Leonardo Soria, Alberto e altri due compagni che li avevano raggiunti osservavano la strada attraverso le fessure tra le caditoie e il marciapiedi. Deserta.
«Via libera» li avvisò Alberto, che era andato avanti a sollevare un tombino.
Uno dopo l’altro i quattro sgusciarono fuori e andarono ad acquattarsi dietro un carretto in una zona d’ombra, invisibile dalla strada assolata, disponendosi ad aspettare.
Dopo circa un’ora due vetture si profilarono in lontananza, sbuffando.
«Eccoli!» disse Alberto.
«Tutta qui la scorta?»
«Garcia Fernandez non viaggia mai con una grossa scorta» disse Diego, che aveva un passato in policia, «tantomeno quando va dalla sua amante.»
Leandro rifletté su quanto gli aveva detto Miguel. In quel momento l’altro gli diede di gomito, indicando un movimento dall’altro lato della strada.
«Sono loro!»
Un luccichio lampeggiò per un istante al sole del tardo pomeriggio.
«La canna di un fucile» disse Diego.
Un carro trainato da due cavalli intanto stava sopraggiungendo all’incrocio. Alla guida, nonostante il travestimento, era riconoscibile la figura di Anita.
La situazione si era ormai delineata: le due vetture tra pochi istanti sarebbero entrate nell’abitato e si sarebbero trovare tra il fuoco incrociato dei due gruppi, mentre il carro avrebbe impedito la fuga.
Sotto gli occhi dei quattro uomini nascosti, il carro impegnò l’incrocio, e lì si bloccò.
Le due macchine si fermarono e dalla prima scese la scorta con le armi in pugno, ma Garcia Fernandez aprì la portiera e li bloccò.
«Lasciate stare» disse «è soltanto una donna.»
In quel momento Leandro ruppe gli indugi e corse fuori dal suo riparo.
«Attento!» urlò.
Garcia Fernandez e gli agenti guardarono nella sua direzione, sconcertati, così che Leandro riuscì a superare i dieci metri che li separavano e a lanciarsi sul politico, rigettandolo dentro la macchina un istante prima che dai lati della strada esplodesse una gragnuola di colpi. Uno degli agenti fu colpito, si avvitò su sé stesso e cadde al suolo, ma gli altri tre risposero al fuoco, impedendo agli attentatori di farsi avanti allo scoperto. Con la coda dell’occhio Leandro vide Anita osservare immobile la scena.
«Anita, giù!» urlò.
La donna lo guardò senza capire, ma accennò a scendere dal carro. In quell’istante un colpo di fucile la fece stramazzare.
«No!»
Urlando, Leandro corse verso di lei, si distese al suo fianco ed estratta la pistola cominciò a fare fuoco contro il punto da cui era provenuto lo sparo. Tra il fumo aveva intravisto la figura di Miguel che riponeva il fucile. Adesso la situazione era in stallo, ma il tempo giocava a favore degli assaliti. In lontananza si cominciava ad udire il suono delle sirene della policia, e dopo aver sparato ancora qualche colpo gli attentatori batterono in ritirata.
Leandro sollevò la testa di Anita e vide che respirava. Una macchia rossa era apparsa sulla sua spalla sinistra, ma il proiettile non sembrava aver leso parti vitali.
Quando alzò gli occhi dalla donna, vide che intorno a lui c’erano gli agenti della scorta con i fucili puntati.
«Indubbiamente mi avete salvato la vita, señor, ma credo che lei e questa donna abbiate della spiegazioni da darmi», disse Garcia Fernandez, rasettandosi il vestito sgualcito e dando istruzioni ai suoi uomini di soccorrere Anita.
Leandro alzò gli occhi sul politico. «Non volevano ucciderla, ma rapirla» disse, poi prese in braccio la donna. «È ferita, ha bisogno di essere portata in ospedale!»
Garcia Fernandez sorrise. «No te preocupes, alla mia residencia c’è una piccola clinica che provvederà a tutto» disse, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi, «ma adesso venga con noi, prego.»
Era più che un invito, e Leandro salì sulla vettura sotto la minaccia delle armi, mentre Anita veniva stesa sul sedile posteriore dell’altra macchina, ancora incosciente.