Mundial 1982

“OH ROSSI, QUE GOLES MÁS LINDOS!”

Ricordo ancora benissimo questo titolo, apparso a caratteri cubitali sulla stampa dell’epoca, all’indomani della vittoria degli azzurri ai mondiali di calcio dell’82.
Non ho mai seguito lo sport del pallone, ma la memoria di quell’anno, di quella estate davanti al piccolo schermo di casa in compagnia dei miei genitori, di alcuni amici di famiglia, dei miei fratelli e di quel giovanottone che frequentavo da pochissimi mesi e che avrei sposato di lì a poco, ecco, quella memoria è ancora perfettamente nitida in me, come le urla collettive di esultanza e di gioia subito dopo quei fantastici gol di quello che da lì in poi sarebbe diventato il Pablito nazionale.
E con gli occhi, ancora ben aperti e svegli, di quella memoria inossidabile rivedo e rivivo, come fosse ora, l’entusiasmo liberatorio di quello “scendere in piazza”, quella sera, a migliaia, sulle auto, per le strade di Bolzano, urlanti, festeggianti e strombazzanti a suon di clacson e bandiere tricolori sventolate fuori dai finestrini…
Anch’io, per una volta, quella sera mi lasciai trascinare da quella gioia collettiva che, dopotutto, ci fece bene al cuore.
Salimmo in quattro sulla mia vecchia Fiat 500 di seconda mano, acquistata anni prima da un amatore che l’aveva trasformata in un piccolo gioiellino ambizioso: volantino sportivo, ruote maggiorate, lunghissima antenna radio di colore verde pisello scattante sul tetto…
E poi, via ai cortei, serpentoni di auto schiamazzanti gioiosamente per le strade del centro, condividendo gioia e allegria con quella moltitudine di persone riversatesi nelle vie ad urlare l’entusiasmo che aveva preso un po’ tutti, dopo, come fosse un rituale propiziatorio ma soprattutto liberatorio di tutte le ansie, le tensioni, i dubbi, i tentennamenti e gli interrogativi fino allora accumulati dentro sé. Liberati, infine, da quella semplice ma appassionata condivisione collettiva.
Ricordo che aprii subito la capote del Cinquino per permettere a chi mi sedeva accanto di sventolare la bandiera italiana all’aria calda di quella sera d’estate, 11 luglio 1982, una data memorabile.
Mai più, nella mia vita, ho vissuto un episodio del genere, mai più mi sono lasciata trascinare in quel modo, allegria e gioia pura, da un qualsiasi altro evento, sportivo o altro che fosse.
Io, solitamente così seria e controllata, scoprii allora che potevo e sapevo anche lasciarmi andare, partecipando e condividendo momenti di aggregazione improvvisati, e che questo, tutto questo, faceva anche bene al cuore…
Ho appreso stamattina presto della scomparsa di Pablito, classe 1956, mio coetaneo. E subito una grande tristezza si è diffusa intorno e dentro; non seguo il calcio, ma Paolo Rossi, e il suo personaggio, andavano oltre il puro aspetto sportivo, lui… era altro.
Lui, in qualche insondabile modo, rappresentava un’epoca, la mia gioventù, la mia speranza di allora, la gioia e la consapevolezza, comunque, di avere ancora tanti anni, decenni di vita, davanti a me, e che quella stessa vita avrebbe potuto e saputo riservarmi anche altre occasioni di gioia e di condivisione…
Mi dispiace.
Sono sincera, mi dispiace molto della sua prematura scomparsa, sì.
Una bella persona, seria e lontana, per quanto ne sappiamo, dai lustrini e dai riflettori della vita da star, tanto vacua quanto effimera.
Questo sfortunato 2020 se ne va portando via con sé figure note di personaggi pubblici a vario titolo amate e ricordate.
Ora, anche Pablito. Soltanto lui sarà ricordato col diminutivo spagnolo con cui venne affettuosamente definito allora. Allora e da allora.

Ciao, Paolo.

Gabri