Le nostre anime esposte
Raggiunsi quel paesino di mare un mattino poco dopo l’alba, il sole stava lentamente sorgendo su quelle piccole vie del borgo ancora assonnato. Mi diressi con passi lenti all’indirizzo che mi ero appuntata sull’agenda del cellulare, verso quella casa che avevamo affittato per le nostre vacanze, con mio marito, mia figlia e la sua famiglia. Ero partita un paio di giorni prima, da sola, perché già libera da impegni, in attesa di essere raggiunta da tutti gli altri. Giunsi all’indirizzo e suonai il campanello, dal poco descritto sul sito a cui ci eravamo affidati, doveva essere una casa da sola; dopo che la proprietaria mi fece accomodare capii che la cosa non stava proprio in questi termini. Mi guardai attorno: c’erano due piccole stanze con letti matrimoniali, divise da una sottile parete in cartongesso, al posto della porta una spessa tenda di velluto rosso delimitava le due stanze, per il resto c’era una grande camera con un angolo cottura suddivisa dal salone da un muro rivestito a pietra con una tavola di legno piuttosto larga, appoggiata sopra, che fungeva da tavolo per la colazione, diversi sgabelli alti erano poggiati dai due lati; di sicuro sarebbero piaciuto ai nipoti li avrebbero fatti sentire grandi, sarebbe stato come stare seduti in certi bar. C’erano poi tre divani disposti nelle diverse pareti che immaginai facessero da letti matrimoniali una volta aperti. Lo spazio per fortuna non mancava anche se c’era davvero poca privacy. Il bagno era abbastanza grande, con vasca e doccia, oltre questo c’era poco di più; in un’altra parete un ulteriore piccolo bagno con water, bidet e lavandino, pensai: “pazienza, faremo la coda per la doccia tanto lavarsi è sempre una continua battaglia, della serie vai prima tu, no prima tu”, non era certo un gran problema, almeno per noi, in vacanza eravamo abbastanza spartani. Per fortuna fuori c’era un bel terrazzo con tavolino e sedie per prendere un po’ d’aria fresca la sera o far colazione al mattino presto, mi affacciai e mi resi conto che la vista era davvero una favola: si vedeva la piccola piazzetta e poco avanti si stendeva il golfo nella sua bellezza sotto un sole splendido.Insomma la prima impressione fu un po’ di sorpresa ma vidi che il tutto era molto pulito e se vogliamo, nella sua semplicità, anche carino con pochi oggetti e qualche bel quadro, copie fatte a mano di dipinti di Van Gogh, “il mio pittore preferito” che gli dava un tocco personalità. Ad un certo punto, mentre la signora mi spiegava il funzionamento delle varie cose, mi avvicinai alla porta di entrata, mi stava dando le chiavi e spiegandomi di quali porte erano, vidi a fianco una porta, feci per affacciarmi pensando fosse uno sgabuzzino che avrebbe fatto comodo, quando la proprietaria mi disse in modo un po’ seccato: “scusi, ma quella è la porta di casa mia”, avevo ormai già socchiuso la porta e mi sentii molto in imbarazzo. Si affacciò allora alla porta un uomo sui trent’anni, mi strinse la mano e mi disse di non preoccuparmi, in quanto quella porta solitamente era chiusa a chiave e che era un caso che si fosse aperta; strinsi la sua mano con un lieve imbarazzo, al che lui mi presentò anche gli altri che si trovavano in casa in quel momento. Quell’uomo aveva una stretta di mano forte, come piacciono a me perché danno un senso di forza e sicurezza, salutai stringendo la mano alle tre donne che si erano nel frattempo affacciate per curiosità assieme a lui, scambiammo alcune parole sul tempo e sul fatto che li ci saremmo di sicuro trovati bene perché il paese era molto tranquillo ed in quel periodo c’era poca affluenza; furono tutti molto cordiali e, al momento di congedarci, chissà perché, lui mi fece una domanda alquanto stravagante per uno sconosciuto. Guardandomi dritto negli occhi come se ci conoscessimo da sempre mi disse sottovoce, dandomi stranamente del tu; “indovina quale delle tre è mia moglie?” Senza staccare i miei occhi dai suoi le indicai la persona giusta, non avevo dubbi la ragazza coi capelli scuri, raccolti in una lunga treccia su un lato e un sorriso quasi di circostanza appena accennato; lui rimase per un attimo senza parole poi mi chiese “da cosa lo hai capito?” “credo sia meglio te lo dica in un altro momento” risposi, dandogli anche io del tu per non sembrare troppo altezzosa. Salutai le signore, lui e la madre ringraziando per avermi ricevuto al mattino così presto e dicendo che sarei uscita a farmi un giro per il paese prima che la calura di quella bellissima giornata si facesse pesante.Sentii la porta chiudersi a chiave alle mie spalle, misi a posto alcune cose che avevo nello zainetto, mi feci una doccia per togliermi la stanchezza del viaggio, mi preparai un caffè con la macchinetta e mi sedetti sul terrazzo a godermi quel primo momento di tranquillità; intanto le vie del paese si animavano con persone che aprivano le serrande, auto che iniziavano a muoversi ed una piazza che si risvegliava coi primi caffè.
