Ci sono argomenti e personaggi che ciclicamente tornano alla ribalta, diventano o tornano “di moda” vuoi per strane coincidenze, vuoi perché riportati in auge da persone pubbliche. E’ il caso di Padre Pio, celebre frate in odore di santità, riconosciuta qualche anno fa dalla chiesa.

Questa è la cronaca fedele del mio incontro con lui, rimasto nella mia memoria per motivi che vanno molto oltre il misticismo e la religione. Nessuno me ne voglia, ma questo è il racconto fedele, narrato sul ricordo preciso di una bambina, scritto dalla donna che quella bambina è diventata.

I miei genitori si sono separati quando io avevo otto anni e mio fratello tre mesi e mezzo. Una delle conseguenze di questa decisione, sacrosanta e necessaria per molti motivi, è stata una temporanea (per fortuna) crisi mistica di mia madre. Erano gli anni ’60, tra il 1964 e il 1965 per l’esattezza e l’astro di Padre Pio, frate assurto alle cronache religiose e non, perché si diceva avesse le stimmate come Gesù, era già alto nel cielo della pubblica opinione. Mia madre, donna impulsiva e passionale in tutte le sue manifestazioni, un giorno decise che io avrei preso la mia Prima Comunione dalla sue mani, quelle con le stimmate appunto. Erano tempi in cui non c’erano le ferree regole sul catechismo che vigono oggi, con corsi pluriennali con obbligo di frequenza. Mi fu comprato un libricino dicendomi di leggerlo e di imparare a memoria l’Atto di dolore e basta. Nel frattempo mia madre si diede da fare per organizzare il tutto che non si presentava impresa facile: erano altri tempi, lei non guidava (ed era meglio così), aveva anche un bambino piccolo, mio fratello, all’epoca di un anno è mezzo, ma non si faceva fermare da nulla quando si metteva in testa qualcosa.

Il primo passo fu l’acquisto del mio vestito. Come tutte le bambine della mia età, 10 anni circa, avevo in mente uno di quei bei vestiti vaporosi e lunghi, tipo meringa, tanto in voga in quegli anni. Invece mia madre optò per un vestito corto di sangallo dicendo: ”Così puoi metterlo ancora dopo”. Delusione cocente, ma tacqui per non contraddire mia madre e non dispiacerle (atteggiamento autolesionista che ha popolato la mia infanzia di mostruosi e improbabili capi di vestiario che hanno mortificato a vita il mio atteggiamento verso la moda e tutto ciò che la riguarda).

Per il viaggio mia madre prese accordi con l’autista di un taxi che conosceva il quale si procurò una macchina “normale” e un giorno ci imbarcammo mia madre, io, mio fratello e una ragazza che fungeva da baby sitter per Antonello, alla volta di San Giovanni Rotondo provincia di Foggia. Del viaggio non ricordo molto, quello che mi è rimasto impresso è il freddo che ci accolse nonostante fossero i primi di giugno. Appena arrivati e scaricati i bagagli in albergo, andammo alla ricerca di un fotografo. Ne trovammo uno che ci propose una vera novità per l’epoca: i “ricordini” della cerimonia non con i soliti cartoncini con angioletti e cherubini, ma nientemeno che con la mia foto mentre prendevo la comunione dalle mani del sant’uomo. Mia madre era in visibilio, io tacevo.

Fare la comunione con Padre Pio non era cosa semplicissima perché il frate di Pietrelcina diceva messa solo alle sei del mattino. Sì, avete capito benissimo, le sei del mattino! Fui svegliata alle cinque, lavata e vestita in uno stato comatoso. Quando mi guardai allo specchio mi svegliai all’istante perché quello che vidi non poteva lasciarmi indifferente. I miei capelli, che mia madre aveva “sistemato”, presentavano una frangetta cortissima, perché per raddrizzarla erano state necessarie numerose sforbiciate di troppo (in pratica sembrava mi avessero dato un colpo di accetta in fronte), il velo era trattenuto da un cerchietto di velluto che accentuava le mie orecchie discretamente a sventola. Il vestito corto era completato da un golfino bianco di filo che era come se non ci fosse dal punto di vista termico e dalla corta gonna fuoriuscivano due polpacci bianchicci che terminavano in un paio di calzini drammaticamente corti che andavano a finire nelle scarpe bianche con il cinturino che avevo scelto con tanta cura e una punta di inutile vanità.

