Quello che a Buenos Aires in dieci anni era rimasto immutato era il quartiere della Boca. Il Riachuelo continuava a scorrere placido tra baracche fatiscenti con i tetti ricoperti dalle lamiere zincate che le navi utilizzavano come zavorra e scaricavano alla fine della traversata e i conventillos, in cui gli immigrati dai paesi latini avevano condiviso tutto, dai servizi igienici alle cucine e – dicevano i maligni – anche le donne. Su tutto aleggiava quell’odore misto di salsedine e putridume che era il carattere distintivo del distretto e che Leandro riconobbe immediatamente. Eccomi a casa, pensò.
«Andiamo all’hotel?» chiese Miguel, innervosito da quell’ambiente.
«Mi fermo qui, la serata è appena cominciata» rispose Leandro, avviandosi verso una costruzione a due piani su cui campeggiava l’insegna di una taverna, «andate pure avanti voi.»
«Io rimango con lui» tagliò corto Anita.
Miguel restò un attimo indeciso, poi dovette giocoforza abbozzare.
«Lì dentro si può anche mangiare qualcosa?» chiese la donna.
«Certo, qui puoi mangiare le migliori empanadas della città. O se preferisci, un asado morbidissimo o del locro delizioso.»
«Come fa a dirlo se manca da dieci anni?» chiese Miguel.
Leandro rimase un attimo sopra pensiero.
«Già» disse «hai ragione. Ma ti consiglio di mostrare che apprezzi il cibo se vuoi uscire dal locale sulle tue gambe.»
Mentre i due uomini si scambiavano battute, Anita si era avvicinata alla porta del locale e l’aveva aperta.
«Aspetta!»
L’avvertimento di Leandro giunse troppo tardi. La donna era già entrata e nella sala era sceso un silenzio di piombo, subito seguito da applausi e fischi.
Miguel fece per entrare, ma Leandro lo trattenne per un braccio e lo superò.
Anita era ormai quasi al centro del locale, diretta verso il bancone, ma già un uomo, visibilmente alticcio, le si era portato davanti sbarrandole la strada.
«Dove vai, bellezza?» chiese, con un parlare strascicato.
«Per favore, mi lasci passare» rispose lei, senza scomporsi.
«Ma cosa cerchi qui dentro? Tutto quello che vuoi posso dartelo io!» esclamò, portandosi le mani sull’inguine in un gesto inequivocabile e poi appoggiandole sui seni della donna.
Leandro accelerò il passo per intervenire, ma non fece in tempo: rapida come un serpente Anita aveva staccato la mano sinistra dell’ubriaco dal suo seno e l’aveva inchiodata al tavolo con un coltello che aveva estratto da una guaina nascosta sotto la camicetta. Tutto era durato una frazione di secondo, e ora l’uomo si contorceva sul tavolo, cercando di staccare dalla mano la lama, che era infissa profondamente nel legno.
Senza curarsi più di lui, Anita andò alla cassa e si rivolse all’oste.
«Un tavolo, por favor
«Sono con me, Guillermo» disse Leandro, che nel frattempo l’aveva raggiunta.
Lui posò il bicchiere che stava asciugando. «Leandro Soria! Quale diavolo ti ha riportato alla Boca?»
«Mhm… un diavolo di donna, direi. Versaci da bere, prima che si arrabbi sul serio.»
Anita lo fermò con un gesto. «Non sarebbe meglio mangiare qualcosa prima?»
«Vedi? Comanda già lei!» sospirò Leandro con finta rassegnazione, dirigendosi verso un tavolo d’angolo, «andiamo a sederci.»
«Forse è il caso di portare quell’uomo all’ospedale» si intromise Miguel.
«Quello? Se si viene a sapere che è stato infilzato da una donna non avrà più il coraggio di farsi vedere in giro. Lascia che si arrangi.»
Anita, nel frattempo, si era già seduta al tavolo.
«Non vuoi recuperare il tuo coltello?» le chiese Leandro.
«Non è figlio unico» rispose lei, aprendo un lembo della camicetta e mostrando gli altri due che portava vicino al cuore.