Mi cambiai, scesi le scale e mi avviai verso la piccola piazza del paese, alcuni uomini in un angolo vicino a una casa stavano tirando del vino nelle bottiglie e nel mentre discutevano animatamente, capii ben poco di quello che si stavano dicendo dato che parlavano in dialetto molto stretto.Mi accorsi però che al mio passaggio tutti si voltavano a guardarmi con occhi abbastanza stupiti, solo inseguito pensai che un gesto che per me era del tutto naturale forse per loro non lo era; non erano abituati certo a veder donne a spasso da sole al mattino tra i vicoli, non mi voltai e continuai dritta per la mia strada. Camminai tranquilla fino al piccolo molo e lì mi sedetti, lasciai dondolare le gambe giù dal muretto, intendevo godermi quelle ore di tranquillità e la voce del mare che riportava le onde verso le imbarcazioni dei pescatori che, ricche di tanti colori davano l’idea di un concentrato di arcobaleni riflessi tra i raggi del sole e le piccole onde che si accartocciavano sulle mura grigie.Immersa in questa sensazione e nei miei pensieri mi sentivo come sospesa in un giorno iniziato stranamente, un ciao alle mie spalle interruppe il flusso nella mia mente, mi voltai e lui era lì e mi domandò “credi che mi possa sedere qui vicino?” “Sempre che a te non dia fastidio”; sorpresa dalle mie stesse parole gli risposi che non era un problema, il molo non era certo una mia esclusiva. Si sedette a fianco a me, io con un piccolo coltellino stavo togliendo la corteccia ad un piccolo pezzo di legno trovato nei paraggi; mi piaceva spogliare il legno e liberarlo da quella sua prigione, lui mi guardava ed io mi sentivo come se stessi togliendo parte di esteriorità alla sua anima spersa.Rimanemmo per un lungo tempo in perfetto silenzio per non sciupare quel qualcosa di magico che sentivamo nell’aria.Lui, dopo un momento che a me sembrò corto e interminabile allo stesso tempo, iniziò a parlarmi della sua famiglia, della sua vita in quel piccolo centro dove il mondo non era che un buco di cose, gesti, persone, sempre le stesse ad ogni angolo, di quanto fosse difficile vivere relegato tra quelle quattro mura quasi come in una prigione, con tutta quella famiglia a cui lui voleva, sì bene, ma che era per lui soffocante, senza un momento di pace, senza poter esprimere qualcosa di più privato. Anche quando sono con mia moglie non riesco ad avere gesti più gentili o farle dono di un fiore; “per la mia famiglia non è cosa da veri uomini, ma solo un capriccio della donna da non accontentare altrimenti chissà dove si finisce, ripetono spesso i miei genitori”; la superficie in quella casa è sempre più ridotta, più la famiglia cresce, più si rimpiccioliscono gli spazi in cui stare un momento da soli e la condivisione diventa ogni giorno più complicata. Io stavo in silenzio ad ascoltare e mi rendevo conto di quanto la famiglia potesse alcune volte influire negativamente sullo stato d’animo delle persone prive dei propri spazi; lo guardai negli occhi, lui mi rifece la domanda a cui non avevo risposto quella mattina, allora gli risposi, “mi è bastato guardare i suoi occhi così tristi eppure così fieri, si sono dipinti di una grande dolcezza nel momento in cui tu le sei passato accanto, sfiorandola appena, c’è stata tra voi come una scossa elettrica, un breve istante, ma i suoi occhi raccontavano di voi”. Seduti sul molo parlammo a lungo io della mia famiglia, lui dei suoi problemi come se ci conoscessimo da sempre ed eravamo due perfetti sconosciuti. Fatti che accadono raramente nella vita delle persone, quanto è straordinario riuscire a percepire un’anima affine alla propria e assaporarne ogni singolo passaggio, gioia, dolore, rimpianto, guardare nei suoi occhi, cogliere i suoi pensieri, comprendere fino in fondo cosa la sua anima stia vivendo in quel preciso istante. Avvertivo tutto questo come una magia, come un filo che scorreva tra di noi, che ci univa in un destino più grande, distante da ogni nostro pensiero precedente; percepivo sulla pelle l’emozione e la pericolosità di questo sentire dentro l’anima, il mio cuore batteva all’impazzata, le sue mani le scoprivo troppo vicine alle mie. Avrei voluto come in un impulso forte, abbracciarlo, stringerlo forte, consolarlo, dirgli che tutto si sarebbe aggiustato, che ci voleva solo un po’ di forza e coraggio, il coraggio di staccarsi dalle proprie radici ed iniziare tutto da capo, come se nulla fosse mai avvenuto nelle loro vite.Mi scostai di poco da lui, giusto il tempo di prendere respiro, di cercare di sentirmi nuovamente al sicuro, essere nuovamente me stessa, o se non altro sentirmi meno coinvolta.Sfidando il suo sguardo gli dissi che era ora per entrambi di rientrare, che sua moglie di sicuro lo stava aspettando e che avrebbe dovuto abbracciarla forte nonostante tutti, farla ridere e aiutarla a scacciare quella tristezza dai suoi occhi e lasciarle solo la dolcezza che avevo visto quella mattina nel suo sguardo, quando per un brevissimo istante l’aveva sfiorata passandole accanto.