Un mostro, praticamente la figlia di Fantozzi ante litteram! Mandai giù un groppo di lacrime, incapace di proferire parola, anche perché mia madre aveva già cominciato a commuoversi e non avrebbe smesso di lacrimare fino alla fine della cerimonia.

Arrivammo in chiesa dove faceva un freddo polare, io mi confessai ancora in stato di semincoscienza e con un inizio di ipotermia, non saprò mai cosa ho detto a quel frate, né cosa gli ho risposto al posto dell’Atto di dolore perché i miei neuroni erano completamente fuori uso. Oltretutto la colonna sonora erano le urla di mio fratello che, giustamente, essendo stato buttato giù dal letto a quell’ora, rivendicava il suo diritto a farsi girare le scatole. Non smetterà finché non gli verrà dato del cibo a fine cerimonia.

Eravamo in tre, due bambine bellissime con i loro abiti da meringhe, contornate da uno stuolo di parenti e amici, e io, una grottesca parodia, il “trova l’intruso” della  Settimana Enigmistica. L’unica preghiera che saliva dal mio cuore era che quell’incubo finisse presto e io potessi andare a nascondermi da qualche parte. La magrissima consolazione era che nessuno mi conosceva.

Ed ecco Padre Pio fare il suo ingresso. Aveva un’espressione severa, come se fosse di pessimo umore, le mani fasciate che mi fecero molta impressione perché sapevo che nascondevano ferite leggendarie. Non aveva molto di mistico, mi mise un’ansia e un senso di inquietudine che non ho mai dimenticato. Recitò la messa, in latino come usava allora, e venne il momento topico: la comunione. Ero l’ultima delle tre, osservai le mie due “colleghe” per cercare di non sbagliare la procedura (non eravamo grandi frequentatori di messe). Arrivata al suo cospetto, con il cuore a mille e un freddo artico nelle ossa, socchiusi la bocca in attesa dell’ostia consacrata, pensando che avrei provato sensazioni indimenticabili, sentito suoni di organo e cinguettii di uccellini.

Invece fui bruscamente scossa dalla voce cavernosa del frate che mi disse: “E aprila quella bocca!”. Pietrificata dalla paura e dall’imbarazzo spalancai le fauci e in quell’attimo il fotografo in agguato mi immortalò. L’unico desiderio che ebbi, quello di sprofondare nelle fondamenta della chiesa di Santa Maria delle Grazie per sempre, non fu esaudito. In uno stato di trance mi ritrovai tra le braccia di mia madre che piangeva ancora come una mucca e con il sottofondo delle urla stentoree di mio fratello che, Pavarotti in erba, aveva allietato tutta la cerimonia con i suoi strepiti.

Avrei voluto dimenticare in fretta l’accaduto, se fossi stata adulta penso che mi sarei attaccata a una buona bottiglia, forse anche ad un paio, invece la tragica realtà mi si palesò in tutto il suo orrore quando mia madre andò dal fotografo a ritirare i “ricordini”. La foto di me con la bocca spalancata e l’espressione terrorizzata ha fatto il giro di amici e parenti esponendomi al pubblico ludibrio. Ne circolava ancora uno fino a qualche anno fa in una scatola di foto a casa di mio padre, non so se qualche anima buona l’abbia fatto scomparire o se quello sia stato l’unico miracolo che Padre Pio ha fatto per me perché, onestamente, guardando alle traversie della mia vita e pensando di aver preso la Prima Comunione dalle mani di un santo, forse ci sarebbe stato materiale sufficiente per fermarne la canonizzazione.

Il vantaggio dell’età, soprattutto di quella avanzata, è avere ancora la lucidità dei ricordi più lontani e nel frattempo avere acquisito la capacità di riderne e sdrammatizzarli. Certo è che la mia è stata sicuramente una Prima Comunione indimenticabile!