– Tu come ti rintracci?
– Cosa intendi?
– Quando ti perdi. Perché anche tu ti perdi, no?
– Io… non saprei. Forse no. Forse sono sempre, come dire, sono da una vita presente a me stesso.
– Eh eh, questo è quello che ti racconti. Ma guardati: ti perdi ogni giorno nelle tue mille compulsioni. Passi da un bicchiere a una sigaretta, dalla ricerca ostinata dell’ago nel pagliaio, all’assurda convinzione di aver ancora una volta individuato l’ennesimo pelo nell’uovo. Forse sì, ecco, è più probabile che quelle azioni ripetute, e ossessive, siano una specie di… sì sì, un tentativo di recuperarti. Di provare a issarti a bordo, di auto-lanciarti una qualche scialuppa di salvataggio. Ci hai mai pensato?
– Ma a cosa? Io? Ma no, io non credo che… No No… sono solo, è solo, insomma è il mio modo di essere.
– Ok. Ora non hai voglia di sbilanciarti… campo minato eh? Ti tolgo dal disturbo. Parliamo di me, vuoi? Almeno per ora. Se vuoi ci torneremo. Ecco… io ad esempio spesso mi rintraccio con una matita. E buona musica. Una matita che va e la musica che suona.
– Rintracciarti… Forse intendi più rilassarti…
– No no, non so dire se è la testa che insegue la mina o la mina che insegue i pensieri. Ma io così, quando ricomincio a prendere la matita in mano, vuol dire che mi sto cercando. E, piano piano, alla fine mi rintraccio…
– Beh, allora suona facile!
– No, eh no. Proprio per niente. Non è che io decido “ora prendo la matita e mi rintraccio”. Non funziona così. A volte ci teniamo a distanza, io e la matita, anche per mesi.
– Cavolo…
– E non è finita… rintracciarsi non significa affatto “ritrovarsi”. Non significa “accettarsi”. Non significa, pensa, neanche “riconoscersi” e soprattutto… soprattutto non significa “amarsi”.
– Potremmo dire che rintracciarsi è solo l’inizio?
– Sì… è solo l’inizio del viaggio.
– Allora, buon viaggio. E… buona fortuna.
– Grazie. Stavolta credo di averne davvero bisogno