Lui mi disse che era molto complicato, in quella casa dove mancava ogni possibilità di qualsiasi intimità, con quelle tende al posto delle porte e quelle pareti così sottili da udirne attraverso anche solo un flebile respiro, che né lui né sua moglie si sentivano a loro agio a differenza di altri nella famiglia.Cercai di riflettere, di farmi venire in mente qualcosa, in fondo ero brava a risolvere i problemi degli altri, molto più che i miei; gli chiesi se era così difficile sgattaiolare fuori casa senza essere né visti né sentiti, di notte quando tutta la famiglia dormiva la porta in fondo gli dissi, non sarà mica chiusa con un chiavistello come il portone di un castello.Lui mi rispose che non aveva mai pensato di uscire come un ladro con sua moglie da casa sua, non rientrava certo nelle loro fantasie, io aggiunsi “se ci tieni a tua moglie devi farlo o almeno provaci”, avrete almeno per una serata, seppur per poco tempo, una parvenza di intimità lontano da tutto e da tutti, vi sentirete finalmente più liberi.Prendi questa sera tua moglie per mano ed uscite a piedi scalzi in silenzio, per non farvi sentire, mano nella mano correte sulla spiaggia lungo il mare a perdifiato, falla danzare e ridere, stringila forte a te, ci sarà una luna molto discreta a seguire i vostri passi sulla sabbia, divertitevi, amatevi senza pensare al domani, il sorriso tornerà sulle sue labbra, nei suoi occhi scoprirai tutta la dolcezza del mondo e il tuo cuore si sazierà tra le sue braccia, tutto allora tornerà, come nel magico cerchio.Ringraziandomi per averlo ascoltato così a lungo mi sfiorò la mano come per stringerla nella sua, un brivido mi corse lungo la schiena, abbassai per un istante gli occhi affinché lui non vedesse ciò che stava attraversando il mio cuore e quanto la mia anima fosse esposta in quel momento, sul punto di esplodere nei miei pensieri; forse intuendo le mie emozioni lasciò di colpo la mia mano e si allontanò, rimasi a guardarlo mentre svoltava l’angolo che lo riportava a casa. Rimasi seduta sul molo ancora a lungo, di sicuro non avevo fame e nemmeno voglia di tornare tra quelle quattro mura per paura di rivederlo accanto a quella porta, dovevo guardarmi dentro e capire cosa mi stesse succedendo, cos’era quella sensazione quel brivido lungo la mia schiena. Un caro ricordo in quel preciso istante, attraversò come un lampo la mia mente, rividi lo stesso sguardo che mi leggeva dentro, persa nei suoi occhi anche allora la mia anima era esposta e nuda, lui mi attraversava senza farmi mai del male; per un attimo comparì nei miei occhi l’immagine del mio primo amore negli anni dell’adolescenza, tra noi quasi un dolore fisico nei giorni in cui eravamo costretti a stare lontani, quando le nostre mani non erano intrecciate coi nostri pensieri e le nostre anime affini non potevano perdersi nella dolcezza dei nostri sguardi. Risentire quella stessa emozione era vita che tornava, quasi come un dolore lì nel centro del mio cuore, una fragilità che si ricreava nei cassetti della memoria, racchiusa negli angoli più reconditi di un altro tempo, un’altra me scomparsa con l’andare degli anni.Mi osservavo come guardandomi da fuori, quasi fossi l’analista di me stessa; provavo a decifrare quelle ultime ore che mi erano esplose nella mente e tra le mani, avevo però una grande confusione, l’acqua che sciabordava sul molo a differenza di prima mi incuteva tristezza e timore. Mi alzai e mi allontanai, entrai in un bar e chiesi un prosecco per schiarirmi le idee, in fondo era quasi ora di pranzo ordinai un toast per non bere senza mangiare nulla ma non avevo certo fame.Scacciai i pensieri ascoltando le conversazioni degli altri clienti, capivo solo poche parole e questo mi impegnava notevolmente, mi sentivo osservata e sinceramente, non me ne fregava niente, non mi ero mai preoccupata dei giudizi degli altri a meno che appartenessero a persone vicine a cui tenevo particolarmente, altrimenti non mi sfioravano per nulla.Finito il mio toast presi un caffè salutai e mi avviai verso casa, non incontrai nessuno era l’ora del riposino pomeridiano, salii le scale mi tolsi le scarpe e mi gettai sul primo letto disponibile, alcuni istanti e mi addormentai, il viaggio in treno era stato lungo e non privo di disagi con cambi per problemi sulla linea, la solita cosa che accade spesso a chi prende un treno.Mi svegliai di soprassalto, il cellulare stava squillando, risposi, era mia figlia voleva sapere se era tutto a posto dato che non l’avevo avvisata con un messaggio, ero convinta di averlo fatto ma evidentemente così non era, mi scusai con lei e le spiegai di come era l’alloggio, lei rispose che per quei pochi giorni andava benissimo tanto coi bimbi se faceva bello in casa ci sarebbero stati ben poco. La salutai e gli dissi che ci saremmo sentiti la sera e controllai il cellulare, il messaggio l’avevo effettivamente scritto ma non inviato, alcune volte mi succedeva, feci che chiamare anche mio marito a quell’ora doveva già essere tornato, lo trovai, parlammo un momento poi ci salutammo dicendoci che ci saremmo sentiti prima di andare a dormire.
