Io e mio marito, quel giorno solita spedizione punitiva centro commerciale.
Slalom tra gli scaffali, occhiali inforcati per leggere etichette, e sì perché è importante leggerle, ma non tutto si riesce a vedere, poi si incrociano gli occhi ed è meglio lasciar perdere. Miglior offerta, ma quando mai la trovi l’offerta che già si sono accaparrati tutto. I furbi sono usciti presto, si può dire che hanno aperto loro il supermercato. Fila interminabile alle casse.
Finalmente riusciamo a insacchettare il tutto, pagare e andar via.

Carichi di sacchetti ci avviamo verso il parcheggio, altra impresa ricordarsi il settore dove abbiamo lasciato l’auto.
All’improvviso sul marciapiede ci troviamo una donna prona, la spesa sparpagliata intorno a lei, poverina dimenava le gambe in aria, nell’intento di rialzarsi. Tutti passavano senza degnarsi di aiutarla.

Di corsa ci avviciniamo. Tiratala su la facciamo sedere sul marciapiede.
Con la testa bassa si tiene la bocca con le mani, esce sangue, così incomincio a passargli dei fazzolettini di carta, mentre mio marito si avvia di nuovo dentro il supermercato a comperare una bottiglietta di acqua, per sciacquare un po’ il viso della donna.
Seduta e sempre a testa bassa mentre si tampona la bocca, gli dico preoccupata: “Signora come si chiama? Dove abita? Così avvertiamo qualcuno se la viene a prendere.” La donna dolorante con voce bassa mi rispond: “A Marì so Angela, tu cognata!”
Ahhh! Oggi ancora rido nel ricordare la scena e per non aver riconosciuto mia cognata.