La finestra spalanca su un mondo azzurro, fatto di mare e di cielo, l’uno privo di onde e l’altro privo di nubi: due tavole identiche, piatte e monocromatiche.
Al di là del vetro c’è Penelope seduta davanti ad un grande telaio, vestita di nero, all’interno di una stanza vuota e bianca, intenta a filare un complicato ordito con le dita che scorrono agili con sicurezza mnemonica, che la tela non la guarda neppure, perché il suo sguardo è fisso all’azzurro, immoto ed irreale, che si espande oltre la finestra.
Avverte la mia presenza estranea e brevemente si volta verso di me: ha gli occhi dello stesso azzurro di quel mare e di quel cielo che baluginano dalla sua finestra, invariati, senza albe né tramonti.
Poi, come se non mi avesse neppure vista, torna a guardare il paesaggio immoto.

Ha fissato così a lungo quel fondale di aria e di acqua da esserne diventata parte.
Dopodiché il tempo ha smesso per lei di esistere.