Rimasi nuovamente sola coi miei pensieri un frullare d’ali sperso tra mente e cuore, alla ricerca di una risposta a quella sensazione che mi chiudeva lo stomaco e nello stesso tempo mi faceva sentire viva e leggera come una piuma portata dal vento.Mi osservai nello specchio del bagno che mi rimandò un immagine distorta, quasi non fossi io quel volto riflesso, quasi fossero i miei pensieri a specchiarsi e non il mio volto, mi sciacquai la faccia e l’acqua quasi tiepida mi lasciò quei segni sotto gli occhi erano lacrime sul mio viso; cosa mai mi stava succedendo? Dove era finita l’altra me? Quella razionale, quella coi piedi ben saldi alla sua terra alle proprie radici, forti come il vecchio noce dietro casa. Cosa si stava sgretolando nella mia mente? Avevo paura anche solo a formularne il pensiero, credevo fosse solo suggestione, da anni non avevo un colloquio così lungo e personale con un uomo che non fosse mio marito; eppure sentivo come una grande malinconia salirmi dentro, come un qualcosa di non voluto, un qualcosa di non deciso da me, di indefinito che esulava dal mio essere quotidiano.C’era come un nuovo respiro nei miei polmoni, un’aria leggera che però non faceva parte di me ero ben conscia di quanto nulla di quel respiro mi appartenesse né mai mi sarebbe potuto appartenere. Ancora quel po’ di lucidità stava chiusa da qualche parte nella mia testa ma quel contatto così breve, così intenso aveva scardinato le mie sicurezze, le certezze del mio io oggi, domani e per sempre; non ci credevo, non ci avrei mai creduto che potesse accadere ancora di sentirsi così vivi, così felici, seppur per un brevissimo istante. Razionalmente sapevo che nulla mai avrei permesso accadesse, a nessuno, avrei mai permesso di sciupare cose ottenute con una fatica immensa, nemmeno al mio cuore avrei mai permesso di farmi ancora inutilmente del male. Rimasi chiusa in casa per tutto il pomeriggio, cercai di leggere un libro, un noir che mi tenesse la mente occupata, mi rendevo però conto che non avanzavo con la lettura tornavo continuamente indietro perché ad ogni pagina mi perdevo tra quei vicoli e quel molo, mi feci un the caldo e decisi così che era meglio se andavo a dormire, la notte fu molto lunga ed agitata.Ad ogni minimo rumore era come se nella mente li sentissi scendere quelle scale, li vedessi sorridere e correre a perdifiato ed il tutto mi urtava non poco. Pensavo a lui, a lei, la vedevo felice tra le braccia del suo uomo ed io mi sentivo un po’ morire, eppure era davvero ciò che volevo per lui, per loro, che vivessero un momento felice che fosse quel momento a dar loro la spinta per cambiare, se non era possibile vivere felici lì sarebbe stato possibile fuggire più lontano, e vivere quel loro giovane amore che a me doveva risultare distaccato ed assolutamente estraneo.Mi svegliai al mattino presto con un gran mal di testa e una voglia di caffè, accesi la macchina del caffè e presi il primo della giornata poi squillò il cellulare, mia figlia, risposi e sentii le bimbe cantarmi in coro augurandomi il buongiorno una sulla voce dell’altra dirmi “aspettaci che domani sera arriviamo, così possiamo di nuovo abbracciarti”, risposi loro che erano solo due giorni che non ci vedevamo ma ammetto chela loro chiamata mi fece tornare il sorriso. Immaginavo che mia figlia mi avesse sentita un po’ strana la sera dopo la sua seconda chiamata. Avevo parlato poco e risposto quasi a monosillabi e non era da me ma ero così scombussolata che avevo paura si capisse dalla mia voce anche solo parlando al telefono; fortuna che non era una video chiamata, salutai le bimbe e mia figlia ci saremmo sentite più tardi per capire quando poi partivano e a che ora pensavano di arrivare il giorno dopo. Mi vestii con un prendisole in garza di cotone sottile giallo color del sole per sentirmi più solare e leggera, scesi le scale sperando di non incontrare nessuno, non mi andava di parlare, la confusione più totale regnava tra i miei pensieri; camminai a lungo a piedi nudi sulla spiaggia sabbiosa fino a che non mi fui allontanata un bel po’ dal paese e dal molo. Allungai il mio asciugamano color arcobaleno, mi sedetti e abbracciai le mie ginocchia tenendole strette al petto, un gesto che ripetevo fin da bambina, lo stesso che mi faceva sentire protetta rinchiusa in me; chiusi gli occhi e col rifluire delle onde iniziai la respirazione, respiri lunghi e profondi, mi servivano a calmare i battiti del mio cuore, il suono delle onde che s’infrangevano sugli scogli vicini, erano come una musica una dolce compagnia per rilassarmi. Il sole splendeva all’orizzonte ed intanto i miei pensieri come naufraghi su una zattera, parevano sballottati dalla corrente, erano come un battito d’ali, li accompagnavano i gabbiani in volo sopra la mia testa.Guardavo la spiaggia e vedevo quei due corpi sulla sabbia, di sicuro saranno scesi questa notte, o così almeno era l’immagine nei miei pensieri.
Intanto presi il libro, iniziai a leggere l’assassino aveva quasi raggiunto la vittima, di sicuro nessuno avrebbe fatto in tempo ad arrivare, per un attimo fui presa dal racconto; poi sentii un “ciao, dormito bene stanotte?”non serviva che mi voltassi, la sua voce aveva girato nella mia testa per lunghi istanti, “ciao, sì tutto bene”risposi “posso sedermi qui accanto?” mi domandò mentre già lo stava facendo, “mi pare tu non abbia bisogno di attendere la risposta” “comunque accomodati pure” sedemmo così vicini come il giorno prima.Dopo un silenzio che a me sembrò interminabile, cominciò a parlare e a dirmi di quanto facesse caldo quell’anno, di quanto l’estate si annunciava bella, di come nella sua famiglia erano contenti che arrivassero altri bimbi con cui far giocare i loro.Pareva davvero una chiacchierata tra due conoscenti, continuavo a tenere gli occhi bassi sul libro e il segno sulla pagina in cui ero stata interrotta, non riuscivo ad alzare lo sguardo sui suoi occhi, avevo un dannato terrore di quello che avrei potuto leggervi. Colsi l’occasione per fargli sapere che l’indomani prima di pranzo sarebbe arrivata la mia famiglia e che ne ero davvero felice, lui allora mi sollevò il mento e mi guardò dritto negli occhi un istante ed io mi sentii venir meno; sentii le mie braccia allentarsi, lasciai lentamente scivolare le ginocchia, la mia protezione scivolò sulla sabbia ed io mi sentii come spersa rimasi con le mani legate, lui sciolse quel nodo con un fare estremamente delicato, “non aver paura di me” mi disse, “non sono l’orco