La Chiesa iniziò a guardare con sospetto quell’uomo che operava miracoli senza mai pronunciare il nome di Dio.
Cristobal aveva continuato a dispensare i suoi prodigi in clandestinità, rifuggendo dal clamore che la sua presenza immancabilmente destava, supportato nei suoi spostamenti da una fittissima rete di adepti, gente anonima, insospettabile, che pur rischiava la propria sorte sfidando gli scellerati tribunali dell’Inquisizione.
La religione era il mantello sotto cui avvenivano le nefandezze più infime, il mascheramento dietro il quale si andavano consumando, in nome di Dio, saccheggi e soprusi, la spogliazione delle ricchezze personali dei conversi, ebrei e mussulmani, un olocausto programmato per estinguere i debiti della monarchia spagnola e rimpinguare le esauste casse della corona.
In questa messinscena all’apparenza punitiva verso l’ortodossia cattolica ma, in realtà, improntata all’esproprio delle ricchezze, ben sarebbe servito all’inquisitore generale, il sanguinario Tomas de Torquemada, l’istituzione di un processo per eresia e magia terapeutica, a legittimare agli occhi della Chiesa di Roma la carneficina in atto, con la morte sul rogo di questo eretico e la sua leggenda.
Un processo spettacolare che avrebbe varcato i confini della Spagna ma che, invece, mai ebbe luogo perchè El Curandero sembrava possedere, tra le tante virtù, anche quella dell’ubiquità, che i familiares prezzolati al servizio dell’inquisizione, sguinzagliati sulle sue tracce, ne rilevavano la presenza in più luoghi e nello stesso tempo.
In realtà, la rete solidale che proteggeva Cristobal, aveva cura di cancellare ogni possibile indizio del suo passaggio arrivando anche ad ammazzare i probabili delatori.
Un piccolo esercito invisibile, schierato dalla parte del bene, se vogliamo dare questa lettura, perchè il concetto di bene è piuttosto opinabile e soggetto ad interpretazione, che non disdegnava di usare, per pervenire allo scopo, le stesse armi del nemico: l’intimidazione e la violenza.
Metodi assolutamente efficaci nella loro immediatezza perchè si giungeva a sentenza saltando l’iter della testimonianza e quello della documentazione.
Resta il fatto che nessuna denuncia venne mai sporta contro Cristobal, che continuò ad esercitare la disciplina della terapia magnetica inconsapevole della scia di sangue che accompagnava i prodigi delle sue guarigioni.
Quando Cristobal giunse al buio capezzale di Angelica, lei languiva già nell’incoscienza dell’agonia irreversibile, conseguenza ultima di una febbre improvvisa, non preannunciata da alcun sintomo, irruenta quanto mortale, per la quale i più insigni dottori, e quello personale della regina, non avevano saputo formulare una diagnosi nè trovare un rimedio.
Impotente anche la Virgen de la Esperanza a cui inutilmente si era appellata, con preghiere e voti, la duchessa Francisca Adriana.
Nemmeno con la promessa di un retablo, il più bello, il più prezioso che mai avesse adornato un altare, era riuscita ad indurla ad elargire questo miracolo, sicché per la prima volta nella sua vita, la fede della duchessa vacillò.
Ma, ad ogni conto, Francisca Adriana non era il tipo di donna che facilmente s’arrende e quel dubbio che aveva scalfito il suo convincimento nelle capacità miracolistiche de La Virgen non intaccò, nemmeno per un momento, la certezza in se stessa e nella sua determinazione.C’era un uomo, in Spagna, messo al bando dalla chiesa e sul cui capo pendeva un mandato di arresto dalla Santa Inquisizione, un curandero miracoloso, si sarebbe rivolta a lui per strappare sua figlia alla morte.
Movimentò, in virtù della potenza del blasone e del denaro, una sotterranea rete di agganci e contatti molti dei quali, sfacciatamente, affioravano in superficie, coperti però dal silenzio dei funzionari pubblici e da quello dei chierici, che di fatto non era così segreto che la duchessa de Moura y Melo era sulle tracce di Cristobal l’eretico, lo stregone, il cui nome campeggiava in cima alla lista nera di Torquemada.
Impresa impossibile per chiunque altro ma non per la Duquesa, che poteva contare sull’aiuto incondizionato della regina stessa, in ambasce, quanto lei, per la vita di Angelica, la sua consigliera più fidata.
Era stato davvero difficile penetrare le fitte maglie della rete di protezione attraverso cui si muoveva el curandero, ma la duchessa, aiutata dalle arti sottili della persuasione e munita di un salvacondotto che avrebbe permesso a Cristobal, dopo l’avvenuto miracolo, di lasciare la Spagna e sfuggire alla condanna del rogo, imbarcandosi come mozzo su una delle tre caravelle del genovese Cristoforo Colombo che s’accingeva in un viaggio sperimentale, patrocinato dalla stessa regina Isabella, a raggiungere il Catai ed il Cipango.
La Duquesa offriva a Cristobal la salvezza da una condanna certa in cambio del miracolo della vita di sua figlia.
Uno scambio alla pari.