«E così questo sarebbe il famoso Miguel!» disse Garcia Fernandez quando nella stanza riservata dell’hotel due poliziotti gli portarono davanti un uomo scarmigliato con le braccia ammanettate dietro la schiena. Intorno a lui erano quelli che l’avevano fermato, Anita in testa.
«Sì, señor» disse il sergente «ce l’hanno consegnato questi uomini appena fuori dal teatro.»
«Gli altri si sono dispersi giù verso il barrio Palermo, ma non andranno lontano» assicurò Diego.
Garcia Fernandez fece un piccolo applauso.
«Bene» disse rivolto a Leandro, «il pericolo sembra passato, anche se ci sono delle cose che non ho ancora capito.»
«Probabilmente sono le stesse domande che mi sono fatto anche io» rispose Leandro, «a cominciare dal perché Miguel sia venuto a cercarmi fino a Toay.»
«E la messinscena di Franco?» aggiunse il politico.
«Quella serviva a convincermi a venire a Buenos Aires.»
Leandro guardò Miguel che taceva, trattenuto dai poliziotti.
«Forse bisogna ripercorrere tutto all’indietro per capire cosa è successo» disse, «perché Miguel voleva prima sequestrarla e poi ucciderla?»
«Credevo che fosse stato pagato da qualche mio avversario.»
«Troppo facile per un meccanismo così complesso. Io pensavo che il sequestro servisse a farle ammettere la sua vera identità…» Leandro fissò Garcia Fernandez, che sembrava essersi smarrito.
«Voglio dire, nel caso lei fosse stato veramente Francisco Franco.»
Il politico fece segno di aver capito.
«Sì, questo lo immaginavo anch’io, anche se preferisco non pensare al modo in cui mi avrebbe estorto quella confessione. Però, che senso ha l’attentato? La mia morte avrebbe provocato sgomento, ma tutto sarebbe rimasto come prima.»
«Il progetto mirava molto più in alto. Il vero intendimento di Miguel non era soltanto togliere di mezzo il probabile presidente della Federación del Norte
«Quale era dunque?»
«Fare un colpo di Stato.»
«Un golpe?» chiese Garcia Fernandez, sempre più stupito.
«Certo, un golpe per instaurare una dittatura militare sostenuta dai notabili argentini che stasera si sono guardati dal presenziare a teatro, ben sapendo quello che sarebbe successo.»
«Mi sembra incredibile! E chi avrebbe guidato una simile avventura? Non conosco nessuno in grado di farlo!»
Leandro sorrise e andò di fronte a Miguel.
«Nessuno in Argentina, forse, ma perché cercare quando avevano già l’uomo giusto, tra l’altro un uomo ampiamente sperimentato?»
«Miguel?» esclamò stupito il politico.
«Non Miguel. Francisco Franco, quello autentico, qui davanti a noi!»
Successe tutto in un attimo: mentre i presenti volgevano sorpresi l’attenzione verso l’uomo in manette che adesso aveva alzato la testa in un sogghigno tanto beffardo quanto disperato, Anita con un gesto fulmineo fece due passi in avanti, strappò la pistola dalla fondina di uno degli agenti e scaricò l’arma nel petto dell’ex dittatore.
«Maledetto bastardo!» urlò, lasciando cadere la pistola a terra.
Dopo alcuni istanti di generale stupore, i poliziotti si gettarono sulla donna, trattenendola per le braccia.
Garcia Fernandez guardava il corpo riverso in un lago di sangue, mentre tutti sembravano attendere i suoi ordini.
«Lasciatela andare» disse, rivolto al sergente della policia.
«Ma signore… Ha appena ucciso quest’uomo!»
Il futuro Presidente della Federazione Argentina scosse la testa.
«No, non ha ucciso nessuno: Francisco Franco è morto oltre dieci anni fa tra le rovine del suo palazzo in Brasile.»