cattivo”. In quel momento tutta la mia fragilità affluì nei miei occhi e due lacrime scivolarono sulle mie guance, mi sentivo persa, non sapevo cosa fare, avrei dovuto alzarmi ed andare via ma era come se qualcosa mi tenesse inchiodata in quel posto, in quel preciso istante, il suo respiro si fece più vicino potevo sentire i battiti del suo cuore quasi dentro ai miei pensieri, le sue labbra cercarono le mie chiusi gli occhi ricambiai quel bacio, così lieve e delicato da sconvolgermi dentro. Lo strinsi più forte e lo baciai con trasporto e con la consapevolezza di essere lì ed ora e tutto il resto non c’era intorno, solo io e lui e quel sentire nel profondo dell’anima, solo i suoi pensieri ed i miei un intreccio unico di sensazioni da far male, come un mare tempestoso che si deve placare tra i confini dei nostri corpi impauriti.Un assaporare quel piacere che a volte a tratti, scompare tra la consuetudine di giorni che si in seguono spesso uguali nella forma e nel pensiero, ora tra le nostre mani intrecciate tutta la dolcezza da adolescenti, tutto il fervore e la passione della maturità, dispersi in un tempo irreale che avresti voluto fermare per sempre nei suoi occhi.Mi ridestò il pensiero come se mi svegliassi da un sonno profondo, sentii quel senso di vertigine, di panico, per un attimo il pensiero mi trafisse come spada in battaglia, vidi nella mia mente occhi che mi domandavano e non capivano, non potevano capire.Quel pensiero come un lampo spezzò l’incantesimo, a stento mi allontanai dalle sue labbra, da quella magia, da quell’incanto che si era creato, il suo sguardo si fece cupo nei suoi occhi; aveva capito che nulla poteva esserci tra noi se non quel ricordo così dolce e colmo di malinconia che ci avrebbe accompagnato per lunghi anni nelle nostre notti insonni. Distolsi lo sguardo dal suo per non cedere alle mie emozioni, cercavo di ritrovare un respiro che normalizzasse il mio cuore che correva come un cavallo selvaggio lungo una spiaggia deserta, mi ci volle un bel po’ di tempo, intanto calde lacrime scendevano a lavare la mia anima appesa ad un sogno impossibile e irrealizzabile. Lui prese dalla sua tasca un fazzoletto, con delicatezza asciugò i miei occhi, intanto anche nei suoi le lacrime si facevano strada ed io mi sentivo quasi morire ma non eravamo più due adolescenti, potevamo evitare di lasciarci trascinare in qualcosa di più grande di noi, che non aveva un futuro. Restammo seduti accanto in un silenzio che faceva male, poi gli chiesi quasi con un senso di vertigine addosso “ieri sera poi?” gli chiesi, lui rimase per un lungo istante in silenzio avvertivo solo i battiti del suo cuore ed il suo respiro che cercava pace, intuivo i suoi pensieri capivo che non voleva ferirmi più di quanto non avessimo già fatto entrambi. Avevo però ora quasi un bisogno fisico, un’urgenza che mi premeva sul cuore di sapere, per straziarmi dentro, ero brava ad infliggermi punizioni; volevo assolutamente sapere se qualcosa tra loro era cambiato se era stata una notte felice “più della mia”. Mi rispose senza sollevare lo sguardo dalle sue mani intrecciate come in una preghiera, mi disse con un filo di voce che quella notte era stata davvero bella, come non succedeva da troppo tempo, che la mia idea di quella uscita notturna era stata davvero una bella intuizione, che sua moglie era stata davvero felice aveva riso, pianto, ballato a piedi nudi sulla spiaggia sotto la luna, che poi avevano fatto l’amore con un trasporto diverso da sempre, che lui però quella notte non aveva che pensato tutto il tempo solamente a me.
Rimasi per un istante interminabile senza fiato senza più parole, si era questo che volevo sentirmi dire, erano queste sue parole quelle che volevo assolutamente sentire, me ne resi conto nello stesso istante in cui lui le pronunciava ne avevo un bisogno assoluto per sopravvivere a quel giorno e negli anni a venire. Alzai i miei occhi per posarli nei suoi, vi trovai un oceano di tristezza, allora baciai con infinita tenerezza i suoi occhi e gli dissi che era solo una suggestione che non appena fossi sparita dalla loro vita, tutto sarebbe tornato come prima, nella normalità delle cose. Sentivo il suo cuore accelerare i battiti al contatto delle mie labbra sui suoi occhi, volevo solo asciugare le sue lacrime, tenere le sue mani tra le mie e dirgli che tutto si sarebbe aggiustato, mentre il mio cuore si spezzava sentivo la mia voce tentare di rassicurarlo dirgli di non preoccuparsi che era stato solo un attimo di sbandamento, che può succedere ma che l’amore della sua vita era quella ragazza che non voleva altro che vivere con lui, sola con lui le cose sarebbero andate bene. Attesi che il suo respiro tornasse regolare, strinsi ancora a lungo le sue mani, avevano per me un valore particolare le mani intrecciate, infondevano forza e coraggio, dicevano che tu c’eri, eri lì ora e ci saresti stata anche dopo, questo volevo dirgli. Mi sentii dire, con la voce incrinata dal pianto, “sai credo si sia fatto tardi credo sia ora di rientrare” “vai sereno lei di sicuro dopo stanotte ti sta aspettando col sorriso, nessuno in casa saprà mai per quale motivo ma ne saranno piacevolmente stupiti e tu invece sai bene il perché!” “sai, le hai regalato qualcosa di immensamente grande ora prendete coraggio e cercate un’altra vita per voi è possibile vedrai, che tutto poi andrà per il meglio perché così deve essere”.