Quando ero un bambino mia madre mi portava al mare in una piccola spiaggia appena fuori città ma ancora raggiunta dagli autobus, che noi bagnanti senza macchina condividevamo con le piccole barche dei pescatori dilettanti, che venivano alate tutte le sere, o comunque ogni volta che rientravano in baia.
Le barche erano tirate in secco con un piccolo argano, poi, una volta raggiunto il loro posto, venivano fatte ruotare di novanta gradi per essere allineate una di fianco all’altra e occupare così il minor spazio possibile. Poiché la spiaggia era molto ripida ed il fondo era costituito da ciotoli, le barche salivano e scendevano su grossi pezzi di legno, in maniera di non rovinarne il fondo.
Tutto, argano, fune d’acciaio utilizzata per il traino, appoggi in legno e barche era sporco di nafta, che allora veniva comunemente chiamata moka e che era il regalo che ci portavamo ogni giorno a casa, sui piedi se andava bene, anche sui vestiti se eravamo stati appena un po’ disattenti.
La battigia era come il resto della spiaggia, ripida e ciottolosa, e se c’era appena un po’ di mare bisognava stare attenti alle pietre che le onde portavano con sé, spesso delle dimensioni di un pugno, che su uno stinco facevano un male cane. Allora il nostro divertimento era sfidare le onde più alte di noi fin dove si rompevano le creste, per correre come pazzi sul bagnasciuga inseguiti dall’acqua. Ogni tanto la manovra non riusciva e si arrivava a riva rotolando in mezzo alle pietre, pieni di graffi e contusioni. Ma tutto era bello: la spiaggia da poveri, il mare sporco, la puzza di nafta, la giovinezza.
Il cielo cupo prometteva pioggia, ma il forte vento di libeccio sosteneva le nubi e teneva l’acqua alta, nel cielo. Domani sarebbe stata mareggiata, ma oggi i ragazzi giocavano ancora sulla spiaggia, tra le onde bianche di schiuma e le urla dei genitori che dicevano di stare indietro. Qualcuno più grande e avventuroso si era spinto al largo, a nuotare. Non era difficile, una volta superata la risacca, ma rientrare era un altro discorso per via delle forti correnti intorno agli scogli. Nessuno era mai annegato lì, a memoria d’uomo, ma soltanto perché quei ragazzi conoscevano bene la zona.
Lui guardava la scena dal largo marciapiede della passeggiata che sovrastava baia.
Quante volte aveva giocato a sfidare il mare, prima da bambino e poi quasi da adulto, quando si divertiva con i suoi amici ad osservare gli anziani che li guardavano spaventati da riva! Adesso era lui a guardare.
I tempi erano cambiati, ora tutti avevano la macchina e potevano andare nelle Riviere, dove l’acqua era pulita e le spiagge di sabbia, eppure alcuni continuavano a venire lì, forse per comodità, probabilmente perché quei genitori avevano nostalgia.
Come lui.
Il mare era grosso ma non terribile, qualcuno giocava anche a pallanuoto. L’aria portava sul volto spruzzi salati e un forte odore di iodio. Il vento era caldo, afoso.
Con una decisione improvvisa, guardò la macchina parcheggiata in un parcheggio a ore, si mise le chiavi in tasca e scese la ripida scaletta che portava alla spiaggia. Era vestito da città, pantaloni di gabardine e giacca, la cravatta l’aveva lasciata nell’auto. Scarpe nere, lucide, o almeno, lo erano state prima che si coprissero di polvere. Non portava orologio, il cellulare bastava e avanzava. Il portafoglio con i documenti e la patente erano nella tasca interna della giacca.
Consapevole di tutto questo, si avvicinò al bagnasciuga passando tra i bagnanti che lo osservavano con curiosità. Si fermò prima di arrivare al limite dell’acqua e rimase lì ad osservare il mare per alcuni minuti. Le onde si alzavano e si abbassavano continuamente, sembravano prendere vita per un attimo per poi ricadere nella grande massa d’acqua.
«Proprio come noi», pensò, con un brivido.
Un bambino che poteva avere cinque o sei anni gli si avvicinò incuriosito.
«Nuoti?» gli chiese.
Lui lo guardò sorpreso, mentre già la madre stava accorrendo:
«Francesco, non dare fastidio al signore!», che tradotto significava: ‘Non dare confidenza agli sconosciuti!’
«Forse», rispose lui, ma già il piccolo era stato portato via.
L’intervento del bambino aveva rotto l’equilibrio. Ritornò sui suoi passi e si fermò ad una decina di metri dal mare. Cominciò a spogliarsi e ripiegò accuratamente i vestiti sulle scarpe, per antica abitudine affinché non si sporcassero, anche se non vedeva nafta lì intorno.
Come biancheria intima portava un paio di slip scuri, che potevano essere presi per un costume un po’ antiquato. Si sedette e rimase così, a guardare il mare.
Vedendo che si era spogliato, gli altro bagnanti distolsero l’attenzione, ritornando ad occuparsi delle loro cose.
Il mare era grigio come il cielo, anche se con frequenti tonalità d’acciaio. Il movimento incessante delle onde aveva un qualcosa di ipnotico, come il suono del loro frangersi sulla battigia.
«E’ così da sempre», pensò, «da milioni di anni il mare colpisce e frantuma le rocce, e non si chiede né da dove è venuto né il perché. Esiste, semplicemente. Come me. E’ semplice».
Non era semplice, in realtà.
Si alzò in piedi e si diresse verso l’acqua, entrandoci con decisione fino all’altezza delle ginocchia. Era tiepida, torbida perché il movimento aveva rimescolato il fondo. Si vedevano piccoli ciuffi d’erba che andavano avanti e indietro, trasportati dalla risacca.
«Tra un paio di giorni, passata la mareggiata», si disse, «i pesci si avvicineranno a riva per mangiare erbe e molluschi strappati dal fondo, e i pescatori li aspetteranno».
Era la vita, che andava e veniva senza un motivo.
Fece alcuni passi in avanti e si immerse più profondamente, fino al petto. Adesso sentiva qualche brivido, per la differenza di temperatura, ma presto ci si abituò. In lontananza il mare si perdeva nel cielo. Dall’altra parte c’era… Non aveva importanza cosa ci fosse.
Si lasciò scivolare in acqua, immerse la testa e la tirò fuori. Si voltò verso la spiaggia, dove la gente era ritornata a fare le cose di sempre, spogliarsi, vestirsi, mangiare un gelato o bere una bibita, sgridare i bambini.
Poi si voltò verso il mare aperto, fece un lungo respiro e cominciò ad allontanarsi con lente bracciate, fino a scomparire all’orizzonte.