quarta parte
I Cutrone erano un’anziana coppia di Palermo la cui unica figlia, Rosalia, aveva sposato un pugliese e così due o tre volte all’anno, si sobbarcavano il lungo viaggio dalla Sicilia alla Puglia per andare a visitare figlia e nipoti.
Carichi di valigie e di pacchi si trovavano in stazione ad aspettare il treno che li avrebbe portati in continente.
Videro il libro, pensarono che qualcuno lo avesse dimenticato, lo presero, lo misero nel sacco dei regali per i nipoti e si avviarono al treno.
Il viaggio era lungo perché non c’era una linea diretta per poter arrivare fino a Lecce, dove Rosalia sarebbe andata a prenderli in macchina.
Infatti lei e suo marito Antonio abitavano in una masseria nel cuore del Salento.
Avevano una vasta tenuta coltivata a ulivi, alberi meravigliosi che producevano un ottimo olio.
Era una bella zona per far crescere i loro tre figli: Lecce era abbastanza vicina e molto vivace.
Il mare di Otranto poi, era stupendo.
Il Salento viveva un periodo di grande interesse: turisti arrivavano da tutta l’Europa, attratti dalla bellezza dei luoghi, dalle tradizioni e dal buon cibo.
C’erano addirittura delle persone molto facoltose che compravano gli ulivi più belli per portarseli nei loro paesi.
Pagavano bene e anche Antonio spesso si lasciava attrarre dal facile guadagno.
Le visite dei nonni erano sempre una gioia per tutti.
Arrivavano carichi di regali, di tipici dolci siciliani fatti dalla nonna, raccontavano gli ultimi avvenimenti di parenti e amici.
Finiti i primi festeggiamenti Sara, la più grande dei figli, mentre aiutava la mamma a riordinare, trovò il libro.
Non era uno dei suoi, lei era l’unica che leggeva in quella casa e chiese spiegazione ai nonni.
Chiarita la situazione li riempì di abbracci e ringraziamenti;loro si stupirono perché non immaginavano come un libro, per di più trovato, potesse far così felice la loro nipotina.
Sara frequentava il Liceo Classico di Lecce, voleva diventare insegnante e non si interessava della masseria.
Lo avrebbero fatto i suoi fratelli più piccoli che, anche se erano ancora due ragazzini, già aiutavano il papà perché di lavoro ce n’era molto: potare, tenere puliti i prati, controllare eventuali parassiti, raccogliere le olive, portarle al frantoio.
Lei, quando non era a scuola, se ne stava in camera sua a studiare, a leggere o a fare ricerche sul computer.
Avere tra le mani un libo del Book Crossing la elettrizzava.
Le sembrava un libro per bambini e forse avrebbe preferito qualcosa di più impegnativo, magari un saggio storico o un bel romanzo.
Comunque quello le era capitato e cominciò a leggere quel racconto così semplice ma profondo, breve ma ricco di messaggi.
Pensando a quello che aveva fatto Ezèard Bouffier si sentì in colpa, lei così fortunata a vivere in un paese meraviglioso, aveva pochi contatti con la natura.
Non rinnegava i suoi interessi per gli studi ma forse poteva allargare i suoi orizzonti.
Con sorpresa dei genitori e dei fratelli cominciò a fare passeggiate tra gli ulivi, fare domande sulle coltivazioni, imparò a pulire il terreno dalle erbacce, controllare lo stato delle piante.
Diventò un valido aiuto per la famiglia e quando scoprì che suo padre, a volte, vendeva agli stranieri gli ulivi più belli si arrabbiò moltissimo e si fece promettere che nessuna delle loro piante avrebbe lasciato la Puglia.
Non bisognava impoverire la propria terra ma arricchirla sempre di più.
La storia di Ezèard Bouffier aveva colpito ancora.
Sara lasciò il libricino, ormai un po’ logoro e sgualcito su una panca della Chiesa di Santa Croce di Lecce dove rimase per alcuni giorni.
La Chiesa di Santa Croce era uno dei luoghi di Lecce più visitato dai turisti che si incantavano davanti a quella facciata ricca di figure, sculture tipiche del barocco leccese.
Tra questi, due amiche francesi, Annie e Pauline che, amanti dell’arte italiana, stavano facendo un tour nel Sud.
Avevano già ammirato il Duomo di Trani, i mosaici della Cattedrale di Otranto, i sassi di Matera.
Ora, dopo la tappa a Lecce, sarebbero ritornate verso il Nord.
Si erano soffermate a lungo davanti alla facciata, entrarono in Chiesa e per gustarsi meglio quella atmosfera mistica e avvolgente, si sedettero su una panca.
Riconobbero subito il libro di Jean Giono.
Naturalmente lo avevano letto nella versione francese e, visto che stavano tentando di imparare l’italiano, pensarono che poteva essere un buon esercizio e un’ottima occasione per rileggerlo.
E così alla sera, dopo i vari giri per chiese, musei, paesini caratteristici, stanche ma felici, si coricavano nella loro camera d’albergo e leggevano qualche pagina del libro.
Loro non avevano bisogno della storia di Ezèard Bouffier per imparare qualcosa: erano accanite ecologiste, amavano la natura, odiavano tutto ciò che stava rovinando il nostro pianeta.
Considerarono la rilettura del libro un tributo a quel piccolo grande uomo che non doveva essere dimenticato.
Considerarono la rilettura del libro un tributo a quel piccolo grande uomo che non doveva essere dimenticato.
Il loro viaggio intanto proseguiva e si stavano avvicinando all’Abruzzo; avevano deciso di fermarsi all’Aquila dove, qualche anno prima, c’era stato un terribile terremoto.
Avevano già visitato quella città anni prima e ricordavano soprattutto la Basilica di Santa Maria di Collemaggio con quella magnifica facciata bianca e rosa.
Sapevano dai giornali che il centro storico aveva subito gravi danni ma volevano rivedere quella vivace città circondata da bellissime montagne.
Annie e Pauline arrivarono all’Aquila dopo un bel giro sulle montagne d’Abruzzo dove poterono ammirare i campi di zafferano, gli animali al pascolo, in una atmosfera di pace e serenità.
Arrivate in città tutto cambiò.
Il centro storico era transennato, palazzi distrutti, cantieri ovunque.
Mancavano gli abitanti.
Erano stati trasferiti in una serie di case che formavano un ciambellone intorno alla città,, non erano brutte ma anonime e chi le abitava sembrava aver perso la propria identità.
Il tutto trasmetteva una grande tristezza e le due francesi decisero di ripartire.
Prima si recarono alla Fontana delle 99 cannelle che non aveva subito danni.
Quel luogo era il simbolo della nascita della città perché i 99 getti d’acqua rappresentavano il numero dei castelli fondatori dell’Aquila.
A Pauline e ad Annie sembrò di buon auspicio lasciare lì il libro.
Così fecero e salutarono l’Abruzzo con tanta tristezza.
continua…..