“Vai e promettimi che farai tutto il possibile per la vostra felicità e tieni fede alla promessa, io non sarò stata che un puntino che si perderà all’orizzonte con l’alba di domani e la nascita di un giorno per voi nuovo; io sparirò dalla vostra vita e dal tuo cuore”.Con le spalle un po’ curve quasi ti fosse caduto addosso il mondo, ti osservai camminare sulla spiaggia, seguivo le tue orme con lo sguardo il tuo era un andare così lento quasi come se ad ogni passo perdessi dei pezzi di te.Rimasi seduta lì come una stupida, piansi tutte le lacrime di mari ed oceani, fino a che non si prosciugarono i miei occhi nell’infinito spazio e tempo che mi rimaneva prima che tutto tornasse nella “normalità” delle cose. Restai lì su quel pezzo di spiaggia deserta fino a quando uno dei tramonti più belli e densi di malinconia che avessi mai visto, svanì completamente all’orizzonte.Piegai quindi con cura l’asciugamano, mi incamminai a passi lenti, indolenti verso casa per assaporare ancora un pezzo di quella magia, quell’incanto che sarebbe rimasto nei miei ricordi più cari, quelli miei, solo miei.Quelli che non avrei mai potuto condividere neppure con la mia migliore amica; forse avrebbe capito o forse avrebbe invidiato quel magico incontro, quel destino bizzarro che si frappone tra la tua vita ed il tuo futuro, che si fa sete e si fa fuoco e polvere nel ricordo, che ti strazia dentro quell’attimo che ti regala inebriatezza, poi come dopo una ubriacatura, ti lascia l’amaro in bocca e il mal di testa, quel senso di “non avrei dovuto bere così tanto”.Rientrai a casa che era già buio mangiai della frutta che mi ero comprata alla mattina, misi su un caffè e della musica “Onde di Einaudi, per come mi sentivo era la sola musica che avrei mai potuto ascoltare”; mi sedetti per berlo sul terrazzo, assaporando quell’aria fresca e frizzante, quella notte di luna colma di nostalgia, la osservavo riflessa sul golfo e nei miei occhi ancora pieni di noi. Mi versai ancora un bicchiere di prosecco ed aspettai incerta non so bene che cosa, con la famiglia avevo già parlato prima ed eravamo rimasti d’accordo che ci saremmo sentiti di prima mattina per sapere dove erano arrivati e quanto chilometri ancora mancavano per arrivare. Mi mancava in quella sera, la sicurezza di quelle voci di quelle braccia, delle mani di mio marito tra le mie per addormentarmi serena, finii il mio prosecco quindi mi fiondai sotto la doccia, mi avrebbe forse aiutato a dormire almeno un po’.Uscii dalla doccia e mi misi la camicia da notte quella blu oltremare lunga ai piedi spalline strette tessuto leggero di seta per non soffrire anche per il caldo, mi distesi sfinita da quella giornata sul letto “intantoLudovico nella cassa stava suonando Divenire” musica che ben s’intonava col mio stato d’animo in quel momento. Chiusi gli occhi, provavo come in altri giorni passati un dolore quasi fisico, una stretta al cuore una ferita che sarebbe rimasta a lungo prima di farsi cicatrice nella mia anima.
Così persa nei miei pensieri, avvertii nell’aria un profumo forte ed intenso poi un “ciao, sono io” la sua voce era inconfondibile per un istante rimasi come sospesa ad un sogno mi mancava il respiro, si avvicinò e con infinita dolcezza prese il mio volto tra le sue mani e le sue labbra si schiusero con un bacio lieve sulle mie; da quell’istante in poi non ci fu più né ragione, né consapevolezza, nemmeno salde radici ad indicarmi la via, il cammino ed il mio porto sicuro.Fu solo un susseguirsi di attimi intensi di vita, qualcosa che andava al di là di ogni ragionevole dubbio, di ogni ragionevole pensiero, un fare all’amore con la certezza dell’ora e adesso e domani tutto sarà finito e nulla sarà mai iniziato; tutto sarà solo dentro, dentro di noi, fino alla fine senza poterne parlare, un segreto che si farà vivo spesso, che si farà strada tra altre notti e si farà croce ogni volta, perché un segreto mai svelato è come un dolore appena nato.Così sarà nei nostri giorni a venire ma oggi è qui e noi siamo quell’oggi, siamo quelle mani che si cercano, quei corpi che si intrecciano, siamo negli sguardi che si spogliano e mettono l’anima a nudo, che si svelano attraverso la vita quella che non tradisce, la vita che si svela anche nei momenti più bui, si apre a nuovi istanti indimenticabili. Quella vita che non volevi, che sfuggivi con tutta te stessa, stasera è qui a ricordarti chi sei e che fai parte di lei, come il fiore che germoglia in un minuscolo puntino di terra anche in mezzo all’asfalto.La vita che ti colpisce a volte a tradimento per ricordarti che non tutto è gestibile, che non tutto può essere pianificato, che c’è una grande magia nel non sapere, nell’attimo stesso in cui dici no, ecco che accade l’imprevisto, ciò che non avevi deciso tu ciò che non era fra i tuoi pensieri, quella piccola scintilla di vita che a volte si fa strada a dispetto di tutte le tue precauzioni; perché la vita è anche questo, qualcosa di non preordinato, di non calcolato, qualcosa che ti accade d’improvviso e spesso può essere il meglio seppur per un tempo breve. Abbandonarsi fra le sue braccia fu un qualcosa di davvero inaspettato, qualcosa di una felicità che ti spezza dentro, quel sentirti viva fino alla morte, fino alla fine dei tuoi giorni; qualcosa che terrai prezioso per sempre e custodirai nello scrigno dei tuoi giorni felici.Allora sarai grata per tutto quello che la vita ti ha voluto donare, anche quando non ti aspettavi più nulla di così altamente speciale, non più uno sguardo a leggerti l’anima, non più quel sentirti senza respiro tra le sue braccia, non più quel chiudere gli occhi e assaporare la sua vita in te, ma solo più un susseguirsi di giorni sereni senza grandi stravolgimenti. Le prime luci dell’alba ci sorpresero dolcemente svegli, l’uno fra le braccia dell’altra ma con quella immensa tristezza nei nostri cuori, quel ricordo sarebbe bastato? Si, sarebbe rimasto a lungo tra le pieghe di altre lenzuola ed altre notti insonni. Quel suono di cellulare ti rimbombò nelle orecchie come una sirena che invitava a fuggire, tua figlia ti avvertiva che sarebbero arrivati tra circa tre ore, ti voltasti e lo baciasti ancora a lungo sapevi bene che