infittiva in pallido buio. Raggomitolata fra le sue braccia, Scarlett s’era assopita. Nella luce che andava scurendo risaltavano la sua fronte bianca e l’onda bruna dei capelli. Dylan ne aveva trattenuta una ciocca tra le dita aspirandone il profumo e studiando nella penombra i lineamenti del suo viso, le ciglia folte e la bocca leggermente dischiusa. Gli dispiaceva di non averle potuto offrire l’intimità di una stanza e il calore di un letto, e la complicità di quei piccoli riti, scontati e piacevoli insieme, che si consumano dopo aver fatto l’amore: fumare una sigaretta, bere un bicchiere di vino, rimanere abbracciati ad ascoltare il ticchettio della pioggia sui vetri. Quella sarebbe stata la perfezione. No… quella sarebbe stata la normalità. quella stessa che aveva spinto Scarlett fra le braccia di Bruce e poi indotta a fuggirne via.
Si andava domandando se in una situazione diversa avrebbe fatto l’amore con lui o se quella fosse stata per lei solo un’esperienza, la prima, della sua nuova vita. Ma in definitiva, qualunque fosse stata la ragione, non avrebbe indagato cosi come aveva fatto con tutte le altre sue occasionali compagne.
A nessuna di loro aveva dato una ragione per restare. A nessuna aveva chiesto di rimanere.
Ma con Linda, in arte Esmeralda, quella ragione avrebbe voluto dargliela. A lei avrebbe voluto chiedere di rimanere.
Di lei s’era innamorato dello spirito irrequieto che l’abitava, e della sua innata, quasi selvaggia, propensione all’indipendenza. Linda/Esmeralda, capelli corvini e occhi verdi, la figlia zingara del vento, batteva i mercati e le fiere d’America col suo esiguo bagaglio da chiromante, in compagnia di Devil Dog, un bastardino nero di una bruttezza strepitosa, cieco d’un occhio e zoppo d’una zampa, con le zanne prominenti come quelle di una tigre, e che quando era troppo stanco per camminare lei avvolgeva in uno scialle e lo trasportava sulla schiena.
Devil Dog: l’unico compagno a cui Linda sarebbe rimasta fedele per tutta la vita.
Il giorno del loro incontro lei gli aveva letto la mano pronosticando che quel suo lungo viaggio, sarebbe terminato col sole di mezzanotte. Una profezia ermetica che lei stessa, però, non era stata in grado di chiarire, e a cui Dylan non aveva più pensato fino a quando s’era specializzato in requiem, e allora quella predizione era affiorata vivida alla memoria, minacciosa ed ingombrante, rischiando perfino di condizionarlo.
Lui e Linda erano rimasti insieme circa due mesi, ma quella ragione per rimanere, Dylan non aveva avuto il tempo di proporla che lei, presagendo quel suo sentimento e non volendo umiliarlo con un rifiuto, s’era eclissata tra la folla di una fiera.
Lui aveva capito e non le aveva serbato rancore. Non l’aveva mai cercata.
Scarlett aprì gli occhi e gli sorrise .
– Siamo in dirittura d’arrivo. – Annunciò Dylan indicando le luci di Duluth ora visibili all’orizzonte.
Lei d’improvviso si sentì triste, consapevole che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti trascorsi assieme. Alle porte della città si sarebbero separati perché le loro vite diramavano in direzioni opposte, e d’altronde non c’era stato niente che lasciasse presupporre un finale diverso.
E perché avrebbe dovuto esserci? Avevano condiviso un attimo di tenerezza, non s’erano mica giurati amore eterno.
Capita, durante un naufragio, d’innamorarsi del compagno di sventura, ma è una situazione al limite dove predomina l’incertezza ed ecco che l’amore, o quello che si crede tale, subentra a sopperire al disorientamento emotivo, stabilendo un’apparenza fittizia di normalità.
Ma quando alla vera normalità si farà di nuovo ritorno probabile che anche quell’amore finisca.