La stanza era nuda, solo una scrivania di formica con una poltroncina e una sedia di plastica davanti. L’illuminazione era costituita da una paralume spoglio, una lampada al neon che proiettava una luce fredda, cattiva, sulle pareti smaltate di azzurro pallido. Come negli ospedali, l’angolo inferiore dei muri era connesso al pavimento di linoleuum da una rifinitura arrotondata, per consentire una pulizia più accurata. Non c’erano finestre.
«Forse lei non ha ben presente la sua posizione», disse il commissario, fingendo di leggere l’incartamento.
Di fronte a lui era seduto l’imputato, composto. Le mani erano bloccate dalle manette, ma il suo atteggiamento era tranquillo. Sembrava rilassato e guardava il funzionario con malcelata ironia. Al suo fianco, in piedi, un enorme poliziotto osservava in silenzio.
«L’ho presente, invece, commissario, voi non potete accusarmi di niente.»
Il commissario chiuse di scatto il fascicolo.
«Possiamo eccome, maledetto bastardo! Sappiamo benissimo che sei stato tu a fornire la droga a Marina Sartori, e sappiamo anche che sei stato tu la causa della sua morte!»
L’imputato si sporse in avanti col busto, come per fare una confidenza.
«Signor commissario, io e lei sappiamo benissimo che non potete provare queste accuse. E lei sa anche che io non firmerò nessuna deposizione, potete picchiarmi quanto volete. E a proposito, vorrei parlare con il mio avvocato.»
«L’avvocato l’avrai quando lo decideremo noi. E qui non è mai stato picchiato nessuno, vero?»
Quest’ultima frase era rivolta al poliziotto di guardia, che rispose con un grugnito. Per un attimo l’imputato ebbe un fremito d’inquietudine, ma si riprese subito.
«Mettiamo le carte in tavola, signor commissario: lei sa bene qual è la mia attività, sono un ambulante che…»
«Ambulante un cazzo! Sei nel giro della droga da sempre: hai due condanne e un’espulsione per questo!»
«Errori di gioventù. Ho scontato la pena e sono rientrato. Sono un cittadino comunitario e sono pulito come un bambino.»
«Hai dato la droga alla ragazza…»
«No, no, signor commissario, la droga le è stata fornita da un ragazzino, mi pare di aver sentito, quello che avete arrestato.»
«Che non vuole parlare perché tu tieni in ostaggio la sua famiglia. Ma al ragazzino le dosi le hai date tu, e infatti la ragazza ha pagato te.»
«Signor commissario le giuro su mia madre che io da quella non ho preso un euro!»
Il poliziotto ebbe un tic nervoso. Il commissario lo guardò un attimo, poi si rivolse ancora all’uomo davanti alla scrivania.
«Lo sappiamo come ti ha pagato, te la sei scopata, non puoi negarlo, lo dimostrerà l’esame del dna del liquido seminale trovato nella sua vagina.»
«Eh, che espressioni! Sì, è vero, ha fatto una marchetta. Era una prostituta tossicodipendente e per stare tranquilla ogni tanto la dava gratis agli anziani del quartiere… Non è un reato.»
Il commissario riaprì il fascicolo.
«Mi fai schifo! La droga era tagliata male, la Sartori se l’è iniettata seduta su un gradino, a pochi metri dal bar dove ciondoli sempre, ed è andata subito in coma. Allora cosa avete fatto, tu e i tuoi amici? L’avete presa e scaricata in un vicolo vicino al porto, a morire sola come un cane, in mezzo al piscio e ai topi.»
L’imputato adesso si era raddrizzato sulle sedia.
«Commissario,voi non potete provare niente di tutto questo. Le voci non contano, i vostri informatori sono pezz’ emmerda che s’inventano tutto per un po’ di grana. Non ho niente da dire né da confessare, perde solo il suo tempo.»
«Posso far convalidare l’arresto e portarti in tribunale.»
«I miei avvocati mi tireranno fuori, e poi mi faranno assolvere e lei ci farà una figura da cretino. Mi creda, non sono un santo ma neanche un imbecille, so bene qual è la mia posizione.»
Il commissario sospirò e chiuse ancora una volta il fascicolo.
«Forse ha ragione», rispose, cambiando tono e ritornando al ‘lei’. «Sa cosa le dico? Seguirò il suo consiglio, non farò proprio niente, anzi, per quanto mi riguarda lei non è mai stato qui. Nessuno l’ha vista.»
Detto questo il commissario fece per alzarsi.
«Vedo che è una persona intelligente», disse l’imputato, accennando ad imitarlo.
«No, cosa sta facendo? Lei rimane qui.»
L’uomo si risedette. Per la seconda volta guardò l’enorme poliziotto alle sue spalle con preoccupazione.
«Questo commissariato ha diverse entrate e uscite, e una dà proprio sul vicolo che conduce al porto. Stasera è già buio e vado a farmi una passeggiata sui moli. La lascio con questo collega che ha qualcosa da dirle…»
E rivolto al poliziotto: «E’ tutto suo, agente Sartori.»
L’imputato si voltò, cercò di alzarsi, ma una mano grande come la sua testa si abbatté sulla spalla e lo costrinse a sedersi nuovamente.
«Ma lei non puo…!»
«E chi lo dice?» rispose il commissario con un mezzo sorriso, «l’ha detto lei che facevo meglio a non immischiarmi. Noi non ci siamo mai visti né conosciuti… e credo”, concluse, dando un’occhiata al poliziotto, «che non avremo mai più occasioni di incontrarci.»
E uscì, chiudendo con cura la porta dietro di lui.
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