erano gli ultimi istanti e questa volta davvero non c’era più tempo. Lui si fece una doccia si vestì e ti tenne ancora per un lungo momento accoccolata fra le sue braccia baciandoti con una tenerezza infinita conscio del fatto che questo era il vostro addio per sempre, tu tra dieci giorni te ne saresti andata in un paese molto lontano e lui sarebbe stato il regalo ed il ricordo più bello di quell’estate e di molte altre negli anni a venire.Ti disse infine che aveva deciso con sua moglie di prendere un treno e spostarsi in qualche piccola città del nord per vivere quella vita che tu le avevi dipinto come in “notti stellate” quel bellissimo quadro di Van Gogh che era appeso alla parete; baciò con infinita tenerezza i tuoi occhi colmi di lacrime e si voltò per nasconderti le sue, lasciò andare le tue mani ed uscì senza voltarsi dalla tua porta in punta di piedi, era ancora molto presto e le strade erano deserte, lo osservasti dal terrazzo scendere alla piazza e salire sull’auto, non si voltò, sapeva bene che se avesse ancora visto le tue lacrime non ce l’avrebbe mai fatta a lasciarti e che tu non avresti mai voluto derubarlo di una vita che lui ancora aveva davanti a se. Non te lo saresti mai perdonata. Rientrasti in casa e ti fiondasti sotto la doccia per lavare via le lacrime ed ancora sentire un’ultima volta il suo profumo sulla tua pelle, lasciasti scorrere l’acqua a lungo sul tuo corpo che ancora bruciava delle sue carezze, poi ti avvolgesti nell’accappatoio ed i tuoi capelli nell’asciugamano come un turbante sulla testa, mettesti su un caffè, ne avevi un bisogno estremo. Due notti senza chiudere occhio, una a pensare una a vivere, ora era il tempo di rimettere ordine nella tua vita tra poco tutto sarebbe dovuto tornare alla “normalità, o quasi”.Prendesti dall’armadio il tuo prendisole rosso, quello giallo non l’avresti indossato mai più troppi ricordi, ti rifacesti il trucco per nascondere quegli occhi cerchiati mettesti su il tuo sorriso migliore; tra poco sarebbero stati qui e tu saresti tornata “quella di sempre” seduta sul terrazzino rimanesti lì in attesa con quella sensazione di qualcosa di meraviglioso che ti era passato accanto e dentro, qualcosa che avevi lasciato e perso per sempre. Passò per il vicolo sua moglie, aveva un sorriso raggiante tu la salutasti con la mano augurandole il meglio, lei ti rispose felice mentre tu, ti sentivi morire dentro.Eccoli li sento, come al solito uno grida e l’altro ancor di più “prima io no prima io” piano c’è posto per tutti ci sono baci e carezze e coccole per ognuno, loro erano bambini così vivaci un concentrato di voglia di vita,“nonna quand’è che andiamo al mare? Abbiamo già lasciato fuori tutto”, calma ragazzi svuotiamo le valigie, infiliamo i costumi e via verso nuove avventure.Dietro di loro arrivava pure mio marito mi abbracciò, “ciao come stai?” “Come sono passati questi giorni da sola?” Non lo guardai negli occhi, era troppo presto per nascondere l’emozione della notte appena trascorsa, era qualcosa che ancora bruciava nelle mie vene, mi scostai e finsi di svuotare le valigie dei bimbi e dissi,“bene, tutto bene, ha fatto caldo ed il mare è così bello e tranquillo e tu?” “Io tutto bene, il viaggio è stato un po’ lungo ma ormai siamo qui”, gli indicai l’altro letto e gli dissi “riposati un po’ io porto i bambini fuori”.Da quella notte trascorsero molti anni ci volle davvero tanto tempo per riporre il ricordo di quei due giorni in soffitta, ci vollero molte notti insonni tante ore passate a pensarti a domandarmi come fosse ora la tua vita; nella mia le emozioni belle, a volte brutte o tristi si susseguivano figli e nipoti che crescevano stavano lì a ricordarmi di quanto gli anni correvano via svelti. Noi invecchiavamo alla meno peggio, la serenità albergava nei nostri cuori per quanto fosse possibile in un mondo così sgangherato e senza grande futuro per le nuove generazioni.Non tornai mai più in quel piccolo paese, anche se mia figlia me lo chiese un paio di volte non sapendo bene perché non ci volessi tornare dato che eravamo stati bene e la proprietaria era stata molto gentile con tutti, noi nonostante i ragazzi fossero un po’ incontenibili.Non credo abbia mai nemmeno lontanamente immaginato il perché del mio rifiuto. Un giorno tanti anni dopo, dovevo assentarmi da casa per andare ad una mostra in una grande città del nord, una gita di una giornata, a sera sarei comunque rincasata sicuramente piuttosto stanca, gli anni iniziavano a pesare. Presi il treno e scesi alla stazione, con la metro raggiunsi il centro e il palazzo in cui erano esposti i quadri, girai per le varie stanze perdendomi tra quei colori così intensi, quel giorno saltai pure il pranzo ma non era importante. Nel primo pomeriggio, stavo ammirando uno dei quadri di Van Gogh, quello della notte stellata, ero da sempre affascinata da quelle sue pennellate brevi, da quella luce intensa delle sue stelle. Pensavo osservando così presa da quei colori e quelle luci, alla sua anima, a quanto era esposta in ogni suo quadro, o almeno io lo vivevo così intensamente come fossi stata allora tra i suoi pensieri.Completamente assorta da quell’immagine, non vidi la persona che ferma al mio fianco mi stava osservando, sentii solo ad un certo punto un “ciao, ti ricordi di me?” Qualcosa mi si bloccò nello stomaco, no, non poteva essere, eppure quella voce, era la sua così inconfondibile e mai cancellata dai miei ricordi; mi voltai e lasciai scorrere il mio sguardo fino ai suoi occhi, non erano per nulla cambiati, anche lui aveva la sua anima esposta,“ciao, come stai?”Gli dissi “ne è passato di tempo”, lui era ancor sempre un gran bell’uomo, i suoi capelli si erano fatti brizzolati, la sua voce era diventata ancora più profonda; io pensavo ai miei anni ora erano già davvero