Nella notte senza aria, a cavallo di una mula, Giustina Nepanto con determinazione si predispose a perseguire le tracce di muschio di Victor Galeno, ma quando l’odore si fece di carne e di occhi, trovò l’esule in consapevole attesa della sua venuta, e delle sue motivazioni.
Mentre l’aiutava a smontare dalla mula, Victor Galeno l’avvolse nel mantello freddo della sua nebbia e, prendendola per mano, la guidò nel suo rifugio di silenzio e di stelle cieche.
Lei non oppose resistenza quando lui la irretì nella dimensione alchemica del suo universo glabro, dove il giorno era chiarore senza sole e la notte oscurità senza luna, ma docilmente si assoggettò all’esplorazione delle sue dita.
Lei mappa stellare, lui naufrago dei cieli.
Fu quella una notte di echi e di sussurri.
Notte d’amore.
E di prodigi.
La mezzaluna ying si ricongiunse alla mezzaluna yang, per tornare ad essere una sola, baldanzosa e solenne, come quella che illumina il cielo dei presepi.
Lo schianto remoto delle stelle madri generò miriadi di stelle nane, che si espansero nel cielo con la spinta propulsiva di un fuoco d’artificio.
L’asse della terra si chetò dal suo moto svagato di trottola per ritrovare l’equilibrio stabilito nell’equidistanza dei meridiani e dei paralleli, e nella sequenza da calendario delle stagioni.
E finalmente piovve.

Al riparo della loro trincea di fango, Giustina Nepanto e Victor Galeno, andavano consumando con determinazione volitiva la loro orgia privata, incuranti della bufera d’acqua che rischiava di tracimare in fiume quello che prima era stato sentiero, sordi ai nitriti esistenziali della mula in ambascia, al canto verticale dell’allodola e ai sussurri di sentinella degli Angeli Implumi.
La veggente e l’uomo notturno si amarono con la furia passionale di due samurai e, negli istanti di tregua, con la goffa premura di adolescenti alla loro prima, trascendentale esperienza.
In quella notte di preludi e di sperimentazioni, Victor Galeno assaporò l’oscurità ermetica del sonno ad occhi chiusi, perché Giustina Nepanto vegliò su di lui affinché il suo spirito vicario non lo abbandonasse per i suoi consueti vagabondaggi notturni.
In quella notte di lussuria e di tempesta, Giustina Nepanto, decifrò la visione dell’asso di bastoni che fecondo fioriva dal suo ombelico recando il germoglio, ancora chiuso, dell’enigmatica progenie dei sonnambuli.

Continuò a piovere, senza intendimento di sosta, per un periodo di cento giorni, durante il quale si colmarono i letti esausti dei fiumi ed un limo fertilissimo rinvigorì la terra stremata, che eruppe in un incontrastato rigoglio di giungla che cancellò il tracciato delle strade, mentre le radici tenaci delle mangrovie andavano sventrando le fondamenta delle case.
Un’atmosfera da fondale marino avvolse l’intera regione in un panorama di risaia.
Venne decretato lo stato di calamità naturale e, sotto il patrocinio del Papa, si andò organizzando la più spettacolare processione della cristianità con le rappresentanze dei Santi più importanti, quelli accreditati come collaboratori personali di Dio, (che santa Lucrina, nella gerarchia divina, era una santa minore) per porre fine a quell’inesauribile, catastrofico torrente d’acqua che colava giù dal cielo, rischiando di trasformare l’intera regione in un oceano.

Don Apollinare, sentendosi usurpato dalle sfere superiori ecclesiastiche del prestigio che pur gli competeva all’interno del suo territorio, andò a cercare Giustina Nepanto per chiederle, ed offrirle “uno scambio collaborativo, onesto e non discriminante, per trovare insieme una soluzione alla catastrofe”.
– Sono di partenza e, francamente, non credo a soluzioni alternative a quelle stabilite dalla meteorologia: smetterà di piovere quando l’aria sarà sufficientemente calda per impedire alle gocce di scendere al suolo –
Questa fu la risposta coincisa di Giustina Nepanto mentre saliva in groppa alla mula, predisponendosi alla partenza.
– Siete un ingrata, abbandonate la comunità che pur vi ha dato tanto, proprio ora che ha bisogno di voi! –
Le gridò, infuriato, don Apollinare.
– Non devo nulla a nessuno, ho saldato tutti i miei debiti. Statemi bene –
Ribatté lei asciutta, senza voltarsi indietro.
Victor Galeno l’attendeva avvolto dalla fuliggine metafisica di una nebbia boreale, con l’espressione precaria dell’esule predestinato, trascinandosi dietro, come ceppo di galeotto, un voluminoso baule con le cerniere irrimediabilmente sigillate da una ceralacca di muschio.