molti.Lui con molta naturalezza mi prese per mano come se il tutto fosse successo solo ieri, mi disse “dai vieni andiamo in un bar qui fuori ho così tante, tante di quelle cose da raccontarti, di cui esserti veramente ed infinitamente grato”.Ci sedemmo ad un bar poco fuori mano, mi raccontò della sua vita dopo il nostro addio, di quanto fosse stato difficile tornare a casa quel mattino e sapere che ero a pochi passi da lui, quindi decise che era ora di partire; dopo aver sbrigato alcune faccende fecero i bagagli tra lo sbigottimento della famiglia, per nulla contenta di quella partenza.Il giorno dopo mi disse, lasciammo il paese non ce l’avrei mai fatta a vederti con la tua famiglia per tutti quei giorni senza poterti ancora stringere tra le mie braccia.Mi raccontò dei primi anni della loro vita, che si trasferirono in una piccola cittadina del centro Italia, era stato per loro che arrivavano da un piccolo paesino più semplice che non spostarsi in una grande città, che aveva messo su una piccola bottega dove creava cornici ed oggetti di tutti i giorni in legno che sua moglie
decorava; piano piano la loro ditta era cresciuta e la loro famiglia pure, avevano avuto tre figli, due femmine ed un maschio, ormai tutti abbastanza grandi seppur non ancora del tutto indipendenti, mi fece vedere le loro foto sul cellulare erano davvero molto belli e la figlia aveva il suo stesso sguardo.Ci raccontammo degli anni trascorsi, mi parlò a lungo dei suoi figli, mi chiese dei miei nipoti di quanto fossero ormai grandi e che scuole frequentavano, gli chiesi di sua moglie di come stava e se era riuscito a mantenere quella promessa; mi guardò negli occhi e fu come se il tempo si fosse fermato, come se tutto quel tempo non fosse mai passato; mi disse che aveva mantenuto fede a quella promessa e che sua moglie era stata sempre felice con lui. Gli chiesi “e tu come stai?” “Bene ora” mi rispose poi prese le mie mani tra le sue, sentii un gran caldo salirmi dentro invadermi le vene, ecco la stessa emozione, no, non era possibile, tutti quegli anni spesi per metterla in una soffitta e ritrovarla intatta in un istante come il giorno in cui l’avevi lasciata lì; lui mi chiese “ e tu come stai?” gli risposi “bene fino ad un momento fa” “ora mi sento mancare l’aria ed il respiro”, poi per spezzare quell’istante gli dissi “di sicuro è colpa dei miei anni, sono molti ormai” lui mi rispose, “ma quanto sai essere spiritosa, non ti ricordavo così” “cosa vuoi che ti dica, che sei tu a farmi mancare il respiro?”“No non mi serve che tu me lo dica, lo sai mi basta guardarti negli occhi”; già, quel guardarsi negli occhi eleggersi fin dentro l’anima, questo non è mai svanito tra noi, pensai, mentre lui formulava la mia frase con la sua voce profonda: ci guardammo e scoppiammo in una fragorosa risata, davvero le nostre anime erano affini e lo sarebbero state fino alla fine dei nostri giorni. A quel punto lui mi prese per mano e mi disse “dai andiamo” “tu l’hai vista tutta la mostra?” Gli risposi di no anche se in realtà avevo quasi finito il giro. Passeggiammo per quelle stanze tra quei quadri tenendoci per mano come due ragazzini, sapevamo bene che a breve ci saremmo salutati con un abbraccio ripromettendoci di sentirci ma non l’avremmo mai fatto. Anche lui come me era lì per quella luce nei dipinti, per quei suoi colori, per quella tragicità che traspariva e quasi usciva dai suoi quadri per posarsi nei nostri occhi; eravamo come rapiti davanti a quelle immagini. Seppi così dalle sue parole che quei quadri nell’alloggio al mare li aveva dipinti lui.Stringendomi più forte la mano si voltò, mi guardò negli occhi, mi parlò di colori, sì quel giallo così intenso che a lui ricordava quel mio vestito sulla spiaggia, per un attimo mi mancò davvero l’aria, possibile che lui ancora ricordasse quel vestito? Non distolsi però lo sguardo dai suoi occhi e gli dissi “sai che da allora non l’ho mai più messo?” “È rinchiuso in un vecchio baule in soffitta assieme alla nostra storia ai miei ricordi più cari”. Un giorno qualcuno saprà perché non ho mai voluto tornare laggiù, quel giorno non avrà più alcuna importanza, nessuno soffrirà più per quella storia, forse proveranno anche un po’ di malinconia per me; figli e nipoti sapranno il perché di certi giorni in cui il sole scompariva dai miei occhi ed il mio sguardo si rabbuiava scopriranno il perché di qualche lacrima furtiva colta nei miei occhi quell’anno su quella spiaggia, sapranno così di quella bugia su un granello di sabbia.Lui posò un bacio lieve sulle mie labbra e seppi che non tutto era finito, che quei due giorni erano ancora nei nostri giorni di oggi, che il passato non lo puoi mai del tutto cancellare che ti si può ripresentare anche in un giorno qualsiasi; che le anime affini sanno ritrovarsi anche tra altre mille anime e che le nostre sarebbero state esposte per sempre l’una nel cuore dell’altro. Si era fatto tardi dovevo prendere il treno, lui allora mi accompagnò alla stazione; intrecciò ancora una voltale sue mani con le mie e mi disse “ricorda queste mani, saranno intrecciate per sempre nei nostri giorni a venire, nessun tempo potrà mai rubarci il nostro passato e nemmeno il nostro futuro, continuerò a camminare nel mondo con te al mio fianco ovunque andrò, tu sarai con me” ed io risposi “io farò altrettanto, porterò con me la tua essenza nella tua assenza e so che così non mi mancherai mai più. Salii sul treno e lo guardai fino a che non scomparve come un puntino ai miei occhi e lui seguì il mio percorso fino a che il treno sparì oltre. Le nostre anime esposte avrebbero vissuto oltre noi stessi, oltre il nostro infinito e nei giorni a venire senza farci più del male, la consapevolezza della grandezza di cui la vita ci aveva fatto dono ci sarebbe stata sufficiente per sempre…